mercoledì 23 dicembre 2015

Joël Dicker, “La verità sul caso Harry Quebert” ed. 2014

                                                          Voci da mondi diversi. Svizzera
               il libro dimenticato
              FRESCO DI LETTURA


Joël Dicker, “La verità sul caso Harry Quebert”
Ed. Bompiani, trad. V. Vega, pagg. 775, Euro 11,90


      L’ho letto soltanto ora. Ne avevano parlato tanto, quando è stato pubblicato lo scorso anno. Aveva ricevuto ottime recensioni. Sembrava fosse un capolavoro. Eppure una qualche mia diffidenza nei confronti dei capolavori conclamati mi aveva tenuto lontano dalla lettura, a suo tempo. L’occasione del giorno del libro in versione digitale mi ha spinto all’acquisto.
     La prima pagina del libro ci trascina immediatamente in media res. Ad Aurora, una cittadina sulla costa Atlantica degli Stati Uniti, il 30 agosto 1975 una ragazzina è scomparsa. Si chiamava Nola. Un’anziana signora che viveva ai margini della foresta aveva telefonato alla polizia dicendo che una ragazza con un abito rosso era entrata correndo nella foresta inseguita da un uomo e, poco dopo, aveva ritelefonato per dire che la ragazza era in casa sua. Uno sparo. La vecchia era morta e i resti del corpo di Nola erano stati trovati nel 2008 dal giardiniere incaricato di piantare delle ortensie in un angolo del giardino della villa dello scrittore Harry Quebert. Il quale viene arrestato e incriminato dell’assassinio di Nola. Le prove: il luogo dove è stata sepolta Nola e il fatto che accanto alla ragazza ci fosse la sua sacca di pelle con dentro il manoscritto del romanzo che aveva dato la fama a Harry Quebert. In prima pagina la dedica a lei, Nola. Parole di addio, “amore mio”.

     La vicenda scorre su più piani narravi e almeno tre livelli temporali- l’estate del 1975 quando Harry Quebert in crisi di ispirazione arriva ad Aurora e si innamora della quindicenne Nola, il 2002, cioè l’anno dell’incontro di Marcus Goldman (il narratore/scrittore del caso di Quebert) con il professor Quebert all’università e il 2008 quando Marcus trentenne, dopo aver raggiunto il picco della fama con il suo primo romanzo due anni prima, raggiunge l’amico e maestro Harry Quebert ad Aurora. Marcus è quasi un doppio del Quebert di trentatre anni prima- anche lui ha il blocco dello scrittore. Il desiderio di trovare il vero colpevole dell’assassinio di Nola e discolpare così il suo mentore, con l’indagine che ne consegue, gli offrirà lo spunto per il romanzo che l’editore continua a sollecitare.
      Il romanzo ha dei pregi, quelli adatti a farne un best seller. Seguendo le regole più elementari per catturare l’attenzione del lettore (che sono poi le regole che Quebert detta a Marcus in una delle narrative del libro), questi viene letteralmente travolto, inchiodato, obbligato a girare pagina dopo pagina perché la tensione è fortissima. La trama mescola il genere mystery con l’indagine poliziesca, con la titillante storia d’amore proibita tra una Lolita e uno scrittore che ha il doppio dei suoi anni nell’atmosfera soffocante di una cittadina sonnolenta in cui ci sono poche occasioni per distrarsi e ancora di meno per conoscere persone nuove. La piccola Nola non è l’unica ad innamorarsi del bel Harry, non è l’unica ragazza bionda di Aurora, sorgono rivalità e gelosie. A ben vedere “La verità sul caso Harry Quebert” è la storia di uno scrittore che racconta la storia di un altro scrittore che a sua volta racconta la sua storia d’amore in un altro romanzo. La stesura del romanzo di Goldman include stralci del romanzo di Quebert, lettere, testimonianze, e altro ancora. Da un certo punto in poi i colpi di scena si succedono, vertiginosi, è perfino arduo seguirli (anche perché hanno un che di incredibile).

     MA i personaggi mancano di spessore in una trama che ha molto di scontato e quello che potrebbe non esserlo ci lascia dubbiosi. Se l’attrazione di Humboldt Humboldt per Lolita nel capolavoro di Nabokov era perfettamente comprensibile, quella di Quebert per Nola non lo è. Inutile che si cerchi di osannare l’amore, di fare di Nola la musa che si sacrifica per il grande scrittore. Se non fosse per l’età di Quebert, si potrebbe parlare di ‘calf love’, ‘l’amore del vitello’ come lo chiamano gli inglesi. I dialoghi sono penosi, alcuni personaggi (madri e padri) abbozzati in maniera macchiettistica e il finale del tutto insoddisfacente.
    Quello che più mi è piaciuto sono stati gli inserti delle ‘lezioni’ di scrittura di Quebert (mi parevano impartiti a Joël Dicker stesso, quasi che fosse anche lui un doppio di Goldman come Goldman lo è di Quebert) e quelli in cui si pianifica cinicamente il successo del romanzo, perfino la tempistica della pubblicazione perché non avvenga in coincidenza con le elezioni presidenziali a cui andrà tutta l’attenzione del pubblico.



    

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