martedì 11 novembre 2014

Henning Mankell, "Nel cuore profondo" ed. 2005

                                                            vento del Nord
                                                               il libro ritrovato



Henning Mankell, “Nel cuore profondo”
Ed. Mondadori, pagg. 347, Euro 17,50

E’ il 1914, è scoppiata la prima guerra mondiale, la Svezia si è dichiarata neutrale. A Lars Tobiasson-Svartman viene affidato un incarico segreto: preparare delle nuove carte nautiche, misurando le profondità marine per segnare rotte alternative. Sposato con una donna con cui scambia poche parole, Lars ha bisogno di tenere tutto sotto controllo, eppure gli succede qualcosa durante il viaggio a bordo della cannoniera, affiora in lui un’altra persona. Quando incontra una donna su un’isola sperduta, se ne innamora. E’ una follia progressiva che lo induce ad azioni e comportamenti al di fuori di ogni legge, un crescendo di menzogne e violenze fino al condurre una doppia vita, con una conclusione inevitabilmente drammatica.

INTERVISTA A HENNING MANKELL, autore di “Nel cuore profondo”

E’ la storia di due follie, il nuovo romanzo “Nel cuore profondo” dello scrittore svedese Henning Mankell, famoso per avere creato un personaggio leggendario nella letteratura di genere poliziesco, il commissario Kurt Wallander. E l’inizio della storia, con una donna che cerca di fuggire dall’ospedale psichiatrico in cui è rinchiusa da ventidue anni, è il punto di arrivo di un viaggio iniziato nel 1914, ventitre anni prima, quando Katrina Tacker aveva salutato il marito, Lars Tobiasson-Svartman, con le parole, “Sta per iniziare quello che desideri da tanto tempo”. Desiderava andarsene, Lars Tobiasson-Svartman, aveva sempre desiderato prendere le distanze da tutto e da tutti, perché era vissuto in un mondo fatto di distanze, tra lui e la madre, tra lui e il padre, tra sua madre e suo padre. E il suo bene più prezioso, il batimetro, con il lavoro che lo appassionava, misurare le profondità marine, gli permettevano di definire e controllare le distanze. E’ un duplice viaggio nel paese dei ghiacci, quello della nave e quello personale di Lars, immerso in una nebbia che impedisce di vedere, e l’incontro con la donna dal tragico passato che vive in solitudine su un’isola deserta e selvaggia porta fuori anche il lato selvaggio di Lars, quel doppio che  suo suocero e il capitano della nave hanno intravisto, fiutando la menzogna intorno a lui.
Una volta che Lars inizia a mentire, gli è facile proseguire: a Sara Fredrika, la donna dell’isola, racconta di aver perso moglie e figlia, e poi le dirà che il disertore tedesco approdato su quelle sponde si è suicidato; al ministero svedese dichiarerà che ci sono delle misurazioni sbagliate che deve rifare; nelle bugie intessute per la moglie Lars sviluppa il massimo dell’inventiva, chiedendo il suo silenzio su missioni segrete e descrivendo itinerari mai fatti. Impossibile fermare anche il percorso della violenza, una volta che si è iniziato. Uno schiaffo in un momento di rabbia, un animale accoltellato senza motivo, un omicidio dettato dalla gelosia, degli agguati con intenti mortali a persone per cui prova rancore. E’ arrivato al fondo, quello che sognava, quello che il batimetro non sarebbe mai riuscito a scandagliare? Non può che finire in un abisso coperto dai lastroni di ghiaccio, questo viaggio nel cuore di tenebre. C’è solo una persona che si salva, la donna dell’isola, temprata dalla solitudine che le ha insegnato a tenere a bada la follia della sua disperazione personale. Stilos ha incontrato a Milano lo scrittore svedese Henning Mankell.

