Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
diaspora ebraica
il libro ritrovato
Aryeh Lev Stollman, "Una
vecchia amica"
Niente potrebbe essere più in
contrasto che gli studi dello scrittore-narratore e quello che racconta: è
specializzato in neuroanatomia, fa ricerche sul cervello, gira per il mondo
tenendo conferenze e, di recente, vede che lei, la vecchia amica che gli ha
ispirato un libro che lo ha reso famoso, lo segue e appare nelle sale dove lui
tiene i suoi interventi. Solo lui la vede, figura incorporea che viene dal
nulla e da ogni dove. La storia della sua prima apparizione, cinquant'anni
prima, ha un tono favolistico da leggenda: era un giorno di giugno, c'era stata
una fioritura eccezionale di rose e l'aria ne era carica del profumo, lei, la
straniera, era apparsa sulla porta in una pozza di luce, con un abito di un
blu-verde, i capelli rossi e così alta da toccare l'architrave. Una figura
celeste che avrebbe cambiato la vita della loro famiglia.
Si chiamava Eva, come
la prima donna; era imparentata con il sole, per via del marito giapponese
lontano parente dell'Imperatore; arrivava dal Vecchio Mondo; conosceva sette
lingue e un'infinità di storie. Aveva compiuto un primo piccolo miracolo convincendo Asa, il fratellino del narratore,
a "guardare" il mondo, anche se i medici avevano pronosticato che
sarebbe diventato cieco. Asa che rappresenta la bellezza, come Eva, invidiato
per questo da Joseph, il narratore, lo studioso della Bibbia. L'immaginazione,
l'uno; la ragione, l'altro. Ed Eva li lega a sé in una sorta di incantesimo con
le storie che racconta, da quella giapponese di Genji a quella della sua fuga
in treno attraverso la Siberia, da quella della giraffa magica dell'imperatore
di Mongolia al suo viaggio in nave dal Giappone, e poi gli spostamenti in
America: anche lei è come l'Ebreo errante, condannata a spostarsi di continuo:
qual è la sua colpa? Se lei stessa dice che né conoscenza né bellezza possono
far diventare buona una persona, sono valide anche per lei queste parole? C'è
qualcosa di prezioso che Eva ha portato con sé nella sua fuga, un antico
manoscritto finemente miniato che è sempre appartenuto alla sua famiglia. Suo
padre giudicava troppo pericoloso che Eva lo portasse con sé e lei lo aveva
preso a sua insaputa. Quando viene a sapere che il padre è morto, impiccato nel ghetto, Eva apprende anche che il manoscritto avrebbe potuto salvarlo - c'è un ex nazista che lo vuole ad ogni costo e che è adesso sulle tracce di Eva. Che deve riprendere il suo errare e svanisce nel nulla. Meglio il titolo originale del libro, "The illuminated soul", invece del più terreno "La vecchia amica". Come già nel titolo "Ogni cosa è illuminata" di Jonathan Safran Foer, l'aggettivo "illuminated" illumina, per l'appunto, una molteplicità di significati del romanzo: l'anima illuminata che è il bene più prezioso di ogni uomo, l'unica cosa che nessuno ci può portare via, a differenza del manoscritto illuminato di cui alla fine si impadronisce Joseph salvando, forse, Eva; Eva stessa è un'anima illuminata che diffonde luce intorno a sé. Se il difetto del romanzo di Stollman (che ha già pubblicato per Marsilio "Il lontano Eufrate") è una certa didatticità, una mancanza di credibilità e corporeità nel suo personaggio femminile, il suo pregio è l'altro aspetto del suo difetto, il tono arioso da leggenda con cui racconta anche le storie più drammatiche, allacciandole l'una con l'altra, in bilico tra realtà e immaginazione - come le personalità speculare dei due fratelli Asa e Joseph- lasciando anche noi incerti tra dubbio e fede.
la recensione è stata pubblicata sulla rivista Stilos
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