Voci da mondi diversi. Asia
fresco di lettura
INTERVISTA A Kakuta
Mitsuyo
E’ la prima volta che si trova a Roma- dove sono venuta ad
intervistarla-, mi dice Mitsuyo Kakuta (o Kakuta Mitsuyo, se vogliamo
rispettare l’usanza giapponese di anteporre il cognome al nome). E’ già stata
in Italia, però, nelle Dolomiti e in Sicilia. Le spiace che gli impegni di lavoro
le impediscano di visitare Roma. Sarà per la prossima volta, le auguriamo
tutti. Le rivolgo la prima domanda, sul titolo “La cicala dell’ottavo giorno”
che continua a frullarmi in testa.
E’
vero o è soltanto una specie di leggenda, che la cicala vive solo per sette
giorni? E a chi si riferisce questa immagine, nel romanzo?
E’ una diceria, una credenza popolare, una
favola che si racconta ai bambini: prima di nascere le cicale restano per sette
anni sotto terra e poi vivono per sette giorni. Rifacendomi a questa favola, ho
voluto pensare alla possibilità di una cicala che arrivi a vivere un ottavo
giorno e il riferimento è alla bambina Erina.
Leggiamo spesso, purtroppo, fatti di
cronaca sui quotidiani che riguardano furti di bambini, spesso anche con
intenti meno ‘buoni’ di quelli che sono dietro la protagonista del suo romanzo.
E’ stato un fatto di cronaca veramente accaduto che l’ha spinta a scrivere “La
cicala dell’ottavo giorno”?
No, non è un fatto di cronaca, ma un frutto della mia
immaginazione.
Esiste, però, il pericolo che i bambini
vengano rapiti in Giappone? Personalmente sono diventata paranoica e divento
ansiosa se perdo di vista i miei nipotini quando giocano.
Non capita di
frequente in Giappone, però si sente raccontare di coppie che non riescono ad
avere figli e vanno negli ospedali ad osservare i neonati e finiscono per
rapirne uno, come si dice di una coppia nel romanzo. Niente di così eclatante,
tuttavia, come quello che succede nel mio libro.
A mano a mano che procediamo nella lettura,
ci rendiamo conto dell’ambiguità dei sentimenti di Kiwako. Se all’inizio,
quando si limitava a spiare la coppia di genitori, prevalevano forse la
gelosia, l’invidia, un desiderio di vendetta, poi quello che è più forte di
tutto mi pare essere il desiderio di maternità. E’ così?
La sua interpretazione è perfetta. I
sentimenti di Kiwako, all’inizio, sono solo di invidia, gelosia e vendetta.
Poi, quando entra in casa dell’ex amante e vede la bambina, nasce in lei il
desiderio di maternità. I sentimenti negativi diventano positivi, desidera
diventare madre.
C’è anche una seconda tematica
interessante nel romanzo, che si intreccia con quella del rapimento della
bambina e ne è quasi uno sviluppo: la setta che accoglie Kiwako e la bambina in
realtà ‘sequestra’ donne fragili e in cerca di aiuto. Si possono paragonare i
due tipi di rapimento?
No, sono due cose
diverse. Kiwako rapisce la bambina mentre la setta non rapisce le donne ma
vuole creare una comunità alternativa.
Tuttavia si parla di sequestro,
nel romanzo.
Certamente la setta si
macchia di un crimine, ma le accuse derivano dal fatto che i genitori sono
stati ingannati: l’accusa alla setta è di aver ingannato le famiglie
impossessandosi dei beni di queste.
Mentre leggevo, mi sono
trovata a parteggiare per Kiwako, domandandomi: chi è la vera madre? Quella che
l’ha messa al mondo o quella che la circonda di un amore che la madre naturale
non sarà mai capace di darle?
Anche qui sono d’accordo
con lei e con la sua interpretazione: questo è un romanzo sulla maternità e sul
desiderio di diventare madre. La domanda che viene posta è: la madre è la donna
che partorisce un bambino, o è quella che si prende cura di lui? La vera madre
è quella che se ne prende cura e non necessariamente quella che lo dà alla
luce.
C’è un dubbio, in questo caso,
però. Come si sarebbe comportata la vera madre, se non fosse stata privata
della bambina, se il suo rapporto con lei non fosse stato stravolto dagli anni
di lontananza?
Diciamo che ho descritto
la madre naturale come negativa in partenza: è a causa di una sua negligenza,
l’aver lasciato la bambina da sola e con la porta aperta, che la piccola viene
rapita. Ovviamente, poi, il periodo di lontananza l’ha trasformato
ulteriormente in una madre incapace di amare la bambina.
Quando
la parola passa ad Erina, quella che era la bambina chiamata Kaoru, siamo
portati a riflettere su qualcos’altro: che peso hanno i primi anni della nostra
vita? Ci segnano per sempre? Quella che era l’amica d’infanzia di Kaoru ed
Erina stessa sembrano dimostrare che è così, pur essendo diverse le loro
reazioni all’esperienza che hanno condiviso.
Sì, devo concordare con
lei. sono sempre più convinta che gli anni dell’infanzia siano fondamentali,
anche se cambiano le reazioni individuali. Ho voluto dire che, al di là delle
esperienze negative e crudeli, c’è sempre una forza immensa nell’essere umano:
chiunque ha la forza per reagire e cambiare le cose in verso positivo.
Sono stata affascinata dai
riti descritti che appartengono alla tradizione del Giappone. L’assoluta
mancanza della vita moderna nel romanzo è stata voluta?
Sì, l’ho fatto di
proposito. Ho scelto queste ambientazioni per mettere in risalto le tradizioni
del Giappone. E ho scelto l’isola di Shodoshima perché mi dava la possibilità
di parlare di festività tradizionali scintoiste: sono molto più sentite lì che
nelle grandi città.
E’ già al lavoro su un altro
romanzo?
Sto scrivendo un romanzo
serializzato su un quotidiano. E’ un romanzo diverso dai miei precedenti: è
sulla boxe. Dopo che mi è stato fatto osservare che le donne sono al centro dei
miei romanzi e che dipingo sempre gli uomini in luce negativa nei miei libri,
ho risposto con un protagonista maschile.
L’intervista è finita. Mi
congratulo, prima di tutto, con il professor Coci, ottimo interprete nonché
traduttore del romanzo, poi tendo alla scrittrice la mia copia libro perché vi
faccia l’autografo e le tendo anche la mia penna biro. Kakuta Mitsuyo la
rifiuta con gentilezza e tira fuori un astuccio dalla sua borsa. Chiaramente la
mia penna non va bene per i caratteri giapponesi. Traccia velocemente quello
che deve essere il suo nome, in verticale, e poi estrae un timbro da una
scatoletta. L’ultimo tocco di esotica perfezione.
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