“Nel cuore profondo” non è il suo primo romanzo senza l’ispettore Wallander e tuttavia rappresenta un cambiamento: sentiva la necessità di distaccarsi dal suo famoso personaggio?
        In realtà le cose non stanno proprio così, perché nei quindici anni in cui ho scritto di Wallander, ho scritto anche altri otto libri. Perciò non è una novità che io cambi il genere di romanzo che sto scrivendo, perché l’ho sempre fatto. Ho scritto “Nel cuore profondo” non perché avessi bisogno di prendere le distanze dall’ispettore Wallander, ma perché erano anni che pensavo a questa storia. Perché? Perché volevo riflettere sul perché al mondo ci siano troppi uomini che mentono quando si tratta di sentimenti. Ci sono troppi uomini che agiscono senza controllo dei sentimenti nei riguardi delle donne, e se un uomo perde il controllo, può sprofondare nell’abisso interno e può accadere di tutto. Ecco, a parte l’esperienza personale che mi viene dall’essere un uomo, è dalla parola “abisso” che mi è venuta l’ispirazione per una storia sull’abisso. Nel dramma “Woyzeck” di Georg Büchner c’è una frase, “guardare dentro l’uomo è guardare in un abisso”. Sono parole che hanno vissuto dentro di me per anni e da qui mi è venuta l’idea di scrivere di un uomo e del suo abisso. Questo è il primo libro di una trilogia sugli abissi in cui portano le menzogne.

All’inizio del romanzo leggiamo che Lars Tobiasson-Svartman ha aggiunto il cognome della madre a quello del padre: è un cenno alla sua doppia personalità? È un tentativo di tenere a bada la parte di sé che ha ereditato dal padre, la sua violenza?
       Proprio così, Lars aggiunge il cognome di sua madre a quello di suo padre per tenere il padre a distanza. Perché ha paura, teme che ci sia uno spirito cattivo nel nome del padre. E il nome della madre è per lui come un riparo.

Leggiamo anche che sua moglie ha mantenuto il cognome da ragazza e si parla sempre di lei indicandola con nome e cognome: lo ha fatto intenzionalmente per far capire al lettore quanto sia distaccato il rapporto tra lei e il marito?
        In un certo senso sì, ed è vero che ho usato i nomi con un intento preciso, per aggiungere una dimensione alla storia. Per Katrina Tacker volevo usare il cognome da ragazza per indicare che non è molto coinvolta con il marito. E mi piace che sia il lettore a cercare una spiegazione. Ma l’idea della trama è che lui ha rapporti con due donne e arriva al punto da dare lo stesso nome alle due figlie. Per questo particolare l’ispirazione mi è venuta dall’Africa: nei tempi coloniali i portoghesi che arrivavano in Mozambico erano soli, avevano lasciato la famiglia in Portogallo. Trovavano lì nuove donne, si facevano una  nuova famiglia e davano ai bambini lo stesso nome di quelli che già avevano a casa, e poi scrivevano alle mogli che era troppo pericoloso per loro venire in Mozambico. E se poi queste venivano lo stesso e scoprivano che c’erano delle altre donne e degli altri bambini, era tremendo. Come avviene nel romanzo.

Gli altri due romanzi pubblicati in italiano che non fanno parte della serie dei romanzi polizieschi sono ambientati in Africa o gettano uno sguardo sull’Africa. “Nel cuore profondo” è ambientato al largo della costa della Svezia, in un paese ghiacciato e raggelante. Ha un valore metaforico questo paesaggio?
      In tutto quello che scrivo il paesaggio è un personaggio. Perché credo che il paesaggio dentro e fuori di noi sia molto importante. Tutti noi non facciamo che parlare del tempo, tutte le azioni umane sono basate sul clima. Se mi chiedessero quale è la differenza tra la Svezia e il Mozambico, direi che è il clima: ci comportiamo secondo il clima, altrimenti piangiamo e ridiamo per le stesse cose. Ma in Africa, per via del clima, si è meno vestiti e la vita erotica, per forza di cose, è più veloce, ci vuole meno tempo a svestirsi.

I sogni ricorrono spesso nel romanzo: che valore attribuisce ai sogni?
        Tutti sogniamo, molti ricordano i sogni meglio di altri. Per esempio la scorsa notte ho sognato che camminavo in un parco di Milano e c’era una donna seduta su una panchina che mi pareva di aver già conosciuto. Gliel’ho chiesto e lei mi ha risposto di no, ma io ho pensato che stesse mentendo. A questo punto il sogno ha assunto una carica erotica, purtroppo mi sono svegliato. Tutti i sogni che ho, anche se sogno di altre persone, sono un messaggio che mando a me stesso. Uso così il sogno nel romanzo, faccio sognare i miei personaggi perché il sogno contiene dei messaggi per il proprio io che possiamo scegliere di ascoltare oppure no. Domani potrei provare a cercare la panchina con la donna del mio sogno: questo è un sogno che Fellini avrebbe potuto utilizzare in un film- Fellini è uno dei miei eroi.

