sabato 8 novembre 2014

Henning Mankell, "Piramide" ed. 2006

                                                            vento del Nord
    cento sfumature di giallo
    il libro ritrovato

Henning Mankell, “Piramide”
Ed. Marsilio, trad. Giorgio Puleo, pagg. 409, Euro 17,00

Quattro racconti e un romanzo breve con Kurt Wallander prima dell’inizio della serie famosa. Nel primo un Wallander ventunenne (è il 1969) e semplice poliziotto viene ferito gravemente; nel secondo racconto è il 1975 e Wallander, indagando su un omicidio, avverte una spaccatura nel tessuto sociale della Svezia. Gli altri casi si svolgono nel 1987, 1988 e 1989, terminando con la telefonata che comunica a Wallander la morte di due contadini: sarà l’indagine di  “Assassino senza volto”, primo romanzo della serie.

INTERVISTA A HENNING MANKELL, autore di “Piramide”

    Allora è vero, non leggeremo più un’inchiesta di Kurt Wallander. Lo sospettavamo, l’autore ce lo aveva anticipato, ma noi lettori speravamo che ce ne fosse “ancora una” perché, facendo un po’ di conti, Wallander non ha l’età della pensione. E invece, nel prologo di “Piramide”, Henning Mankell scrive di considerare questo libro “un punto esclamativo che segue al punto fermo che avevo posto dopo Muro di Fuoco” e conclude con una variante delle parole di Amleto, “Il resto è e rimarrà silenzio”. E’ difficile separarsi da un personaggio di cui seguiamo le vicende da tanti anni (“Assassino senza volto”, il primo romanzo della serie, è stato pubblicato in Svezia nel 1991), e forse è meglio così, dando uno sguardo indietro, curiosando nella vita di Wallander, cercando indizi di come sarebbe diventato nel come era “prima”. E la sensazione è quella di guardare in un vecchio album di foto, scrutando da vicino le immagini per riconoscere i lineamenti che ci fanno dire, “è proprio lui”. Kurt Wallander è giovanissimo nel racconto che apre il libro, un semplice poliziotto a cui non piace fare il lavoro che fa- sorveglianza, ronde e retate di ubriachi e drogati, servizio d’ordine durante le manifestazioni di protesta per la guerra del Vietnam. E’ anche innamorato- finalmente sappiamo qualcosa di più di Mona che abbiamo conosciuto come la sua ex moglie, e abbiamo pure la sensazione che sia un innamoramento giovanile e che non durerà. Anche se Kurt non può saperlo e noi ci sentiamo come dei voyeur del passato.
“Il primo caso di Wallander” è veramente casuale perché la vittima è il suo vicino di casa ed è giocoforza che Kurt si trovi coinvolto nelle indagini, dimostrando subito la sua attitudine. Sei anni dopo Wallander è sposato e la figlia Linda ha cinque anni. Adesso Kurt fa parte del corpo investigativo e affiora sempre più spesso la domanda che diventerà assillante nei libri seguenti- che cosa sta succedendo in Svezia? Da dove viene tutta questa violenza? E’ come se in Svezia si fosse allargata una spaccatura tra due mondi e Wallander si trovasse sul bordo, a guardare in basso e al di là del crepaccio che si spalanca sempre di più. Il titolo “Piramide” del romanzo breve che chiude il libro si riferisce sia ad un grafico che Wallander tratteggia speculando sul caso del doppio incendio di un aereo e della casa di due sorelle, sia al viaggio in Egitto di suo padre- altra figura chiave della serie. Di lui sapevamo già alcune cose, del suo rapporto non facile con il figlio, dei quadri che dipingeva tutti uguali con o senza gallo cedrone. Qui quest’uomo la cui stravaganza sta solo nel fare ciò che gli piace decide che è ora di realizzare un suo sogno, vedere le piramidi. Anzi, salire in cima ad una delle piramidi. E non gli importa se è proibito, se suo figlio deve arrivare dalla Svezia per tirarlo fuori di prigione. Alla domanda, “perché?”, la risposta è “perché bisogna essere leali ai propri sogni”. E il figlio non trova niente da ribattere- che bello avere ancora dei sogni in una società che va a pezzi, che bello sognare non di soldi ma di scalare una piramide nel deserto.

   “Piramide” non ha la grandiosità dei romanzi che abbiamo già letto e tuttavia, così come possiamo riconoscere nel giovane Wallander le qualità dell’ottimo investigatore che diventerà, è possibile anche vedere in questi racconti tutte le qualità che hanno fatto di Mankell uno dei migliori scrittori di thriller contemporanei. Stilos lo ha intervistato a Mantova, durante il Festival della Letteratura.


