martedì 25 novembre 2014

Susan Vreeland, "Una ragazza da Tiffany" Intervista del 2010

                                     Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
                                               painting fiction


 INTERVISTA A SUSAN VREELAND

    Abbiamo ricordato insieme, Susan Vreeland ed io, l’evento di cui la scrittrice è stata protagonista al Festival della Letteratura di Mantova del 2004. Era l’anno in cui era stato pubblicato il suo romanzo sulla pittrice Emily Carr, “L’amante del bosco”, e l’incontro con i lettori si teneva sotto un enorme tendone a Campo Canoa, uno degli spazi più ampi del festival. Quando Susan Vreeland era salita sul palco, il pubblico, numerosissimo, l’aveva applaudita a lungo, con calore. Ricordo di aver pensato che era straordinario che una simile accoglienza venisse riservata ad una scrittrice- mi sarei stupita di meno se fosse stato un cantante al centro della scena. E Susan Vreeland mi dice di quanto si fosse emozionata lei: era stato uno dei momenti più belli della sua carriera di scrittrice. Ci troviamo ora per parlare del suo ultimo romanzo, che parla di un’altra artista, Clara Driscoll, la disegnatrice delle lampade Tiffany.


E’ stata una donna o è stata una lampada ad ispirarla a scrivere questo libro? Chi è venuta per prima?

     E’ venuta per prima Clara: l’ho ‘incontrata’ alla mostra del 2007 dove ho potuto vedere le meravigliose vetrate e le lampade. E tuttavia sono stata subito attratta dalle lettere scritte a mano che erano in mostra: che cosa scriveva? Era un mistero da scoprire, le lettere me lo avrebbero svelato. Su un livello personale mi avrebbero rivelato la storia di diversi uomini nella sua vita: il marito prima, poi Edwin che scomparve all’improvviso e infine l’uomo che ha sposato, quello che nel romanzo io chiamo Bernard ma che in realtà si chiamava Edward Booth- mi sembrava che due personaggi con un nome così simile, Edwin e Edward, potessero creare confusione. Su un secondo piano rimasi affascinata da come era coinvolta con la città di New York: parlava di elezioni, della folla che si accalcava per ascoltare i risultati, della palla luminosa che veniva calata allo scoccare della mezzanotte della fine dell’anno, di tutte le cinque zone di New York. Era anche lì quando la metropolitana venne inaugurata. Clara aveva una vita personale, artistica e pubblica nella metropoli.

 Mi sono domandata se, nel fatto che Lei scelga sempre delle donne eccezionali come protagoniste dei suoi romanzi, ci sia anche un voluto ricordo e ringraziamento nei confronti di donne che hanno preparato la strada per noi, donne del secolo XXI.
      Nel discorso che farò questa sera dirò che ho trovato in Clara le stesse qualità che ho trovato in Artemisia: il coraggio, l’indipendenza, il talento, la devozione all’arte. In un certo senso Clara, una donna del secolo XX è la figlia di Artemisia del secolo XVII. Quello che fece per le 35 donne nel suo dipartimento è stupefacente. Anche se poi le donne presero un’altra strada, non erano più le stesse. Nellie, ad esempio, così umile e timida, dopo l’esperienza del lavoro nello Studio, si raddrizza e se ne va come orgoglioso membro della classe operaia. E sì, certamente, penso che si debba essere grate a queste donne che ci hanno fatto strada.

Artemisia, Emily Carr, Clara: che cosa hanno in comune queste donne, oltre all’amore per la bellezza? Ha già detto che hanno lo stesso coraggio, lo stesso senso di indipendenza…che altro essenzialmente?
    Erano tutte donne pronte a sacrificarsi personalmente per quell’amore della bellezza. Mettevano l’arte prima di tutto, poi alla fine, però, Clara decise che non sarebbe restata da Tiffany quando finì la sua indipendenza come creatrice di oggetti d’arte. Il lavoro sarebbe diventato ripetitivo e a lei non andava affatto bene, non era quello che voleva. C’era molto per cui lottare per le donne dell’epoca: pensiamo al fatto che da Tiffany non venivano assunte donne sposate. Ma, d’altra parte anche mia madre ha dovuto lasciare il lavoro quando si fidanzò- ed era il 1942…

Si parla molto di bellezza nel libro: la bellezza ha una forza etica, secondo Lei?
      Se si è innamorati della bellezza, penso che si faccia di tutto per mantenerla e per condividerla. La bellezza non ci rende migliori e però pensavano così quelli che aderirono al British and American Arts and Crafts Movement di quel periodo. Si pensava che l’apprezzamento della bellezza rendesse gli individui e la società migliori. Personalmente penso che l’apprezzamento della bellezza ti renda una persona più ricca e più profonda, faccia di te un amico migliore, più spirituale.

 Si può insegnare alle persone a vedere la bellezza oppure questa è una capacità innata?
       Penso che si possa insegnare a vedere la bellezza. Mio marito era una persona capace di vedere intensamente la bellezza della natura ma non quella creata dall’uomo Adesso, dopo tanti anni che stiamo insieme, mi sento ricompensata quando lo sento parlare di un quadro, o di un affresco, o di una scultura. Penso che venticinque anni al mio fianco abbiano ampliato il suo senso della bellezza. Sì, penso proprio che ci siano persone che hanno innata la capacità di vedere la bellezza, ma anche che si possa esporre alla bellezza qualcuno che non ha questa qualità innata, in modo che si senta commosso.

 Di quale delle lampade si è innamorata, mentre le studiava per il romanzo? E quali sono le sue reazioni di fronte a queste opere d’arte che sono così diverse da un quadro?

    Mi sono innamorata di una delle lampade con le libellule in diverse sfumature di blu: sono aria e acqua. Non c’è nessun elemento umano, è natura pura, puro colore e forma. E’ qualcosa di più astratto di un quadro in cui l’elemento umano è presente. E’ un tipo di arte più astratto. Quando vedi le lampade senza la luce accesa sono solo la metà belle di quanto lo sono accese: c’è un insieme di ciò che è fatto dall’uomo e di ciò che è naturale. Sono come gioielli: quelle con le libellule sono gioielli liquidi.


l'intervista è stata pubblicata su www.wuz.it

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