 Ha citato Fellini, sappiamo che lei ha sposato la figlia del grande regista svedese Bergman: quali sono i suoi rapporti con Bergman?
       Con Bergman c’è un rapporto di parentela, ci vediamo spesso, ormai sono una delle poche persone con cui oggi ha rapporti- ha 87 anni.
Parliamo di musica e della vita. Quando gli ho dato da leggere il primo capitolo del romanzo ha commentato, “Mi piace, vorrei leggerlo fino alla fine”. Per me è stato un incoraggiamento a finirlo. Quando si ha un rapporto con un simile genio, è difficile capire quello che una persona così può darci. Abbiamo delle cose in comune: tutti e due prendiamo la vita seriamente, sappiamo che si vive una volta sola e che nella vita non si torna indietro e bisogna prendere quello che c’è. Ho sempre cercato di capire perché vivo e come è fatto il mondo che mi circonda e la stessa cosa fa Bergman. In questo senso siamo fratelli e in questo senso usiamo l’arte come uno strumento per capire la vita. Come faceva Leonardo che cercava di capire la vita che lo circondava, come facciamo tutti, cercando di comprendere il senso della vita e qual è lo scopo della nostra esistenza.

Ritornando all’ispettore Wallander: noi lettori siamo così affezionati a lui che temiamo il momento in cui scomparirà dalla scena. Invecchierà e andrà in pensione, o- senza svelare troppo del suo futuro- ha altri piani per lui?
     Penso che farò seguire a Wallander il percorso normale della vita, andrà in pensione tra 8 anni, quando ne avrà 65. Riguardo ai piani che ho per lui, parteciperà ad un paio di romanzi con sua figlia Linda e poi sparirà lentamente.

Perché ha sentito il bisogno di mettere in primo piano il personaggio di Linda nel libro “Prima del gelo”, in cui è lei la protagonista come ispettore di polizia? Per cambiare o per offrire al lettore un altro punto di vista su Wallander?
     
La risposta è sì in entrambi i casi. I figli sono degli esperti dei genitori e Linda è esperta del padre. Potevo dire tante cose su di lui che altrimenti non avremmo potuto sapere, se non tramite Linda. E poi per me scrivere un romanzo con una giovane poliziotta come protagonista è stata una sfida maggiore che non scrivere di un uomo della mia età. Per farlo, per la durata di un anno e mezzo prima di scrivere il libro, una poliziotta ha scritto per me un diario della sua vita di lavoro e mi è servito moltissimo: le reazioni degli uomini e delle donne sono diverse nelle stesse situazioni.

Che cosa prova per un personaggio che ha preso vita al di fuori delle pagine dei libri?
       Per Wallander provo sentimenti contradditori. Devo dire che nell’insieme non mi piace, perché ha dei lati cattivi, a volte tratta male le persone. Sono diverso da lui, in comune abbiamo l’età, l’amore per l’opera e il fatto che lavoriamo molto. Se esistesse veramente non saremmo amici. E’ più facile scrivere di una persona che non ti piace, perché non c’è molto da dire di una persona che ti piace. Prendiamo “Otello”, per esempio: il personaggio più affascinante è Iago, penso che a Shakespeare interessasse più Iago di Otello. E penso sia così per tutti.

Lei dirige un teatro in Mozambico: che cosa l’ha portata in Mozambico?

       La risposta non è semplice. In breve: da giovane volevo avere una prospettiva sul mondo da fuori dell’Europa. Sono andato in Africa per quello ed è per quello che sono ancora là. Credo che l’esperienza africana mi dia una visione migliore del mondo. Prima ancora di scrivere romanzi, ero regista e scrittore di teatro, sono stato invitato a lavorare con il Teatro Nazionale di Maputo e lavoro ancora con loro. E’ un’avventura meravigliosa ed è per questo che vivo per lo più là.

Un altro suo libro verrà pubblicato questo mese in Italia, “Io muoio ma il ricordo vive”, sui bambini i cui genitori sono morti di Aids. In un altro libro, “Comédia infantil”, c’è un ragazzino che racconta la sua vita prima di morire: è la condizione dei bambini che la colpisce di più in Africa?
Sì e no. La condizione dei bambini mi tocca in profondo perché viviamo in un mondo terribile e ci sono tante cose tremende che avremmo potuto risolvere. Soprattutto per quello che riguarda i bambini, avremmo potuto aiutare molti bambini a vivere e invece abbiamo scelto di non farlo. Ho scritto molti libri in cui i bambini hanno una parte importante, ma non è stata una decisione, l’ho fatto perché per me è fondamentale.

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos



                                                                                               


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