martedì 1 dicembre 2015

Abraham B. Yehoshua, "La sposa liberata" ed. 2001

                                                     Voci da mondi diversi. Medio Oriente
                   il libro ritrovato


Abraham B. Yehoshua, "La sposa liberata"
Ed. Einaudi, pagg. 592, Euro 19,00


Ha un pensiero fisso, Yohanan Rivlin, professore di storia mediorientale a Haifa: capire perché, cinque anni fa, suo figlio Ofer è stato ripudiato dalla moglie, dopo appena un anno di matrimonio. E il tema del matrimonio è il filo conduttore di questo ultimo capolavoro dello scrittore israeliano Yehoshua, introdotto nelle prime pagine con la partecipazione di Rivlin alle nozze della studentessa araba Samaher. Ed ecco l' altro tema: quello del rapporto fra arabi ed ebrei che vivono nello stato di Israele, che parlano due lingue simili e conoscono perfettamente le tradizioni, le norme religiose e le abitudini alimentari gli uni degli altri. Un rapporto fatto di tensioni pericolose e di difficili equilibri, a cui si allude negli studi che Rivlin fa sul terrorismo in Algeria, cercando nel passato le ragioni del presente, o nella sua tesi sulla difficoltà di trovare un' identità nazionale per un popolo che parli lingue diverse. La narrazione di Yehoshua procede con passo tranquillo, come quello di Rivlin, novello Bloom in terra di Israele, che si muove avanti e indietro tra l' aeroporto ( come a ricordare il destino ebraico di eterni esuli) e Haifa, tra la pensione che si affaccia sul deserto e la sua casa sul mare scintillante, con puntate alla dimora sempre chiusa di Agnon ( difficoltà di accedere al passato?), al villaggio arabo di Samaher, a Jenim e a Ramallah, due nomi che, alla data di scrittura del romanzo, non avevano ancora i connotati di sangue di oggi.
Anzi, a Ramallah si svolge un festival di poesia araba aperto a tutti, un incontro di pace senza politica. Già, il tema della poesia. Carlo Tedeschi, il vecchio professore di Rivlin, dice che, poiché non abbiamo speranze di capire gli arabi in maniera razionale, ci resta solo la scelta di approfondire la loro poesia. Poesia che ritorna nelle storie arabe che Samaher traduce per Rivlin, come una Sheherazade incantatrice. In mezzo a questi incontri, tra una poesia e un racconto, tra un tentativo e l' altro di sedurre l' amatissima moglie, Rivlin continua con cocciutaggine cieca - e infatti ad un certo punto resta senza occhiali - a fare domande, a cercare di capire quel segreto che un suo "doppio" arabo custodisce fino alla fine, quando la sua rivelazione permetterà all' ex-moglie di Ofer di liberarsi dal vincolo di una promessa.
Ed è un segreto che noi abbiamo intuito, già nelle pagine del matrimonio della coppia araba, un doppio della coppia Ofer-Galia, con l' allusione ad un affetto eccessivo tra Samaher e il cugino Rashed, altro doppio di Rivlin che si trasforma nel suo "dibuk", lo spirito cattivo di un' ossessione. Il libro si chiude con un bambino che nasce, come ad equilibrare la mancata nascita del figlio di Samaher e la vita stroncata del piccolo palestinese israeliano, e con la nuova attività di imbianchino del figlio più giovane di Rivlin - lavoro in genere riservato agli arabi. Un romanzo dalle mille digressioni mai dispersive, alla ricerca di una convivenza difficile in un continuo scandaglio dell' animo umano, con uno stile narrativo che alterna l' ironia distaccata in terza persona ad un monologo interiore che assume la forma di un discorso che Rivlin rivolge a se stesso. Senza dubbio, il romanzo di un grande scrittore, forse il più grande scrittore vivente.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net





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