martedì 24 gennaio 2017

Barbara Vine, “Il Minotauro” ed. 2006

                                 Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
         noir
         il libro ritrovato


Barbara Vine, “Il Minotauro”
Ed. Fanucci, trad. Eleonora Federici, pagg. 297, Euro 16,50

   I lettori appassionati di genere ormai sanno non solo che Barbara Vine e Ruth Rendell sono la stessa persona, ma anche che Barbara Vine e Ruth Rendell sono in realtà due identità diverse nella stessa persona, una sorta di Dottor Jekyll e Mr. Hyde, se non fosse per i connotati specifici di bene e male che questa spaccatura di personalità ha assunto. Che certamente il romanzo dell’una non è scambiabile con quello dell’altra: Ruth Rendell scrive thriller eleganti e i romanzi di Barbara Vine sono dei noir eleganti, un’interpretazione e un proseguimento del romanzo gotico inglese, con un marcato interesse per psicologie distorte o con turbe della psiche causate da traumi o esperienze di vita.
    Si intitola “Il Minotauro” il nuovo romanzo di Barbara Vine, alludendo al mitico mostro con corpo di uomo e testa di toro che Minosse, vergognandosi di questo figlio nato da un rapporto adulterino della moglie Pasifae, aveva fatto rinchiudere nel labirinto costruito apposta per lui. E c’è un personaggio simile al Minotauro nel libro di Barbara Vine: un uomo sulla quarantina che viene trattato dai familiari come se fosse un bambino e tuttavia è un genio in matematica, che non ha nessun rapporto con il mondo esterno, che non sopporta di essere toccato. E c’è pure un singolare labirinto nel libro, non costruito all’esterno ma all’interno della casa, con barriere separatorie di libri invece che di siepi.

    Una vecchia casa inglese sprofondata nella campagna dell’Essex, una madre anziana con quattro figlie e un unico figlio maschio, un’eredità che andrà tutta all’uomo chiaramente ammalato, a meno che…Questi sono gli elementi della trama, niente di nuovo, trasformati tuttavia dalla scrittura della Vine che adotta un doppio filtro narrativo: il primo è dato dalla distanza temporale, perché gli eventi avvenuti sul finire degli anni ‘60 vengono raccontati nel presente, richiamati alla memoria da un incontro occasionale. Sistema ottimo per permettere alla scrittrice una certa vaghezza, un’osservazione di quanto siano cambiati i costumi, gli usi di vita nonché la morale delle persone. Persino la giustificata ignoranza su quale sia la malattia di John Cosway che il lettore, memore del film “Rain man” e di romanzi recenti come quello di Mark Haddon, riesce presto a identificare.
Il secondo filtro è il narratore esterno, la narratrice in questo caso: la storia è raccontata da Kerstin Kvist, ventiquattrenne svedese che accetta il lavoro come infermiera di John Cosway per restare in Inghilterra, vicino al ragazzo di cui è innamorata. L’occhio osservatore di Kerstin ha il vantaggio della giovinezza, dell’estraneità e quindi di abitudini diverse, per registrare le strane alchimie famigliari e individuare anomalie nel comportamento della madre e delle sorelle. In più, le sue conoscenze in campo medico la fanno sospettare che il problema di John non sia la schizofrenia e, ancora, Kerstin tiene un diario- in svedese- che risulterà utilissimo alla polizia.

     Come gli altri libri di Barbara Vine, anche “Il Minotauro” è un romanzo di atmosfere e di indagine psicologica, leggermente claustrofobico come i romanzi di Agata Christie, stilisticamente perfetto. Interessante ricordare che anche Ruth Rendell, come Agata Christie, è stata insignita di un titolo onorifico, diventando Baroness Rendell of Babergh.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


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