venerdì 29 marzo 2024

Rudolf Hoess, “Comandante ad Auschwitz” ed. 2014

                                                   Voci da mondi diversi. Germania

      autobiografia

Rudolf Hoess, “Comandante ad Auschwitz”  

Ed. Einaudi, trad. Panzieri Saija, pagg. 268, Euro 13,00

 

    “Comandante ad Auschwitz” è l’autobiografia scritta, durante la prigionia, da Rudolf Hoess, militare e criminale di guerra tedesco, membro delle SS e primo comandante del campo di concentramento di Auschwitz.

    Hoess racconta tutta la sua vita, dall’infanzia e l’adolescenza, da quando si arruolò a soli 14 anni, mentendo sulla sua età, a quando fu nominato comandante di quello che sarebbe diventato il più grande ed efficiente campo di sterminio, fino a quando venne arrestato nel 1946 dalle forze britanniche. Il 2 aprile 1947 fu condannato a morte per impiccagione dalla Corte Suprema di Varsavia e la sentenza fu eseguita il 16 aprile davanti all’ingresso del crematorio di quel campo della cui efficienza si era vantato.


    Leggere questa autobiografia è, per molti versi, sconvolgente. E agghiacciante. Sconvolgente perché è la vita di una persona come tante che si trova a vivere in un’epoca dilaniata da due guerre in cui la decisione di quale strada prendere significa tutto, significa la scelta tra il Male e il Bene, anche se può implicare Vita o Morte. Sconvolgente perché- come ci si potrebbe aspettare che un uomo, cresciuto in una famiglia strettamente cattolica, disobbedisse alla legge divina rendendosi colpevole di crimini mostruosi, contrari a qualunque etica umana? Agghiacciante per la freddezza con cui parla della sua ‘carriera’, descrivendo le soluzioni da lui proposte per un ottimale funzionamento del campo di cui era stato nominato comandante, inclusa l’iniziativa di usare lo Zyklon B per gassare quanti più prigionieri possibile. Agghiacciante per il modo in cui, a mo’ di attenuante, ricordi la sua stessa esperienza del carcere (aveva scontato sei dei dieci anni a cui era stato condannato nel 1923 per aver ucciso un maestro elementare accusato di essere una spia bolscevica) che- a dir suo- lo renderebbe comprensivo delle necessità dei prigionieri. Agghiacciante anche la spiegazione fornita per la scritta Arbeit Macht Frei che sormonta il cancello di quell’Inferno che era Auschwitz, “la vita dietro le sbarre o dietro il filo spinato, alla lunga senza il lavoro diventa intollerabile, anzi, la peggiore delle punizioni”- se questo non è cinismo, che cosa è?


    E poi, sconvolgente e agghiacciante, è la sua giustificazione, uguale a quella di molti altri. Aveva obbedito agli ordini. Nessuna SS avrebbe mai disobbedito. Quello che Hitler ordinava era giusto. Lui, Hoess, non aveva ucciso nessuno personalmente. Lui, Hoess, non sopportava i bagni di sangue. E infatti l’uso del gas aveva avuto su di lui un effetto calmante.

   La lettura dell’autobiografia di Hoess, lo scorcio che abbiamo sulla sua doppia vita (la moglie e i bambini vivevano in una villetta fuori del campo e avevano tutto quello che potevano desiderare- la moglie non si faceva mai domande? La figlia Brigitte dirà di lui, in seguito, che per lei era l’uomo più buono del mondo) hanno su di noi un impatto fortissimo, più ancora del film “Zona di interesse”, ispirato al libro di Martin Amis dallo stesso titolo del film, e sugli schermi in questi giorni.





 

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