vento del Nord
cento sfumature di giallo
il libro ritrovato
Henning Mankell, “Piramide”
Ed. Marsilio, trad. Giorgio
Puleo, pagg. 409, Euro 17,00
Quattro racconti e un romanzo
breve con Kurt Wallander prima dell’inizio della serie famosa. Nel primo un
Wallander ventunenne (è il 1969) e semplice poliziotto viene ferito gravemente;
nel secondo racconto è il 1975 e Wallander, indagando su un omicidio, avverte
una spaccatura nel tessuto sociale della Svezia. Gli altri casi si svolgono nel
1987, 1988 e 1989, terminando con la telefonata che comunica a Wallander la morte
di due contadini: sarà l’indagine di “Assassino senza volto”, primo romanzo della
serie.
INTERVISTA A HENNING MANKELL, autore di “Piramide”
Allora è vero, non leggeremo più un’inchiesta di Kurt Wallander. Lo
sospettavamo, l’autore ce lo aveva anticipato, ma noi lettori speravamo che ce
ne fosse “ancora una” perché, facendo un po’ di conti, Wallander non ha l’età
della pensione. E invece, nel prologo di “Piramide”, Henning Mankell scrive di
considerare questo libro “un punto esclamativo che segue al punto fermo che
avevo posto dopo Muro di Fuoco” e
conclude con una variante delle parole di Amleto, “Il resto è e rimarrà
silenzio”. E’ difficile separarsi da un personaggio di cui seguiamo le vicende
da tanti anni (“Assassino senza volto”, il primo romanzo della serie, è stato
pubblicato in Svezia nel 1991), e forse è meglio così, dando uno sguardo
indietro, curiosando nella vita di Wallander, cercando indizi di come sarebbe
diventato nel come era “prima”. E la sensazione è quella di guardare in un
vecchio album di foto, scrutando da vicino le immagini per riconoscere i
lineamenti che ci fanno dire, “è proprio lui”. Kurt Wallander è giovanissimo
nel racconto che apre il libro, un semplice poliziotto a cui non piace fare il
lavoro che fa- sorveglianza, ronde e retate di ubriachi e drogati, servizio
d’ordine durante le manifestazioni di protesta per la guerra del Vietnam. E’
anche innamorato- finalmente sappiamo qualcosa di più di Mona che abbiamo
conosciuto come la sua ex moglie, e abbiamo pure la sensazione che sia un
innamoramento giovanile e che non durerà. Anche se Kurt non può saperlo e noi
ci sentiamo come dei voyeur del passato.
“Piramide” non ha la grandiosità dei romanzi che abbiamo già letto e
tuttavia, così come possiamo riconoscere nel giovane Wallander le qualità
dell’ottimo investigatore che diventerà, è possibile anche vedere in questi
racconti tutte le qualità che hanno fatto di Mankell uno dei migliori scrittori
di thriller contemporanei. Stilos lo ha intervistato a Mantova, durante il
Festival della Letteratura.
E’ proprio vero che questo romanzo è l’inizio e la fine di Wallander?
Non ha ancora l’età del pensionamento. Leggeremo che va in pensione in uno dei
libri della serie della figlia Linda? Passerà a lei la fiaccola?
Non leggeremo del
pensionamento di Wallander perché su di quello non c’è niente da dire, ma
continuerà a lavorare. Wallander va in pensione nel 2012, all’età giusta, fra
sei anni. Ma continuerà a tornare: quando scrivo di sua figlia Linda, lui sarà
lì intorno, perciò riapparirà ancora, pure se marginalmente. E sì, in un certo
senso si può dire che passa la fiaccola a Linda.
Ha mai pensato di farlo morire? Dopo tutto è stato ferito parecchie
volte…Oppure ha voluto risparmiare i sentimenti dei lettori?
No, Wallander non muore perché ho pensato
che accade molto raramente che un poliziotto muoia in azione. Non accade quasi
mai. E’ vero che un collega di Wallander è morto, ma proprio per quello ho
deciso che un poliziotto morto fosse sufficiente.
Come si sente senza Wallander, dopo aver vissuto così a lungo con lui?
Ne sente la mancanza?
