mercoledì 16 luglio 2014

Intervista a Cristina Rava

                                          cento sfumature di giallo
                                                    Cosa Nostra. Qui Italia.




INTERVISTA A CRISTINA RAVA, autrice di  “Dopo il nero della notte”

    Incontro Cristina Rava ad Albenga, la città in cui si muove Ardelia Spinola, la protagonista dei suoi romanzi. E Cristina Rava è un po’ come io ho immaginato Ardelia, mi piace pensare che assomigli ad Ardelia. Tanto che non le faccio neppure la domanda banale se ci sia qualcosa di lei nel suo personaggio. Cristina Rava è gentile, curiosa, ironica, vivace, frizzante, profonda. Come Ardelia, insomma.

Volevo iniziare questa chiacchierata da quello che pensavo fosse l’inizio, parlando di Ardelia Spinola, e invece inizio da ‘prima’ dei due romanzi che ho letto in cui Ardelia è la protagonista, “Un mare di silenzio” e “Dopo il nero della notte”. Incomincio dal suo romanzo pubblicato dalla casa editrice Frilli, “Commissario Rebaudengo. Un’indagine al nero di seppia”, dove Ardelia compare per la prima volta come medico legale accanto al protagonista, il commissario Rebaudengo.
E mi sono resa conto che- primo, Rebaudengo è il misterioso fidanzato-ombra di Ardelia che in “Un mare di silenzio” era relegato in America; secondo, che Rebaudengo è molto simpatico e allora mi spiace proprio che in “Dopo il nero della notte” appaia un altro uomo a fianco di Ardelia. La mia domanda è parecchie domande per soddisfare tutte le mie curiosità: perché abbandonare Rebaudengo per Ardelia? Come è nato il personaggio di Ardelia? Perché interrompere la sua storia d’amore?
      La risposta è semplice: ho dovuto abbandonare Rebaudengo perché il personaggio era opzionato dalla casa editrice Frilli fino al 2017. Inoltre la casa editrice Garzanti non voleva un protagonista maschile, questa voce femminile piaceva di più: ho creato una serie che si stacca dal corpo principale, portando con sé dei personaggi, ed è andata bene. Non potevo mantenere Rebaudengo, perché a livello di indagine era ingestibile, lui è un commissario, deve svolgere il suo lavoro, non posso limitarlo a comparsa in una storia d’amore. Non potevo neppure ucciderlo, può darsi che ricompaia dopo il 2017. Capisco anche il suo dispiacere, è dispiaciuto a tutte le lettrici, perché tutte si innamorano un poco di Rebaudengo. Avrà anche osservato che, sempre per lo stesso motivo, non è mai nominato nei due libri pubblicati da Garzanti.

Com’è nata allora Ardelia? Perché farne un medico legale?
    Ardelia è nata, letteralmente, come costola di Bartolomeo Rebaudengo. Poi, a mano a mano che mi stavano stretti gli abiti della casa editrice Frilli, ho incominciato a sviluppare sia la sua personalità sia le sue vicende, in modo da far sì che i lettori si affezionassero a lei e sperando che l’editore non se ne accorgesse. Al punto che il penultimo romanzo della serie, “Come i tulipani gialli”, è raccontato da Ardelia in prima persona. Sono cinque i romanzi della serie pubblicata da Frilli. Ardelia è medico legale perché sono affascinata dall’aspetto investigativo di tipo medico tanatologico- non sono necrofila, il ruolo di Ardelia è poco tecnico, Ardelia non è Kay Scarpetta, la soluzione del caso non è mai nella sala autoptica. Per Ardelia la risposta tanatologica è l’approccio alla persona che fu. Ardelia si rammarica spesso di conoscere le persone da morte e di non avere la possibilità di raggiungere i loro sentimenti, di conoscere i segreti della loro esistenza. Ardelia si lancia in indagini scombinate per una volontà riparatrice. Lei mette ordine: il suo intento è rendere giustizia, dare la verità ai morti è importante per lei, non l’aspetto giuridico del caso.

C’è un’altra donna medico legale sulla scena del romanzo ‘giallo’ italiano, Alice Allevi. Ardelia è diversissima da Alice- mi chiedevo se Lei conoscesse la protagonista dei libri della scrittrice Alessia Gazzola e se questa diversità fra le due eroine fosse intenzionale.
    No, non sapevo nulla di Alice, e poi ho scritto di Ardelia prima che fossero pubblicati i romanzi di Alessia Gazzola.

