giovedì 27 novembre 2014

Maria Venegas, "La figlia del fuorilegge" ed. 2014

                                               Voci da mondi diversi. America Latina
fresco di lettura


Maria Venegas, “La figlia del fuorilegge”
Ed. Bollati Boringhieri, trad. M. Faimali, pagg. 376, Euro 15,30
Titolo originale: Bulletproof Vest: The Ballad of an Outlaw and His Daughter


Se potessi fare uno scambio di teste, rinuncerei alla sua pur di riavere indietro mio fratello. All’epoca correva voce che l’omicidio di mio fratello avesse qualcosa a che vedere con mio padre, una vecchia faida o qualcosa del genere. Si diceva che qualcuno fosse stato pagato per uccidere Jose Manuel Venegas e avesse fatto fuori la persona sbagliata. Perfino mia madre dava la colpa a mio padre. Secondo lei Dio si era preso mio fratello per ‘occuparsi’ di mio padre- in modo che si decidesse ad abbandonarsi al Signore una volta per tutte.


     Bajaron al Toro Negro. Hanno abbattuto il Toro Nero. Nelle parole del primo pensiero che passa per la mente a Pascuala quando apprende della morte del marito cogliamo stupore, incredulità e, sì, ammirazione. Pascuala e Jose erano separati da più di vent’anni- lui dava la colpa agli alleluia (la Chiesa che Pascuala si era messa a frequentare troppo assiduamente), lei agli eccessi di lui-, eppure c’è qualcosa di così violento e definitivo nel verbo bajaron che usa Pascuala, come se fosse necessaria una forza bruta per uccidere un uomo che aveva sette vite come i gatti, che era già sfuggito infinite volte alle grinfie della morte, qualcosa che comunica rispetto nell’immagine grandiosa e selvaggia del Toro Nero che si distingue da tutti gli altri e che non può semplicemente essere ucciso, deve essere abbattuto.

     Jose Venegas è il Toro Nero che si ammira e che si teme, un personaggio affascinante nella sua complessità e nella sua negatività. La figlia Maria Venegas gli dedica un romanzo, “La figlia del fuorilegge”, un memoir che narra per lo più le vicende della vita del padre inframmezzandole, a tratti, con quelle della sua propria vita, spostando il racconto tra il Messico e gli Stati Uniti. E se, all’inizio, prevale il sentimento di rifiuto, quasi di odio, per un padre che ha abbandonato la moglie e gli otto figli, si è messo con un’altra donna, ha ucciso non sa neppure lui quanti uomini, è stato la causa dell’assassinio del figlio primogenito, ha scontato anni di prigione, è scampato miracolosamente ad imboscate per essere infine rapito dai membri di un cartello della droga, a poco a poco Maria si riavvicina al padre, forse perché si sente simile a lui- l’ereditarietà non perdona-, perché ama il paesaggio messicano quanto lui, perché gode della vita primitiva che fa quando va a trovarlo, perché prova un istinto di protezione nei confronti di un uomo che deve essere difeso da se stesso e dalla sua inclinazione al bere fino a mettersi in situazioni di pericolo- come troppe volte è successo.

      Le parti del romanzo in cui Maria parla di sé, dei suoi studi, delle sue esperienze amorose e poi dei primi tentativi di scrittura sono interessanti ma pallide, di certo è Jose Venegas che ruba la scena, che si impone di prepotenza sulla pagina. Ogni volta che i ricordi di Maria si volgono al passato, alla paura che tutti loro avevano quando lui si metteva a sparare perché ubriaco, o a quando avevano dovuto abbandonare in fretta la casa per timore di una qualche vendetta, prevale l’astio verso un padre che non permette ai figli di avere una vita tranquilla come i compagni di scuola. Eppure quella del padre è già un’immagine ingigantita dalla fantasia infantile, nutrita dalle leggende familiari- il padre soprannominato il cento vacche, il padre che corteggiava Pascuala, il padre bambino a cui la madre aveva ordinato di non tirarsi mai indietro, il padre e il suo fucile appeso sopra il letto, il padre con la pistola sotto il cuscino-, diventa l’uomo che affascina anche se non si approvano le sue azioni.
E quando Maria incomincia ad andare a passare dei lunghi periodi in Messico con lui, conosce un altro suo aspetto: Jose Venegas che tratta cavalli e vacche con ‘sentimento’, che fiuta l’aria avvertendo il temporale, che conosce ogni erba e ogni sasso di quelle distese vaste e desertiche che aprono la porta su un altro mondo, lontano anni luce da Chicago o da New York. Jose Venegas riesce a farsi amare, cancellando il ricordo di un padre indifferente.
     Jose Venegas aveva già scritto prima di morire il suo ‘corrido’- la ballata o racconto di stile popolare così diffusa in Messico- anche se mancava la fine che non poteva conoscere. Sua figlia Maria ha scritto per lui questo romanzo fatto di sentimenti forti e violenti, aspri come lo è la natura di quella terra: il più bel corrido che Jose Venegas potesse avere.

la recensione e' stata pubblicata su www.wuz.it


     

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