martedì 3 aprile 2018

Natsume Sōseki, “La porta” ed. 2014


                                                Voci da mondi diversi. Asia
                love story

Natsume Sōseki, “La porta”
Ed. Neri Pozza, trad. Antonietta Pastore, pagg. 237, Euro 16,00
Titolo originale: Mon

    Vivendo in questa sorta di simbiosi, Sōsuke e Oyone avevano sviluppato tra loro un’intimità e un accordo difficili da trovare in altre coppie, ma non potevano sfuggire al tedio che spesso la loro condizione comportava. Tedio cui si associava una certa malinconia, anche se non smettevano mai di pensare che potevano ritenersi felici. La noia gettava un velo di torpore nella loro coscienza e a volte offuscava un poco il loro amore, ma non generava mai quel genere di angoscia che mette a dura prova i nervi.

     Un uomo. Una donna. L’amore- che altro, sennò? Siamo a Tokyo, agli inizi del secolo scorso. Lui si chiama Sōsuke. Lei, Oyone. Conducono una vita ritirata, in una casa disadorna. Sōsuke è  un impiegato statale, esce al mattino e rientra la sera. Oyone lo attende, ombra pallida e gentile. Prende l’abito occidentale che lui si toglie per infilarsi un kimono. Bevono il tè, cenano, serviti dalla domestica. Parlano tra di loro, con le gambe infilate sotto il kotatsu per riscaldarle al tepore del braciere. Giorno dopo giorno, sera dopo sera.
Una domanda ricorre, se Sōsuke si sia recato a parlare con la zia- lui rimanda sempre. Le uniche visite che ricevono sono quelle della zia e del fratello minore di Sōsuke. Più avanti nel libro anche quella del ricco vicino che affitta loro la casa in cui abitano.

    Il ritmo dei romanzi giapponesi, soprattutto di quelli che fanno parte della letteratura classica, è diverso da quello dei romanzi occidentali. Sarebbe come cercare la pennellata possente di Van Gogh  in una stampa giapponese dal fine tratto a china. L’atmosfera de “La porta” di Natsume Sōseki, il primo grande romanziere moderno del Giappone, è ricca di silenzi, di cose non dette che trapelano in mezze frasi, di esperienze di vita di cui si tace, non perché siano segreti ma perché sarebbe di cattivo gusto sbandierarle, di una passione che non esce mai allo scoperto, che dobbiamo indovinare dai gesti dell’uno e dell’altra. Perché sapremo poi- e verso la fine del romanzo- che quella di Sōsuke e Oyone è stata una grande passione, forse lo è ancora ma, in ogni modo, quello che è stato e per cui hanno sfidato il mondo li tiene uniti tuttora. Come il senso di colpa- perché Oyone era la ragazza del migliore amico e compagno di studi di Sōsuke che, dopo aver subito il doppio tradimento, era andato in Manciuria e poi, che ne era stato di lui? Anche Sōsuke aveva pagato caro la trasgressione- espulso dall’università, diseredato, si era fidato dello zio per vendere la casa di famiglia dopo la morte del padre. Aveva riposto male la sua fiducia. Come se tutto questo non bastasse, ogni volta che Oyone era rimasta incinta aveva perso il bambino che aspettava. Era una maledizione che si era abbattuta su di loro? Era il prezzo da pagare per il loro peccato? Anche l’apatia di Sōsuke rientra nel prezzo?
    Non potrebbe essere più veloce il ritmo di un romanzo in cui il protagonista trascina la propria vita, rimandando decisioni importanti, tirandosi indietro dalla minima azione, spaventato quando apprende che il suo vecchio amico sarà ospite del vicino di casa, per rifugiarsi infine in un tempio zen: la meditazione riuscirà a ridargli la serenità? Ed intanto il vecchio paravento, l’unico oggetto salvato nella svendita della casa paterna, che Sōsuke ha venduto ad un rigattiere per pochi soldi e che poi il suo vicino ha acquistato a ben altra cifra, diventa il simbolo di tutto ciò che Sōsuke ha perso senza conoscerne neppure il valore.

   Leggendo “La porta” di Natsume Sōseki, una storia vecchia come il mondo di un uomo e una donna che, innamorandosi, feriscono qualcuno, vivono appieno il loro amore e si ritrovano stancamente legati per la vita, ho pensato ad un libro letto tantissimi anni fa, un classico della letteratura francese di Albert Cohen, “Bella del signore”, che reinterpretava questo vecchio ed eterno tema con due personaggi dotati entrambi di bellezza e fascino. Quanto diversi i due libri, ognuno l’espressione di una cultura differente, traboccante di esplicita sensualità quello francese, pacato nella rivelazione di sentimenti che sembrano frusciare nelle pieghe dei kimoni quello giapponese. Eppure così simili nel trasformare una passione amorosa in un égoisme à deux che innalza barriere di difesa e di esclusione intorno ai due amanti.
   
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it




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