vento del Nord
il libro ritrovato
Henning Mankell,
“Ricordi di un angelo sporco”
Ed. Marsilio, trad. Giorgio Puleo, pagg. 393, Euro 19,50
Titolo originale: Minnet av en smutsig ängel
D’un tratto. Hanna fu colpita
da un’immagine come un lampo, vide il senhor Pedro afferrare Isabel per le
gambe e gettarla al coccodrillo. Quel pensiero la fece sussultare e lasciò
cadere a terra la tazza che teneva in mano. All’immagine della donna nera
gettata in acqua, ne seguì subito un’altra. Questa volta era Hanna a cadere in
acqua, anche se era bianca.
C’era una volta una ragazza che viveva nel
nord della Svezia. Si chiamava Hanna Renström. Viveva con i genitori, la sorella e i fratelli in una
casupola fatta di assi che lasciavano passare il gelo dei lunghi inverni. Erano
poveri, la terra era avara.
C’era una ragazza, di nome Hanna Renström, che la madre mandò via, in
città, facendola salire sulla slitta di un commerciante. Hanna aveva
diciassette anni. Per una serie di circostanze Hanna si trovò ad accettare un
lavoro insperato: fare la cuoca a bordo di una nave in partenza per
l’Australia. Navigavano da solo un mese quando Hanna si innamorò del nostromo
Lundmark, un giovane gentile. Si sposarono. Pochi mesi dopo Hanna era vedova.
C’era una ragazza, di nome Hanna Lundmark Renström, che non riusciva più
a vivere sulla nave dove vedeva ovunque l’immagine dell’uomo che aveva amato.
Scese a terra quando la nave era nel porto di Lourenço Marques, nella colonia
portoghese del Mozambico. Prese una stanza in un albergo. Stette molto male.
Quando guarì si rese conto che l’albergo era in realtà un bordello, il luogo
dove i bianchi compravano sesso con donne nere.
C’era una ragazza
che veniva dal Nord, Hanna Lundmark Renström, che finì per accettare la domanda
di matrimonio del proprietario dell’albergo, diventò Hanna Vaz, non consumò mai
il matrimonio, restò vedova una seconda volta. Ma aveva ereditato l’albergo e
avrebbe dovuto gestire lei la squadra di puttane nere. Era il 1904.
Il romanzo “Ricordi di un angelo sporco” di Henning Mankell è la storia
di questa donna. Una storia che parte da una verità- ci dice lo stesso Mankell.
Gli archivi di Maputo, un tempo Lourenço Marques, riportano di una svedese che,
agli inizi del ‘900, era stata tenutaria di un bordello. Poi la donna era
improvvisamente scomparsa. Su questo spunto reale l’immaginazione di un grande
scrittore costruisce la vita di un personaggio che non si dimentica. Perché, in
un certo senso, Hanna Vaz Lundmark Renström è la controparte di Kurtz, mitico
personaggio conradiano. Addentrandosi nel Congo selvaggio Kurtz si era
arricchito enormemente ma si era dannato. Le sue ultime parole, “L’orrore!
L’orrore!”, erano di un uomo che si affacciava sull’abisso degli inferi, che
vedeva la colpa di cui si era macchiato- trattare gli indigeni come bestie,
negando loro la dignità umana. Il percorso di Hanna, la donna bianca che si
trova in un mondo che le è alieno e che non capisce, è l’opposto. E ci
domandiamo se Mankell, avendo scelto una donna per dirci quello che vuole dirci
dell’Africa, abbia un ulteriore significato, al di là del dato reale. Con la
sua sensibilità femminile, Hanna osserva subito come vengono trattate le donne
nere che vendono il loro corpo. Come vengono trattati tutti i neri in questa
città che si affaccia sull’oceano indiano. Si dà per scontato che i neri siano
inferiori, che siano bugiardi, che vadano puniti alla minima infrazione, o
anche solo ad un ritardo nell’obbedire.
I neri non devono neppure osare di guardare
in faccia un bianco. E bisogna dire che il senhor Vaz è un padrone che ha cura
delle puttane nere del suo bordello e non accetta che possano essere
maltrattate dai clienti. Hanna è sconcertata. E’ dibattuta. C’è un momento in
cui vacilla, tra quello che il suo io più profondo le suggerisce e la forza
opposta che la attrae, di imitare il comportamento dei bianchi che le stanno
attorno. Finché le è chiaro quello che non
vuole essere. Da allora la sua è una strada in salita, irta di difficoltà.
Ha il potere dei soldi (tantissimi, più di quelli che avrebbe potuto anche solo
sognare). Con i soldi può comprare il funerale per una delle “sue” donne, può
sfidare l’opinione pubblica come unica bianca tra i neri a scortare un
funerale. Può pensare a garantire un futuro per le puttane ormai troppo vecchie
per l’uso. Può dare denaro extra per le loro famiglie. Può assumere un avvocato
per la difesa di una donna nera che ha ucciso il marito bianco, padre dei suoi
figli. Può entrare a testa alta ogni giorno nella cella dove la donna è
imprigionata. Può fare a meno dell’approvazione e del sostegno dei bianchi.
Ormai Hanna- che ha ancora cambiato nome insieme alla sua personalità, Ana
Branca (bianca) e poi Ana Negra- è
come Carlos, lo scimpanzé addomesticato che ha ereditato insieme al bordello,
né animale né uomo, incapace di tornare al mondo da cui viene, un estraneo nel
mondo in cui vive. Hanna è un “angelo sporco”, come la chiamava suo padre.
Sulle ali ha la polvere di sporcizia del modo in cui si è arricchita, ma è pur
sempre un angelo che sta a fianco di chi calpesta quella polvere.
Nel pieno della sua maturità come scrittore, dopo i romanzi che lo hanno
reso famoso con l’ispettore Wallander, Mankell ci ha dato un libro bellissimo
che è un ‘mea culpa’ della razza bianca per il suo passato coloniale.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
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