Voci da mondi diversi. America Latina
la Storia nel romanzo
Guillermo Saccomanno, “77”
Ed. Tropea, trad. Francesca Pe’,
pagg. 285, Euro 16,90
Buenos Aires, inverno 1977. Il generale
Videla si è impadronito del potere con un colpo di stato un anno prima, il 24
marzo del 1976. Sembra che piova sempre, quell’inverno. Sembra che faccia più
freddo del solito. Oppure è il terrore, che pare di poter palpare con le mani
nelle strade, che fa tremare la gente. Le Falcon verdi strisciano come serpenti
per la città. Quando si accostano a qualcuno per strada, anche solo per un
controllo, il cuore del malcapitato salta un battito. Si ferma del tutto per la
paura quello degli abitanti del palazzo davanti al cui portone frena una
Falcon. Le persone incominciano a scomparire. Alcune scompaiono perché vanno in
clandestinità. Altre perché vengono arrestate. Non si sa che fine facciano. Per
la Giunta
militare quelle persone non sono mai esistite. Per tutti diventeranno los desaparecidos, tristissima parola
che si diffonderà per il mondo così, in spagnolo. Ogni giovedì le madri si
riuniscono in Plaza de Mayo per protesta, perché si riconosca la scomparsa dei
loro figli arrestati perché dissidenti, perché vengano restituiti i loro corpi.
Il romanzo “77” dello scrittore argentino
Guillermo Saccomanno- bello, angosciante, nerissimo del nero più nero che non è
quello della finzione narrativa ma della realtà- è ambientato in questa Buenos
Aires del 1977, in
quei mesi che per noi sono l’estate e laggiù sono inverno. La voce narrante è
quella del cinquantaseienne professor Gómez, insegnante di letteratura inglese,
dichiarato omosessuale. Peccato che, data l’età del protagonista, non si possa
parlare di romanzo di formazione, perché “77” è di certo la storia di un uomo che cambia
con la lezione della Storia. Ed è importante che il professor Gómez sia
omosessuale perché “77”
è anche una storia di padri e figli e proprio lui, che di figli non ne ha,
diventa il ‘padre’ di figli di altri, la sua preoccupazione e il suo interesse
non sono per uno solo, carne della sua carne, ma per molti- potremmo quasi
sentirlo dire, come il protagonista del dramma di Arthur Miller, “Sono tutti
miei figli”.
Quando Gómez
inizia il racconto è ancora l’uomo di mezza età che occhieggia i ragazzi, che elemosina un rapporto da un ex amante,
che instaura una relazione con un poliziotto (accasato e con figli), come se il
pericolo di quegli incontri aggiungesse un brivido di eccitazione prima di
trasformarsi, più tardi, in un brivido di paura al pensiero di quello che il
cinese Walter potrebbe scoprire. E intanto Gómez scrive un saggio su Oscar
Wilde, il cantore dell’”amore che non osa dire il suo nome”. L’arresto di un
suo alunno, Esteban Echagüe che, con i suoi capelli biondi, tanto stuzzicava il
desiderio di lui, un cabecita negra
discendente dagli indios, segna il punto di svolta nella vita del professore.
E’ un cambiamento graduale che lo porta dapprima a cercare di avere notizie del
ragazzo tramite l’amante poliziotto, poi ad ascoltare i racconti del vecchio
amico De Franco che condivide la disperazione della donna di cui è innamorato e
il cui figlio è scomparso (si chiama Gabrielito come De Franco, ma lui non ne è
il padre anche se si sente tale), fino a quando offre alloggio e nascondiglio
ad una ragazza incinta: con lei si chiude il contorno del cerchio che è
iniziato con l’arresto di Esteban. Per l’oggetto del suo desiderio trascinato
fuori dall’aula, ecco in cambio, ospite in casa sua, la giovane Diana che avrà
un bambino e che risveglia in lui sentimenti paterni. Diana è la compagna di un
montonero, Martin, e, in questa che è
pure una guerra generazionale, Martin verrà denunciato dal suo proprio padre.
Mentre il padre della ragazza legata a Diana da un amore saffico grida,
“L’avete uccisa voi”- e intende non i militari ma i ribelli che l’hanno
contagiata con le loro idee. Il professor Gómez ha interrotto il saggio su
Wilde, ora scrive un saggio sull’assenza- nel
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
Nessun commento:
Posta un commento