mercoledì 8 marzo 2017

David Peace, "Millenovecento80" ed. 2004

                                     Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
                                                               cento sfumature di giallo
  il libro ritrovato

David Peace, "Millenovecento80"
Ed. Tropea, pagg 379, Euro 16,00

    Non è stato soltanto in Italia un decennio buio, di spari e di sangue, quello degli anni ‘70-‘80. Esce adesso, edito da Tropea, “Millenovecento80” (pagg. 379, Euro 16,00), il terzo libro di una quadrilogia dello scrittore inglese David Peace sui delitti nel Nord dell’Inghilterra. Un noir nerissimo, in un paesaggio cupo, in una città, Leeds, dove anche la pioggia è nera, un’atmosfera angosciante e carica di ansia dopo che “Jack lo Squartatore dello Yorkshire” ha fatto la sua tredicesima vittima, uno stile martellante e sincopato che segna il passo di una vicenda che dura venti giorni, dall’11 dicembre 1980 al giorno di Capodanno, ma  sembra molto più lunga mentre il corpo speciale di polizia riesamina tutti i casi delle donne assassinate, ad iniziare dal 1974.
Erano tutte prostitute, con un paio di eccezioni; sono state uccise con una martellata alla testa e pugnalate al ventre, una è stata strangolata, una è sopravvissuta anche se sarebbe stato meglio per lei se fosse morta. Si è fatto vivo con la sua voce registrata su nastro, lo Squartatore, quasi una presa in giro, una sfida, come la cantilena che gioca sui monosillabi dei due verbi, rip, rip, hunt, hunt, “squarcia, squarcia, caccia, caccia”- perché Peter Hunter è il nome dell’ispettore incaricato delle indagini, tormentato da incubi di morte (la sparatoria del 1974, finita con tre morti e tre feriti; i feti abortiti dalla moglie in un desiderio frustrato di maternità) mentre una voce interna gli ripete, come a Macbeth, “non dormirai più”. Finché l’assassino non verrà fermato, ma prima ci saranno altri morti, la moglie di Hunter verrà minacciata, Hunter stesso sarà messo sotto inchiesta, un incendio distruggerà la sua casa. Perché l’indagine di Hunter coinvolge una polizia corrotta, ma la corruzione e la morte sono ovunque in questa Inghilterra thatcheriana di bombe dell’IRA, sciopero della fame nel braccio H del famigerato carcere di Maze, disoccupazione e delinquenza.
E Leeds diventa “la città dolente” dantesca e lo “Yorkshire maledetto” diventa un inferno industriale alle cui porte è meglio lasciare ogni speranza. C’è una seconda narrazione che si alterna a quella dei fatti del dicembre 1980 e che inizia con l’omicidio del 1974 in una presunta trasmissione per radioamatori: in un flusso di coscienza privo di punteggiatura si sovrappongono le voci dello Squartatore che spiega le sue folli scelte, quelle delle donne che lo descrivono o delle famiglie in attesa di un ritorno che non ci sarà-  sembrano un respiro dall’aldilà.
Sulla musica che accompagna l’azione echeggiano tre spari: quello iniziale del sogno che sveglia Hunter, quello che uccide Jack Lennon segnando la fine di un’era e quello finale- di cui non diciamo nulla. Stilos ha intervistato David Peace.



INTERVISTA A DAVID PEACE


I suoi quattro romanzi formano una quadrilogia che ha per titolo “Red Riding Quartet”: c’è un’allusione a Cappuccetto Rosso (Red Riding Hood, in inglese) che trova il male dove non se lo aspetta?
     Proprio così, anche se il titolo ha anche un paio di altri significati: fino al 1974 questa zona dello Yorkshire in cui avvengono i delitti era chiamata West Riding dalla parola vichinga che significa “area”. Poi ha preso il nome di West Yorkshire. E questa parte dell’Inghilterra è sempre stata “rossa”, cioè socialista, e il rosso è anche il colore del sangue. Cappuccetto Rosso è un archetipo, una storia per bambini che, come quasi tutte le favole, è una storia con molta crudeltà. In effetti nell’ultimo libro della serie, “1983”, in un primo tempo avevo inserito dei brani della favola di Cappuccetto Rosso, anche se poi ho cambiato idea e li ho tolti dal testo.


Sono strettamente collegati i quattro libri o si possono leggere separatamente?
      Naturalmente vorrei che i lettori li leggessero tutti e quattro. Ad alcuni capita di iniziare dall’ultimo e sentire il desiderio di andare a leggere gli altri. Il primo è forse il più facile da leggere, ma va benissimo anche iniziare dall’ultimo.

 Qual è il più noir, il più buio dei quattro romanzi?
     Difficile dirsi, sono tutti molto bui. Direi che il primo è il più violento, soprattutto nella descrizione dei delitti, mentre in “Millenovecento80” c’è una maggiore atmosfera di cupa paranoia.

