giovedì 19 gennaio 2017

Albrecht Goes, “Notte inquieta” ed. 2007

                                               Voci da mondi diversi. Area germanica
             seconda guerra mondiale
              il libro ritrovato

Albrecht Goes, “Notte inquieta”
Ed. Marcos y Marcos, trad. Ruth Leiser, pagg. 120, Euro 11,00

   In genere è alla fine di una recensione che è permesso dire che un libro è bello, dopo aver messo in luce il perché. Per questo sottile romanzo dello scrittore tedesco Albrecht Goes, “Notte inquieta”, lo diremo all’inizio, a mo’ di introduzione, e alla fine, come conclusione e invito alla lettura. Perché è bellissimo.
    Tutto avviene in una notte dell’ottobre 1942, in poche ore di buio, pochissime destinate al sonno. E’ una notte inquieta in cui c’è chi si prepara ad essere vicino ad un condannato a morte nei suoi ultimi istanti di vita, chi teme il momento in cui dovrà ordinare di far fuoco, chi fa l’amore prima di partire per il fronte, conscio che quasi certamente non vivrà per sapere se la sua ragazza porta in grembo suo figlio. Dorme il maggiore Kartuschke della Kommandantur (“ci sono uomini che non dovrebbero esistere. E costui era uno di quelli”). Dorme, perché non sa che è la sua ultima notte, il ventiduenne Baranowski, condannato per diserzione. Gli altri vegliano, perché mai come in una guerra è imperativo chiedersi il significato di ogni singola azione che compiamo, se si vuole mantenere la dignità di essere umano. Anche un piccolo gesto come stringere la mano al maggiore Kartuschke ha la sua importanza- e il cappellano militare, che è il protagonista e voce narrante (“il clown del paradiso”, lo ha chiamato il maggiore con disprezzo), sa bene che quel contatto, di pura cortesia in altra situazione, lo bolla come un vinto in questo contesto. E tuttavia ben altro valore assume lo stesso gesto, il dare la mano all’uomo che di lì a poco sarà fucilato. Per trasmettergli calma e forza. In qualità di servo del Vangelo, dalla parte dei vinti.

Mai come in una guerra le parole “vincitori” e “vinti” sono nella mente di ognuno, e in questo ottobre 1942, si può iniziare a riflettere su quale sarà l’esito della guerra per la Germania. I più hanno capito che ormai Hitler non riuscirà a vincere. Sono pochi, invece, quelli che, come il cappellano, o come il tenente Ernst- pure lui un pastore della Chiesa, in un altro mondo e in un’altra vita-, sono consapevoli che è necessario perderla, quella guerra, se in futuro vorranno ancora avere una vita degna di un uomo. Perché - e stiamo parlando ad un livello strettamente personale-, come può il tenente Ernst ordinare di sparare su un uomo? Perché se non lo fa lui lo farà un altro? E in maniera peggiore? Si può fare del male per prevenire il Male? E, se lui e il cappellano si paragonano a Kartuschke, dov’è la differenza? Sono peggiori perché sanno quello che stanno facendo? O sono quantomeno diversi perché non approvano l’ingiustizia? Ma questo è il crimine peggiore dei regimi totalitari, di rendere tutti complici, tutti colpevoli.

    Non c’è solo morte e attesa della morte, del corpo e dell’anima, in questa notte inquieta. C’è anche un barlume di luce in uno spazio angusto che riesce ad essere senza confini- nella locanda sovraffollata un capitano (si chiama Brentano, come il poeta romantico) chiede al cappellano se può far salire la sua ragazza nella stanza che condividono. Lui è stato inviato a Stalingrado (e sa bene che è una condanna a morte pure la sua) e sarà la sua prima e ultima notte d’amore.

   Un libro che riesce a parlare di Bene e di Male, di vita e di morte, di odio e di amore verso il prossimo, senza sentimentalismi e senza retorica. Un libro bellissimo. 

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.it


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