Voci da mondi diversi. Africa
fresco di lettura
Chimamanda Ngozi Adichie, “Americanah”
Ed. Einaudi, trad. Andrea
Sirotti, pagg. 458, Euro 21,00
Titolo originale: Americanah
Per un momento il cielo azzurro collassò;
seguì un’inerte immobilità in cui nessuno dei due sapeva cosa fare, lui che le
andava incontro, lei ferma che strizzava gli occhi, poi lui la raggiunse e si
abbracciarono. Ifemelu gli diede una o due pacche sulla schiena, tanto per dare
l’idea di un abbraccio tra vecchi amici, un abbraccio platonico e sicuro, ma
lui la tirò leggermente a sé e la trattenne appena più del dovuto, come per
dirle che non voleva fare l’amico.
Ifemelu e Obinze. Nomi dal suono strano
per noi ma che ricorderemo benissimo molto prima di aver terminato la lettura
di “Americanah”, terzo romanzo della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi
Adichie, come ricorderemo i due personaggi, amanti divisi dall’emigrazione e
poi riuniti a Lagos, in Nigeria. Perché Ifemelu e Obinze, entrambi di etnia
igbo, sono brillanti, intelligenti, sensibili, onesti verso se stessi e gli
altri. Appartengono alla categoria di emigranti colti che abbandonano il loro
paese non per fame e neppure per motivi politici, ma per sfuggire
all’immobilismo, all’assoluta mancanza di scelte. Ifemelu otterrà il visto per
gli Stati Uniti dove già abita sua zia, mentre Obinze andrà in Inghilterra.
Ifemelu, dopo esperienze negative e degradanti, riuscirà ad avere una borsa di
studio per Princeton. Obinze, una volta scaduto il visto, si adatterà a vari
lavori con documenti falsi, cercherà di contrarre un falso matrimonio per avere
la cittadinanza, ma sarà forzatamente rimpatriato dopo un periodo in prigione,
come un criminale.
“Americanah”- è così, prolungando la
sillaba finale, strascicandola, che i nigeriani di ritorno in patria la
pronunciano, con un’aria di sufficienza e di superiorità- inizia nel salone di
una parrucchiera. Ci vogliono sei ore per farsi fare le treccine che tengono in
ordine i capelli crespi delle donne nere e Ifemelu ritorna col pensiero al
passato, a quello più lontano, quando abitava con i genitori in Nigeria, quando
si era innamorata di Obinze (erano ancora studenti di liceo), e a quello più
recente, dei tredici anni che ha ormai passato in America- l’amore per un
bianco molto ricco che la fa sentire speciale e quello per un professore
universitario nero. I suoi ricordi si intrecciano- con abilità straordinaria- a
quelli di Obinze che ha vissuto in Inghilterra un’esperienza ben più dura di
quella di Ifemelu e poi, ritornato a Lagos, si è costruito una carriera
fulminea come imprenditore, si è sposato, ha avuto una bambina.
Quello che ci cattura, in “Americanah”,
non è solo la storia di un amore che dura negli anni, pur soffocato da altre
esigenze, pur tradito con altre unioni. E’ la capacità della scrittrice di dare
un significato più profondo a tutto quello che narra, di inserire la storia
d’amore in un discorso fine sulla razza e sul razzismo, sul significato
nascosto perfino nel linguaggio, sull’assoluta mancanza di consapevolezza, da
parte dei bianchi, di come tutto- la pubblicità, i modelli femminili proposti
dai media, i prodotti di bellezza- sia discriminatorio e finanche offensivo nei
confronti della popolazione di colore.
Ifemelu tiene un blog di ‘osservazioni
sui Neri Americani (una volta conosciuti come ‘negri’) da parte di un Nero
Non-Americano’ ed è questa una seconda narrativa che si inserisce nella prima.
Sentiamo la voce di Chimamanda Adichie dietro quella di Ifemelu, ci pare di
capire che molte delle esperienze che racconta siano state le sue, che il
confronto fra bianchi (troppo spesso condiscendenti e ignari di quanto siano
offensivi), Afro-Americani che discendono dagli schiavi e Americani-Africani
che si sono resi conto di essere neri e perciò diversi (inferiori, diciamolo
pure) soltanto al loro arrivo negli Stati Uniti, appartenga al vissuto della
scrittrice stessa.
Quando Ifemelu smette di imitare l’accento americano, quando
si riappropria della sua capigliatura naturale e non lotta più con liscianti
che le bruciano la cute (come fa Michelle Obama? sarebbe ugualmente bene
accetta se avesse un’acconciatura afro?), è pronta per ritornare in Nigeria,
con la sicurezza di una Green Card e di un visto sempre valido.
Nigeria, America per Ifemelu e Inghilterra
per Obinze, Nigeria di nuovo. Passato lontano, passato vicino, presente: è
questa la struttura su cui si regge il romanzo che offre uno sguardo lucido
sulla realtà sia nigeriana sia americana, senza camuffare la corruzione e
l’inerzia dello stato africano ma neppure ammirare incondizionatamente il
modello americano. Anzi, a volte pare quasi che il confronto- soprattutto dal
punto di vista umano- sia a sfavore dell’America. Ed è bello e commovente
leggere dell’entusiasmo, dell’esaltazione, dell’orgoglio che il successo di
Barack Obama ha suscitato sia nei Neri Americani sia nei Neri Non Americani.
Questo è un libro che è ‘dentro’ le cose, un libro che risveglia le
nostre coscienze appassionandoci ad una storia d’amore.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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