martedì 29 dicembre 2015

Gabriela Adameşteanu, “Verrà il giorno” ed. 2012


Voci da mondi diversi. Europa dell'Est
               il libro ritrovato


Gabriela Adameşteanu, “Verrà il giorno”
Ed. cavallo di ferro, trad. Celestina Fanella, pagg. 383, Euro 18,00
Titolo originale: Drumul egal al fiecărei zile

   Di certo, con un dossier politico familiare pessimo come il mio, avevo le carte in regola per essere respinta. Quasi quasi lo speravo, e mi ripromettevo di cambiare città, di andare a lavorare in fabbrica, come avevo letto su tanti libri e sui giornali. Non avrei più abitato con lo zio Ion e con la mamma e non avrei più pensato che, facendomi bocciare all’esame di ammissione, avrei fatto di loro lo zimbello della città. Ma soprattutto ero certa che altrove avrei incontrato imprevisti in quantità e le mie giornate non sarebbero più annegate, come allora, nella monotonia.

      “Chi è Letiţia Branea?”- è la domanda che fa il portiere del pensionato studentesco all’inizio del libro, accendendo a tentoni la luce tra i cinque letti della camerata. C’è una telefonata urgente per la ragazza che si chiama Letiţia Branea. La stessa domanda viene ripetuta duecento pagine più avanti, raccogliendo il filo del racconto che si è arrotolato all’indietro nel tempo, senza dirci chi o che cosa richiedesse la presenza di Letiţia a casa. E ancora una volta verrà chiesto, “Chi è Letiţia Branea”, alla fine del romanzo, dopo altre duecento pagine: questa volta c’è qualcuno che aspetta Letiţia dabbasso. Una domanda che non solo scansiona le tre parti del libro- la vita di Letiţia bambina e adolescente in casa con la mamma e lo zio, l’arrivo a Bucarest e i giorni dell’università, l’amore per un giovane professore-, ma assume un significato esistenziale: è Letiţia stessa che si indaga, alla ricerca di se stessa, di chi vuole essere, di che cosa chiede dalla vita.

     Il titolo originale del romanzo suona ben diverso da quello che è stato adottato per le traduzioni in italiano e in francese. Potremmo renderlo come “Il percorso uguale di ogni giorno” ed infatti la monotonia di un’esistenza sempre uguale è quella che dà un’aria di soffocante claustrofobia a tutto il romanzo, ma soprattutto alla prima parte. C’è il soffoco di vivere in una piccola città, il soffoco di abitare in tre in una sola stanza, il soffoco della pesante coltre del regime che ha forzato la famiglia di Letiţia in questa situazione e che li obbliga a muoversi, per così dire, in punta di piedi, a bisbigliare, a controllarsi. C’è paura. Paura che viene da passate esperienze: il padre di Letiţia è stato arrestato, non si sa in che prigione si trovi, non si sa se sia ai lavori forzati al Canale; sua madre si è separata da lui prima dell’arresto- una misura previdenziale perché non fosse colpita l’intera famiglia; lo zio Ion è stato privato della cattedra universitaria (sapremo poi il perché) e relegato ad insegnare lontano dalla capitale. Letiţia non si fa illusioni. Con una famiglia con simili trascorsi politici, è impossibile che venga ammessa all’università. E invece ce la farà. Dovrà sostenere un esame più duro, ma nella seconda parte del libro Letiţia è approdata a Bucarest, la città agognata dove tutto potrebbe cambiare, dove qualcosa potrebbe accadere per vivacizzare la sua esistenza grigia.
università di Bucarest

   Cambia qualcosa? Ben poco. Al paese Letiţia aveva un’amica a cui confidare le sue pene d’amore; a Bucarest le chiacchiere delle ragazze con cui condivide la stanza sono sempre le stesse: l’amore, i ragazzi, la domanda a cui non c’è risposta e che è la stessa di tutte le ragazze dell’epoca ante-pillola, “si fa? non si fa? quando si decide di farlo?”, con lo spettro di un aborto (proibito in Romania, come d’altronde in Italia) se si aveva la sfortuna di restare incinta. La figura dello zio Ion domina questa seconda parte del libro, così come quella di Petru Arcan, l’ex studente dello zio diventato professore, è al centro della terza parte. Una contrapposta all’altra: lo zio integerrimo, conciliante tanto da sembrare passivo; un poco ambiguo e opportunista Petru Arcan che sfrutterà a suo nome gli scritti che lo zio non è riuscito a pubblicare. Letiţia stima lo zio e, nello stesso tempo, si rammarica perché le pare di avere appreso da lui un’apatica rassegnazione. Così, quando si alza in piedi a parlare in difesa di un compagno di studi, nella terza parte, è una vittoria per lei- ha sconfitto la paura che le è stata instillata nel soffoco della minuscola abitazione. Quando smette di guardare con ammirazione Petru Arcan, ne riconosce i limiti, ne indovina le origini, così simili alle sue, Letiţia è diventata adulta. E’ venuto il giorno che attendeva (il bel romanzo della Adameşteanu potrebbe anche intitolarsi “L’attesa”), in cui guardare se stessa, il passato della sua famiglia, la nazione in cui vive, senza paura.

     In maniera più sottile ancora che negli altri suoi romanzi, Gabriela Adameşteanu intreccia la storia privata con quella pubblica, di modo che è impossibile non sentire che il fardello del ‘diventare grande’- già pesante per ogni adolescente- è più problematico per la sua giovane protagonista, sorvegliata dall’occhio del Grande Fratello che lampeggia (ben tre volte, nel libro, come la domanda “Chi è Letiţia Branea?”) con la richiesta imperativa: ‘OGNI GIORNO LEGGETE SCÂNTEIA’.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it




     

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