fresco di lettura
Anthony Marra, “La fragile costellazione della vita”
Ed. Piemme, trad. Laura Prandino,
pagg. 410, Euro 18,50
Titolo originale: A Constellation of Vital Phenomena
Solo una voce forniva una
definizione adeguata, così la cerchiò con l’inchiostro rosso e la riguardava
ogni sera. Vita: una
costellazione di fenomeni vitali- organizzazione, irritabilità, movimento,
crescita, riproduzione, adattamento.
Apprendiamo gli avvenimenti drammatici dai
titoli sensazionali dei giornali. Guerra in Cecenia. Terroristi ceceni prendono
850 ostaggi al teatro Dubrovka di Mosca. Grozny distrutta come Dresda. Soltanto
un romanzo, però, ha il potere di farci vivere la tragedia di quegli
avvenimenti, di avvicinarci al luogo dove si sono svolti, di farci immedesimare
nella disperazione, nelle privazioni, nel lutto, nei dilemmi etici personali. Terminiamo
di leggere il libro del giovane scrittore americano Anthony Marra, “La fragile
costellazione della vita”, e ci chiediamo come abbiamo potuto vivere così da
lontano una guerra così vicina e vorremmo leggere ancora, sapere di più,
seguire le vicende dei personaggi anche se, con sorprendente abilità, Anthony
Marra ha anticipato il nostro desiderio con dei flash-forward, degli sguardi
nel futuro.
La Storia che leggiamo, ne “La fragile
costellazione della vita”, è quella del decennio che va dal 1994 al 2004, dalla
prima guerra cecena terminata nel 1996 con la dichiarazione d’indipendenza del piccolo
stato che un tempo faceva parte dell’Unione Sovietica alla vigilia del cessate
il fuoco della seconda guerra cecena. Una Storia che vive nella vita dei
personaggi- indimenticabili- e nel piccolo centro di Eldàr, vicino a Volchansk.
Il Passato è già accaduto, non ha bisogno di ordine cronologico e la narrazione
di Anthony Marra si sposta avanti e indietro nel tempo, ci regala flash-back
anteriori al 1994, della forzata emigrazione dei ceceni in Kazachistan voluta
da Stalin e al ritorno in Cecenia quando il vento era cambiato, fa salire alla
ribalta ora l’uno ora l’altro dei personaggi, tre amici- Dokka, l’arboricoltore
padre di Havaa, la bimba che ha il nome di Eva, la prima donna del mondo,
Achmed, l’aspirante pittore che si reputa il peggior medico della Cecenia,
Ramzan, diventato informatore dei Federali dopo le orrende torture che lo hanno
privato della virilità-, Sonja che è capace di fare una sutura con il filo
interdentale, il vecchio Chazan, un tempo professore, che si ferma- come
Abramo- quando ha già il coltello alzato per uccidere quel figlio che ha
causato la morte di tante persone del villaggio, la sorella di Sonja,
ingannata, resa schiava dell’eroina, costretta a prostituirsi in Italia e poi
scomparsa. C’è un ‘prima’ in cui gli amici giocavano a scacchi, prima del tempo
in cui la gente veniva prelevata di notte e portata alla Discarica, prima che
Ramzan divenisse un informatore e nessuno, nemmeno suo padre, gli rivolgesse
più la parola, quando Sonja aveva un brillante futuro a Londra e Dokka aveva
ancora tutte le dita (gliele avrebbero tranciate con il tronca bulloni dopo il
primo internamento nei Pozzi della Discarica) e Chazan sperava di pubblicare il
frutto del lavoro della sua esistenza, il suo libro di storia della Cecenia (finirà per bruciarlo).
C’è un ‘durante’ la prima guerra, un ‘dopo’, e un
‘durante’ la seconda guerra, quando Grozny è rasa al suolo, quando chi ha
potuto se ne è andato dalla Cecenia, quando la pistola usata per uccidere un
colonnello porta ad eliminare non solo un uomo che non avrebbe potuto premere
il grilletto perché senza dita ma anche a dare la caccia alla piccola Havaa,
quando le začitski (temutissimi
rastrellamenti dei villaggi, come dei pogrom) hanno ‘ripulito’ Eldàr e il vero Achmed,
il pittore e non il medico, ha ripopolato il villaggio appendendo ovunque i
ritratti da lui disegnati delle persone scomparse. In una maniera strana le
vicende dei personaggi si intrecciano e si collegano, come se il caso o la
sorte fossero più lungimiranti dell’uomo, e da parte di Anthony Marra c’è
un’empatia, una comprensione profonda della fragilità umana che stupisce in uno
scrittore così giovane- perché nessuno può ergersi a giudice di azioni compiute
in situazioni estreme, nessuno può escludere la possibilità di non riuscire a
mantenersi coraggioso, di non avere l’ardire di uccidere se stesso piuttosto
che causare la morte di altri, che perdere la propria anima.
“La fragile costellazione della vita” è un
libro tragico e di quella bellezza terribile di cui parla Yeats in una poesia
di guerra. Eppure c’è un fulgore che risplende intorno alla bimba Havaa che ha
la valigia sempre pronta ‘casomai’, che ha paura che anche Achmed scompaia dopo
che suo padre è stato portato via, che graffetta al suo abito i guanti di
lattice dell’ospedale per assomigliare ad un anemone di mare: Havaa non si
tocca, deve essere salvata ad ogni costo, di lei si occuperanno tutti quelli
che, in qualche modo, l’hanno resa orfana, salvando così anche la propria
umanità, espiando gli errori di altri.
Un libro da leggere, degno di tutti i premi
che ha vinto (anche se ai premi nessuno crede più).
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Anthony Marra |
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