Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
painting fiction
INTERVISTA A SUSAN VREELAND
Abbiamo ricordato insieme, Susan Vreeland
ed io, l’evento di cui la scrittrice è stata protagonista al Festival della
Letteratura di Mantova del 2004. Era l’anno in cui era stato pubblicato il suo
romanzo sulla pittrice Emily Carr, “L’amante del bosco”, e l’incontro con i
lettori si teneva sotto un enorme tendone a Campo Canoa, uno degli spazi più
ampi del festival. Quando Susan Vreeland era salita sul palco, il pubblico,
numerosissimo, l’aveva applaudita a lungo, con calore. Ricordo di aver pensato
che era straordinario che una simile accoglienza venisse riservata ad una
scrittrice- mi sarei stupita di meno se fosse stato un cantante al centro della
scena. E Susan Vreeland mi dice di quanto si fosse emozionata lei: era stato
uno dei momenti più belli della sua carriera di scrittrice. Ci troviamo ora per
parlare del suo ultimo romanzo, che parla di un’altra artista, Clara Driscoll,
la disegnatrice delle lampade Tiffany.
E’ stata una donna o
è stata una lampada ad ispirarla a scrivere questo libro? Chi è venuta per
prima?
E’ venuta per prima Clara: l’ho
‘incontrata’ alla mostra del 2007 dove ho potuto vedere le meravigliose vetrate
e le lampade. E tuttavia sono stata subito attratta dalle lettere scritte a
mano che erano in mostra: che cosa scriveva? Era un mistero da scoprire, le
lettere me lo avrebbero svelato. Su un livello personale mi avrebbero rivelato
la storia di diversi uomini nella sua vita: il marito prima, poi Edwin che
scomparve all’improvviso e infine l’uomo che ha sposato, quello che nel romanzo
io chiamo Bernard ma che in realtà si chiamava Edward Booth- mi sembrava che
due personaggi con un nome così simile, Edwin e Edward, potessero creare
confusione. Su un secondo piano rimasi affascinata da come era coinvolta con la
città di New York: parlava di elezioni, della folla che si accalcava per
ascoltare i risultati, della palla luminosa che veniva calata allo scoccare
della mezzanotte della fine dell’anno, di tutte le cinque zone di New York. Era
anche lì quando la metropolitana venne inaugurata. Clara aveva una vita
personale, artistica e pubblica nella metropoli.
Nel discorso che farò questa sera dirò
che ho trovato in Clara le stesse qualità che ho trovato in Artemisia: il
coraggio, l’indipendenza, il talento, la devozione all’arte. In un certo senso
Clara, una donna del secolo XX è la figlia di Artemisia del secolo XVII. Quello
che fece per le 35 donne nel suo dipartimento è stupefacente. Anche se poi le
donne presero un’altra strada, non erano più le stesse. Nellie, ad esempio,
così umile e timida, dopo l’esperienza del lavoro nello Studio, si raddrizza e
se ne va come orgoglioso membro della classe operaia. E sì, certamente, penso
che si debba essere grate a queste donne che ci hanno fatto strada.
Artemisia, Emily Carr, Clara: che cosa hanno in comune queste donne,
oltre all’amore per la bellezza? Ha già detto che hanno lo stesso coraggio, lo
stesso senso di indipendenza…che altro essenzialmente?
Erano tutte donne pronte a sacrificarsi
personalmente per quell’amore della bellezza. Mettevano l’arte prima di tutto, poi
alla fine, però, Clara decise che non sarebbe restata da Tiffany quando finì la
sua indipendenza come creatrice di oggetti d’arte. Il lavoro sarebbe diventato
ripetitivo e a lei non andava affatto bene, non era quello che voleva. C’era
molto per cui lottare per le donne dell’epoca: pensiamo al fatto che da Tiffany
non venivano assunte donne sposate. Ma, d’altra parte anche mia madre ha dovuto
lasciare il lavoro quando si fidanzò- ed era il 1942…
Si parla molto di bellezza nel libro: la bellezza ha una forza etica,
secondo Lei?
Se si è innamorati della bellezza, penso
che si faccia di tutto per mantenerla e per condividerla. La bellezza non ci
rende migliori e però pensavano così quelli che aderirono al British and
American Arts and Crafts Movement di quel periodo. Si pensava che
l’apprezzamento della bellezza rendesse gli individui e la società migliori.
Personalmente penso che l’apprezzamento della bellezza ti renda una persona più
ricca e più profonda, faccia di te un amico migliore, più spirituale.
Penso che si possa insegnare a vedere la
bellezza. Mio marito era una persona capace di vedere intensamente la bellezza
della natura ma non quella creata dall’uomo Adesso, dopo tanti anni che stiamo
insieme, mi sento ricompensata quando lo sento parlare di un quadro, o di un
affresco, o di una scultura. Penso che venticinque anni al mio fianco abbiano
ampliato il suo senso della bellezza. Sì, penso proprio che ci siano persone
che hanno innata la capacità di vedere la bellezza, ma anche che si possa
esporre alla bellezza qualcuno che non ha questa qualità innata, in modo che si
senta commosso.
Mi sono innamorata di una delle lampade con
le libellule in diverse sfumature di blu: sono aria e acqua. Non c’è nessun
elemento umano, è natura pura, puro colore e forma. E’ qualcosa di più astratto
di un quadro in cui l’elemento umano è presente. E’ un tipo di arte più
astratto. Quando vedi le lampade senza la luce accesa sono solo la metà belle
di quanto lo sono accese: c’è un insieme di ciò che è fatto dall’uomo e di ciò
che è naturale. Sono come gioielli: quelle con le libellule sono gioielli
liquidi.
l'intervista è stata pubblicata su www.wuz.it
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