Nel libro “Un’indagine al nero di seppia” in cui il commissario Rebaudengo è protagonista, Lei riesce a mettere a confronto le radici piemontesi di Rebaudengo con quelle di coloro che per lui sono ‘stranieri’, cioè liguri. La Liguria è una regione difficile anche per la sua collocazione geografica, stretta tra monti e mare, un angolo di Italia. Se dovesse descrivere l’essenza della ligurità, che cosa direbbe?
   Il pregiudizio: il ligure ha pregiudizi contro tutti, giudica senza conoscere. Non credo aver mai conosciuto un popolo così ostile verso chiunque, verso anche la sua propria gente. I liguri hanno un’aridità di cuore ancestrale, il ligure non ha spirito di comunità- e lo dico con dispiacere, visto le mie origini liguri, almeno in parte, visto che vivo in Liguria e amo questa terra. Che cosa c’è di positivo? La tenacia. E poi ci sono due tipi di liguri, c’è il ligure terragno, che è quello del pregiudizio, e il ligure marittimo che è promiscuo, esplorartore, mercante. Sono due tipologie diverse. Ardelia è genovese, è di città, non viene da un paesino dell’entroterra. Inoltre Ardelia ha fatto la carriera universitaria, ha partecipato a congressi all’estero e questo ti porta ad ampliare la mente. Il genovese è abituato allo straniero, tutti i grandi porti commerciali hanno abituato i loro abitanti a vedere gente di ogni tipo.

Le riesce difficile trovare dei casi su cui indagare, dato che l’ambientazione dei suoi romanzi è un’area geografica così ristretta?
    Ni. Mi invento storie terribilmente plausibili e quindi non sono mai casi con connotazione poliziesca, per esempio, una modella ammazzata, un giro di coca e cose del genere. Le mie sono morti dimesse, il caso dell’extracomunitario preso a sprangate, quello di un vechietto ammazzato con botte in testa. Sono morti verosimili, banali.

In “Dopo il nero della notte” c’è un episodio in cui Ardelia lascia le chiavi alla vicina di casa, ed è scritto in dialetto siciliano: una strizzata d’occhio a Camilleri?
     Sì, assolutamente sì, una strizzata d’occhi affettuosa. Anche se un amico palermitano mi ha detto che ho scritto ‘minchiate’.

Di lei ho letto che è un’ottima cuoca. Anche Ardelia lo è. Ho osservato che la maggior parte dei protagonisti dei ‘gialli’ mediterranei- Salvo Montalbano, Proteo Laurenti, Kosta Charitos- amano molto la buona cucina, a differenza dei colleghi nordici, del mitico Wallander di Henning Mankell di cui Rebaudengo regala un libro ad Ardelia. Perché questa differenza, secondo Lei?


    Perché non è nella loro tradizione. Nel Mediterraneo si mangia meglio che a Kiruna. Il nutrimento è l’accudimento primario. Chi lavora nel campo criminale ha a che fare con la morte. Se hai a che fare con un presunto colpevole e devi rivivere quel decesso passo per passo, vai a casa e ti fai un bel piatto di lasagne. I nostri commissari non sono depressi. Al Nord non hanno la cucina come tradizione culturale. A livello popolare la cucina non esiste al Nord, mentre in Italia, una volta, era proprio il ceto sociale modesto ad essere il depositario della buona cucina. Il cibo con funzione consolatoria è caratteristico della nostra tradizione. Al Nord bevono, da noi mangiano.

Il finale di “Dopo il nero della notte” è aperto, restano molti misteri: saranno risolti nel prossimo romanzo?
   Sì, e l’ho già scritto. C’è un libro che gira, quello che era nelle mani del biblitecario ucciso, e ricomparirà con un ruolo transitorio: era mia intenzione farne il fil rouge di parecchi libri della serie. Nel prossimo romanzo Arturo rivelerà alcune cose che finora ha nascosto ad Ardelia- è vero che Arturo ha delle zone d’ombra. Sì, ci saranno degli sviluppi nel prossimo libro, che è già pronto.

l'intervista è stata pubblicata su www.wuz.it



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