martedì 4 novembre 2014

Kakuta Mitsuyo, "La cicala dell'ottavo giorno" ed. 2014

                                                     Voci  da mondi diversi. Asia                                  
                                                     fresco di lettura

Kakuta Mitsuyo, “La cicala dell’ottavo giorno”
Ed. Neri Pozza, trad. G. Coci, pagg 288, Euro 18,00
Titolo originale: Yōkame no semi

Verso la fine dell’estate, scoprii che era sposato. Kishida ha trent’anni e, per quel poco che so, una moglie di un anno più giovane e un figlio di due anni. Quando venni a saperlo, ebbi una reazione molto strana, lo ammetto: scoppiai a ridere e non riuscivo più a smettere. Incredibile ma vero, stavo seguendo lo stesso identico percorso della persona sul cui conto avevo letto tanto, la donna che mi aveva rapita e allevata. Le assomigliavo, anche se nelle nostre vene scorreva sangue diverso. Era di me che ridevo, di me stessa e di nessun altro.



     Leggere la trama di un libro non significa nulla. A volte iniziamo con entusiasmo un libro, perché la vicenda ci interessa, o ci sembra originale, e restiamo delusi dallo stile piatto e dalla mancanza di vita dei personaggi. A volte, invece, la trama ci appare banale, e poi, quale sorpresa! E’ il modo di raccontare dello scrittore che ci trascina, che rende unica la storia, incantandoci. Avviene così per “La cicala dell’ottavo giorno” della scrittrice giapponese Kakuto Mitsuyo.
    Una giovane donna, Kiwako, ruba una neonata, riesce a tenerla con sé per tre anni e mezzo, finché viene scoperta. La bambina ritorna dai genitori e Kiwako sconta anni di prigione. Abbiamo letto di frequente articoli di giornale con fatti analoghi, ci siamo chiesti quale incuranza da parte del padre e della madre abbia reso possibile il furto e quale disturbo psicologico abbia indotto una donna a compiere un simile gesto che ci appare esecrabile, senza alcuno sconto. Eppure…E qui entra in gioco la bravura di Kakuta Mitsuyo che trasforma questa trama in un romanzo ricco di suspense, profondo, di varie sfaccettature.

    Tutta la prima parte del libro è raccontata dalla stessa Kiwako, perciò noi sappiamo solo quello che lei ci fa sapere a poco a poco, cioè i fatti e non gli antefatti. Non veniamo a conoscenza subito del dettaglio importante che la bambina è figlia dell’uomo che lei ha amato e che l’ha ingannata, non dicendole che era sposato, facendole poi credere che avrebbe divorziato, inducendola ad abortire e rivelandolo dopo che aspettava un figlio da sua moglie. Comunque Kiwako entra nella casa che ha tenuto d’occhio da tempo, sente la bimba piangere, la prende in braccio, non riesce a metterla di nuovo giù e scappa. E’ come un raptus. Le dà subito un nome, Kaoru, come il suo bambino mai nato. Impara a mentire, cercando rifugio da un’amica, e poi ancora in fuga, quando trova alloggio da una vecchia in una baracca che deve essere demolita, e infine nella Casa degli Angeli, una comunità, o una setta di sole donne che accoglie altre donne in base a criteri che Kiwako non capisce (saranno chiari alla fine del libro), ad eccezione di uno: chi chiede di essere accettato nella comunità deve acconsentire a consegnare tutti i suoi averi. Kiwako non ha scelta, si batte solo per poter tenere accanto a sé la ‘sua’ Kaoru. Va bene che i bambini degli Angeli abbiano tante mamme, ma lei vuole la ‘sua’ bambina vicino, nella stanza che le è stata assegnata. Eppure anche questo luogo recluso non sarà per sempre, arrivano accuse- dopo tutto, gli Angeli non sequestrano forse le persone, come ha fatto Kiwako?-, genitori reclamano le figlie minorenni, si teme un’indagine della polizia, Kiwako fugge ancora. Arriverà su un’isola, un’altra illusione, Kiwako ringrazia per ogni giorno che le è dato di passare con Kaoru.
    Nella seconda parte del romanzo, cambia la voce narrante: è quella di Kaoru, ormai studentessa universitaria che ha ripreso il nome di Erina. Come hanno marcato la sua vita, il rapimento e poi il trauma della brutale separazione dalla donna che le hanno insegnato ad odiare ma che di certo le ha mostrato più amore della sua vera madre? Erina ha cancellato i ricordi, anche se ha letto tutti gli articoli che sono stati pubblicati sulla sua vicenda e sul processo- la sua parte di storia è inframmezzata da questi testi. E si trova, inconsapevolmente, a ripetere il modello della finta madre, di ‘quella’ donna, uscendo con un uomo sposato che approfitta di lei. E’ l’incontro con quella che- lei non lo ricorda- era stata la sua amichetta nella Casa degli Angeli, che spinge Erina a fronteggiare il suo passato.
    Questo romanzo così ricco di sfumature invita ad una serie di riflessioni, sul desiderio di maternità e su che cosa significhi essere madre, sui legami di sangue e sulla dipendenza femminile dall’uomo, su chi sfrutta la fragilità umana e,infine, sulla difficoltà di giudizio. Perché, pur condannando il crimine di Kiwako, non possiamo non pensare che forse la bambina rapita sarebbe stata più felice con lei.

C’è un altro aspetto ancora di questo romanzo che è molto piacevole. Ci trasporta in un Giappone che di moderno ha i treni superveloci, ma che è ancora ricco di atmosfera, di feste colorate e tradizionali come quella delle bambine, il 3 di marzo, o quella in cui si affidano alla corrente le torce illuminate- a proposito, è stata una fotografia scattata nell’incanto di queste luci tremolanti che ha portato all’arresto di Kiwako.


la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it




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