Voci da mondi diversi. Francia
Shoah
Gaëlle Nohant, “L’archivio dei destini”
Ed. Neri Pozza, trad. Luigi M.
Sponzilli, pagg. 329, Euro 20,00
Questo è un libro prezioso. Un libro straziante. Un libro che vi ruberà il cuore. Un libro a cui il vostro pensiero continuerà a ritornare e sarà un poco come se il vostro ricordo possa mantenere viva la memoria delle persone scomparse.
Bad Arolsen, nell’Assia, nel cuore della Germania. A Bad Arolsen dal 1955 l’ITS, International Tracing Service, fu incaricato di gestire gli archivi, il più grande centro di documentazione e informazione sull’ Olocausto e sul lavoro forzato: 30 milioni di documenti dei campi di concentramento e schede di persone deportate, 26 chilometri di scaffali traboccanti di fascicoli, quaderni, mappe, effetti personali. Dal 2013 l’archivio di Bad Arolsen è stato inserito nel programma Memoria del Mondo dell’Unesco.
Irène lavora nell’archivio di Bad Arolsen
dal 1990. E’ francese, ma ha sposato un tedesco da cui si è separata dopo
averne avuto un figlio- leggeremo di una scena memorabile durante una cena con
i suoceri. Quello che era stato detto e quello che non era stato detto avevano
reso impossibile ad Irène continuare a vivere con il marito. Fino al 2016 il
suo compito era stato quello di cercare le persone di cui si erano perse le
tracce, una lavoro di pazienza che portava da un testimone all’altro, senza mai
perdere la speranza. Poi, dal 2016, ad Irène viene affidato un altro compito-
restituire alle famiglie dei proprietari originari gli oggetti rinvenuti nei
campi.
Gli oggetti hanno una storia, gli oggetti parlano, gli oggetti tacciono segreti che è doloroso rivelare. Tra le mani di Irène capita un Pierrot sgualcito, un numero scritto sull’interno della veste. È di certo appartenuto ad un bambino. E quel bambino è di certo scomparso subito nelle camere a gas. Ma la ricerca porta altrove, sulle tracce di un uomo che ha avuto diversi nomi, che forse è sopravvissuto, che forse, anche senza saperlo, ha lasciato un figlio o una figlia. Come sapere se è la traccia giusta?
C’è un altro oggetto che Irène non scopre
nell’archivio ma che le arriva con una lettera, apparteneva (davvero,
apparteneva?) alla nonna di chi le scrive. È un medaglione con la Madonna,
dentro un disegno che raffigura un bambino biondo, con un nome e una data. E
qui si apre un capitolo di dolore dentro il dolore. C’è la domanda che non
finiamo mai di porci: come ha potuto una ragazza di vent’anni accettare di
essere così crudele?, e poi quell’altra: come affrontano il peso del passato i
figli e i nipoti di quelli che sono stati i protagonisti del Terzo Reich? E
infine la storia di quell’aberrazione che è stato il rapimento dei bambini di
aspetto ariano per darli a famiglie che ne facessero dei puri tedeschi.
Il coinvolgimento di Irène è totale. Segue le tracce, parla con chiunque le offra un frammento di ricordo, è affascinata dalla personalità delle persone scomparse di cui lei sta cercando i discendenti, dalla combattività di uno e dal coraggio generoso dell’altra. Ricostruisce anche la storia della donna che le ha fatto da mentore all’ITS quando lei è arrivata- ormai questa donna che aveva diciassette anni quando era uscita da Auschwitz (in realtà non si esce mai da Auschwitz) era morta, ma una cugina era venuta a cercarla dall’Argentina.
Il finale è la chiusura di un cerchio che
include Irène stessa e che svela qualcosa che lei non aveva mai capito, anche
se era lì sotto i suoi occhi. Forse il caso ha calcato la mano, ma poco
importa.
Un romanzo ben costruito- non deve essere
stato facile tirare le diverse fila senza smarrirsi-, che divide la nostra
attenzione tra le vicende del passato, gli incontri con i parenti delle vittime
nel presente (sconvolgente quello in Polonia) e la vita personale di Irène. E
anche se la scrittrice ci dice che le indagini e i personaggi del libro sono
opera di finzione, questo non ne diminuisce il valore.
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