E’ proprio vero che questo romanzo è l’inizio e la fine di Wallander? Non ha ancora l’età del pensionamento. Leggeremo che va in pensione in uno dei libri della serie della figlia Linda? Passerà a lei la fiaccola?
    Non leggeremo del pensionamento di Wallander perché su di quello non c’è niente da dire, ma continuerà a lavorare. Wallander va in pensione nel 2012, all’età giusta, fra sei anni. Ma continuerà a tornare: quando scrivo di sua figlia Linda, lui sarà lì intorno, perciò riapparirà ancora, pure se marginalmente. E sì, in un certo senso si può dire che passa la fiaccola a Linda.

Ha mai pensato di farlo morire? Dopo tutto è stato ferito parecchie volte…Oppure ha voluto risparmiare i sentimenti dei lettori?
     No, Wallander non muore perché ho pensato che accade molto raramente che un poliziotto muoia in azione. Non accade quasi mai. E’ vero che un collega di Wallander è morto, ma proprio per quello ho deciso che un poliziotto morto fosse sufficiente.

Come si sente senza Wallander, dopo aver vissuto così a lungo con lui? Ne sente la mancanza?
     Non posso sentire la mancanza di una persona che non è una persona. Voglio dire, è un’immaginazione nella mia testa. Sarebbe molto romantico sentirne la mancanza. E poi lui è ancora presente, ci sono ancora storie con Wallander, non posso ancora sentirne la mancanza.

Il rapporto di Wallander con il padre non è facile: è un problema di aspettative sbagliate da parte del padre?
     Kurt Wallander non ha un rapporto facile con il padre per molti motivi, soprattutto per le complicazioni normali di un rapporto tra padri e figli. Hanno dei caratteri diversi, non si capiscono, e poi c’è il fatto fondamentale che il padre non ha mai accettato la scelta del figlio di diventare poliziotto. Adesso è morto e ha lasciato molte questioni non risolte, è piuttosto normale nella vita. D’altra parte non voglio fare un’analisi psicologica troppo approfondita dei miei personaggi. Ogni genitore affronta questi problemi.


Il padre di Wallander è un personaggio buffo e tuttavia ammiriamo la sua ostinazione, il suo parlare di sogni e dell’essere leali ai propri sogni. Si hanno ancora grandi sogni ai nostri tempi? È una figura del passato?
     Non penso sia una cosa generazionale. Penso che persone di tutte le generazioni abbiano sogni di un altro mondo, di un mondo migliore, di un’altra vita, di una vita migliore. Tutti hanno sogni. Penso che sia importante che ci ricordiamo che, se non abbiamo sogni, abbiamo perso anche la nostra essenza spirituale. Molte persone oggi, invece di avere sogni, lasciano che gli altri sognino per loro, guardando soap opera alla TV. Ma credo che lo spirito dell’essere umano sia nei sogni che ha. E io spero di continuare a sognare anche quando sarò vecchio.

Wallander vuole evitare, in quanto padre a sua volta, di ripetere con la figlia Linda gli stessi errori di suo padre? Di essere troppo tirannico con lei?
     In un certo senso sì, poi però si rende conto che forse, dopo tutto, si comporta proprio come suo padre. Magari si pensa di essere diversi e poi si è ugualmente prevaricatori.   

In questo libro Wallander, negli anni ‘70, si domandava già che cosa stesse succedendo alla Svezia e in altri romanzi già letti abbiamo visto che continua a domandarselo: c’è forse una Svezia idealizzata, il paese della pace e dell’uguaglianza, e un paese vero che nasconde la violenza e le ambizioni?
     Si può dire che la Svezia sia un paese in Europa che è simile a molti altri. La Svezia è piena di contraddizioni, come lo è l’Italia o la Svizzera. Non voglio cambiare il quadro tranquillo della Svezia, voglio solo mostrarne le contraddizioni.

In una delle storie di “Piramide” l’assassino è un uomo di colore: il volto dell’Europa sta cambiando, scopriamo forse di essere tutti razzisti nel momento in cui ci sentiamo minacciati dal numero della gente di colore che ha invaso i nostri spazi?
    Direi che sia sbagliato dire che ci scopriamo tutti razzisti. Oggi questo è un problema in Europa e dobbiamo combatterlo. Sono ottimista per il futuro perché credo nelle nuove generazioni, nei giovani che avranno una visione diversa del fatto che, anche se la gente ha un colore di pelle differente, siamo tutti uguali. Sono molto ottimista per il futuro. Credo che le generazioni giovani risolveranno il problema.


In un altro suo romanzo non ancora tradotto in italiano, “The return of the dancing master”, il problema della discriminazione contro gli stranieri è collegato con i gruppi neo-nazisti: pensa che il neo-nazismo possa essere un vero pericolo anche in un paese tradizionalmente pacifico come la Svezia?
   Non credo che gli skinheads costituiscano un problema, ma dobbiamo fare attenzione alle forze oscure ultraconservatrici, siano esse di matrice fascista o nazista. Dobbiamo renderci conto che sono dappertutto, in Italia e in Svezia; dobbiamo fare attenzione, stare in guardia, soprattutto in tempi in cui c’è molta disoccupazione è facile che questa gente cerchi di “pescare in quelle acque”, come si dice da noi.

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos



                                                                                                           

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