lunedì 24 novembre 2014

Margaret Forster, "La damigella sconosciuta" ed. 2014

                                    Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
         fresco di lettura

Margaret Forster, “La damigella sconosciuta”
Ed. e/o, trad. C. De Caro, pagg. 263, Euro 15,30  
Titolo originale: The Unknown Bridesmaid

    Aveva mentito. Nel momento in cui aveva omesso di accennare a quella parte del pomeriggio, quella in cui aveva portato il piccolo Reggie a fare una passeggiata, cominciò a sentirsi male. Le bugie portavano altre bugie, le aveva sempre detto sua madre, e si finiva sempre nei guai.

      “La damigella sconosciuta”: c’è già tutto nel titolo del romanzo di Margaret Forster. Quando Jane aveva otto anni, aveva fatto da damigella d’onore al matrimonio della cugina Iris. Le avevano fatto delle foto insieme agli sposi e alle altre damigelle. Anni dopo una di queste foto era stata pubblicata su un giornale, per illustrare un articolo sui cambiamenti della moda degli abiti da sposa nel tempo. La dicitura sotto la fotografia indicava i nomi delle persone ritratte, tranne che per Julia, però, dove si diceva ‘damigella sconosciuta’. E Julia resterà sconosciuta: è difficile conoscere Julia, terminiamo la lettura del libro e non sappiamo che cosa pensare di lei, ci pare di sapere tutto, eppure la sua personalità è sfuggente, ambigua. Ed è su questo che gioca l’attrattiva sottile del romanzo, perché la narrativa è in terza persona ma è interamente dall’unico punto di vista di Julia, sia quando ricostruisce il passato, sia quando racconta il presente.
     Julia era cresciuta con la madre, aveva pochi ricordi del padre, morto presto. Una madre rigida, che aveva idee chiare su quello che una bambina potesse o non potesse fare, su come dovesse comportarsi, su che cosa fosse adatto per le sue orecchie di bambina e che cosa invece non dovesse sapere. Per Julia bambina c’è sempre un alone di mistero e di segretezza intorno ai grandi eventi di quei primi anni- la morte prematura del marito della cugina poco dopo il matrimonio (e Julia ha dimenticato di dare a Iris una scatoletta che lui le ha affidato in chiesa- un segreto, non deve parlarne con nessuno), la gravidanza che strappa Iris dal torpore, il secondo dramma della scomparsa del piccolo Reggie. Questa mancanza di chiarezza nel linguaggio, che contribuisce ad una certa confusione mentale, è un retaggio di pudore vittoriano e ci aiuta ad entrare nel piccolo mondo chiuso della provincia inglese. Il bambino Reggie non scompare, muore. E qui inizia la storia della personalità doppia e contorta di Julia.
    Nella narrazione che si svolge nel presente Julia è una psicologa infantile e la vediamo intenta, nei vari capitoli, a parlare con qualche bambina (le sue pazienti sono tutte bambine di una fascia di età- non a caso- tra gli otto e i quindici anni).
Ci rendiamo conto, a poco a poco, che le malefatte delle bambine, tutti i loro comportamenti anomali, le piccole azioni di crudeltà criminale, il rifiuto delle persone che sono loro vicino, le menzogne, i furtarelli- tutto ha un richiamo nel passato di Julia, nella bambina che era e in quello che ha fatto. Julia che disobbedisce, spinge la carrozzina di Reggie sul marciapiede facendola capovolgere: il bambino è morto perché ha picchiato dalla testa o è morto per la sindrome ‘morte nella culla’? comunque Julia tace, non confessa mai di essersi spinta fuori dal cancello. E’ questo primo occultamento della verità che provoca i comportamenti degli anni seguenti che paiono essere suggeriti da uno spiritello maligno? E’ la gelosia che la spinge a mettere in pericolo la cuginetta Elsa, nata dal secondo matrimonio di Iris? E’ il desiderio di sentirsi invincibile che la spinge a rubacchiare senza che nessuno se ne accorga? Finché ci sono episodi più gravi, il marito di Iris la porta da una psicologa e Julia scappa.
  
  C’è uno sdoppiamento nella narrazione ma anche uno sdoppiamento nella personalità di Julia. I suoi studi e il suo lavoro avrebbero dovuto insegnarle diversamente, eppure si decide solo ora, da adulta, a rivangare il passato e a confessare a Iris  la sua probabile colpevolezza. A che cosa serve?- le urla Elsa, adulta anche lei ora, che ha intercettato la lettera indirizzata a sua madre. E’ un’ambiguità che ci disturba, la capacità di Julia di interpretare correttamente le motivazioni del comportamento delle sue piccole pazienti, l’evidente empatia per dei casi in cui rivede se stessa, e poi, invece, la totale incapacità di leggere chiaro dentro di sé.
     Un romanzo capace di scavare, con leggerezza, nella psiche infantile cercando nel passato le cause di una fragilità interiore difficile da sanare nell’adulto, scritto con la meravigliosa raffinatezza che sembra essere una prerogativa delle scrittrici inglesi.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


   


Nessun commento:

Posta un commento