Non posso sentire la
mancanza di una persona che non è una persona. Voglio dire, è un’immaginazione
nella mia testa. Sarebbe molto romantico sentirne la mancanza. E poi lui è
ancora presente, ci sono ancora storie con Wallander, non posso ancora sentirne
la mancanza.
Il rapporto di Wallander con il padre non è facile: è un problema di
aspettative sbagliate da parte del padre?
Kurt Wallander non ha un
rapporto facile con il padre per molti motivi, soprattutto per le complicazioni
normali di un rapporto tra padri e figli. Hanno dei caratteri diversi, non si
capiscono, e poi c’è il fatto fondamentale che il padre non ha mai accettato la
scelta del figlio di diventare poliziotto. Adesso è morto e ha lasciato molte
questioni non risolte, è piuttosto normale nella vita. D’altra parte non voglio
fare un’analisi psicologica troppo approfondita dei miei personaggi. Ogni
genitore affronta questi problemi.
Il padre di Wallander è un personaggio buffo e tuttavia ammiriamo la
sua ostinazione, il suo parlare di sogni e dell’essere leali ai propri sogni.
Si hanno ancora grandi sogni ai nostri tempi? È una figura del passato?
Non penso sia una cosa generazionale.
Penso che persone di tutte le generazioni abbiano sogni di un altro mondo, di
un mondo migliore, di un’altra vita, di una vita migliore. Tutti hanno sogni.
Penso che sia importante che ci ricordiamo che, se non abbiamo sogni, abbiamo
perso anche la nostra essenza spirituale. Molte persone oggi, invece di avere
sogni, lasciano che gli altri sognino per loro, guardando soap opera alla TV.
Ma credo che lo spirito dell’essere umano sia nei sogni che ha. E io spero di
continuare a sognare anche quando sarò vecchio.
Wallander vuole evitare, in quanto padre a sua volta, di ripetere con
la figlia Linda gli stessi errori di suo padre? Di essere troppo tirannico con
lei?
In un certo senso sì, poi però si rende
conto che forse, dopo tutto, si comporta proprio come suo padre. Magari si
pensa di essere diversi e poi si è ugualmente prevaricatori.
In questo libro Wallander, negli anni ‘70, si domandava già che cosa
stesse succedendo alla Svezia e in altri romanzi già letti abbiamo visto che
continua a domandarselo: c’è forse una Svezia idealizzata, il paese della pace
e dell’uguaglianza, e un paese vero che nasconde la violenza e le ambizioni?
Si può dire che la Svezia sia un paese in
Europa che è simile a molti altri. La
Svezia è piena di contraddizioni, come lo è l’Italia o la Svizzera. Non voglio cambiare
il quadro tranquillo della Svezia, voglio solo mostrarne le contraddizioni.
In una delle storie di “Piramide” l’assassino è un uomo di colore: il
volto dell’Europa sta cambiando, scopriamo forse di essere tutti razzisti nel
momento in cui ci sentiamo minacciati dal numero della gente di colore che ha
invaso i nostri spazi?
Direi che sia sbagliato dire che ci
scopriamo tutti razzisti. Oggi questo è un problema in Europa e dobbiamo
combatterlo. Sono ottimista per il futuro perché credo nelle nuove generazioni,
nei giovani che avranno una visione diversa del fatto che, anche se la gente ha
un colore di pelle differente, siamo tutti uguali. Sono molto ottimista per il
futuro. Credo che le generazioni giovani risolveranno il problema.
In un altro suo romanzo non ancora tradotto in italiano, “The return of
the dancing master”, il problema della discriminazione contro gli stranieri è
collegato con i gruppi neo-nazisti: pensa che il neo-nazismo possa essere un
vero pericolo anche in un paese tradizionalmente pacifico come la Svezia ?
Non credo che gli skinheads costituiscano un problema, ma dobbiamo
fare attenzione alle forze oscure ultraconservatrici, siano esse di matrice fascista
o nazista. Dobbiamo renderci conto che sono dappertutto, in Italia e in Svezia;
dobbiamo fare attenzione, stare in guardia, soprattutto in tempi in cui c’è
molta disoccupazione è facile che questa gente cerchi di “pescare in quelle
acque”, come si dice da noi.
recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos
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