1974, 1977, 1980 e 1983: perché ha scelto questa decade e perché proprio questi anni?
     Io sono nato nel 1967 e sono cresciuto nel West Yorkshire proprio in quegli anni. Ho scelto il 1974 per primo perché è stato un anno di grandi cambiamenti sia nell’Inghilterra sia nel West Yorkshire, sono cambiati il governo locale e la polizia locale, c’erano state due elezioni e mi sembrava giusto iniziare con quell’anno. Il 1977 e il 1980 perché lo Squartatore dello Yorkshire iniziò a uccidere nel 1975, ma il 1977 è l’anno in cui uccise la prima donna che non era una prostituta e questo delitto creò una sensazione enorme, tutto diventava molto più spaventoso. Il 1980 è l’anno dell’ultimo delitto e il 1983 ha segnato la seconda vittoria di Margaret Thatcher e lo Yorkshire fu molto deluso, politicamente, da queste elezioni.


Pensa che la politica di Mrs. Thatcher abbia contribuito ad aumentare la criminalità?
    Sì, anche se non ha niente a che fare con lo Squartatore. Ci fu un aumento di crimini politici, aumentò certamente il divario tra ricchi e poveri, crebbe un sottoproletariato formato di vittime che diventavano nello stesso tempo criminali. Tutta la politica economica della signora Thatcher è responsabile dell’aumento della criminalità.

Quali furono le sue reazioni di bambino davanti ai delitti dello Squartatore?

    Avevo dieci anni quando lo Squartatore ammazzò Jane Mc Donald, la prima ragazza che non era una prostituta, e diventai improvvisamente consapevole di quello che stava accadendo. Era il 1977 e ci fu quasi un furore popolare dopo quel delitto. Poi, nel 1979, la polizia ricevette un nastro con la voce dell’assassino che annunciava nuovi delitti. Dopo si seppe che era un falso, ma allora eravamo tutti spaventatissimi, io avevo paura per mia madre soprattutto. Nel romanzo ho cambiato i nomi delle vittime, proprio perché ho vissuto in quel posto, a mia madre e a mia sorella non era successo niente e questa era una finzione narrativa e ho pensato che era meglio dare un altro nome alle vittime che non avevano avuto altra scelta che di morire.

Lo Yorkshire che lei dipinge è molto cupo, come se il paesaggio potesse ispirare delle azioni così terribili: pensa che ci sia una correlazione tra ambiente e carattere o atteggiamenti?
      Sì, ed è una delle cose che mi interessano: perché c’è stato uno Squartatore dello Yorkshire e non uno Squartatore scozzese, perché questo luogo e questo tempo? Il paesaggio è un misto di degrado industriale e brughiera. La natura è dura e l’atteggiamento della gente dello Yorkshire lo è altrettanto verso le donne. Gli uomini usano un linguaggio molto crudo parlando delle donne, ne parlano come delle “vacche”, delle “stupide vacche”. E’ una cultura maschilista in cui le donne appartengono ad una classe inferiore, soprattutto le prostitute, ed è questo che ha reso possibile Jack lo Squartatore. Addirittura si aveva la sensazione che la gente dello Yorkshire fosse orgogliosa di avere un simile criminale, ricordo una partita di football in cui veniva scandito dalla folla il numero delle donne assassinate, come fossero dei goal, come una celebrazione dell’assassino.

Lei adesso vive in Giappone, sembra che si sia dovuto allontanare dalla cupa atmosfera dello Yorkshire per poterne scrivere.
     In un certo senso mi è stato più facile scriverne, essendo lontano. E’ più facile ricreare il tempo. Nel mio studio di Tokyo riesco a ricreare quel tempo senza essere distratto dal tempo.

C’è un sottofondo di musica costante nel suo libro, è la musica di quegli anni?
   Sì, uso la musica per ricreare il sentimento di un’epoca, mentre lo scrivevo ascoltavo solo musica degli anni ’80. Ascoltavo i Joy Division e i Throbbing Gristle, è una musica industriale, deprimente e tetra, riflette un mondo derelitto, lo squallore industriale.

E molta della sua prosa ha una qualità lirica, oltre a contenere riferimenti a poeti, Shakespeare, Dante, T.S.Eliot.
     Soprattutto le parti delle “trasmissioni”, quelle che sono una sorta di flusso di coscienza, risentono dell’influenza della poesia. Volevo in un certo senso raggiungere le vittime, che nei libri in genere non occupano un ruolo centrale perché l’attenzione è sui poliziotti o gli investigatori. Quando ero ragazzo nello Yorkshire si vedevano dappertutto le foto delle vittime, e io volevo catturare la presenza delle vittime. Mi hanno ispirato soprattutto il pittore Francis Bacon e l’Inferno di Dante perché entrambi danno voce ai morti.

Ecco, le voci delle vittime che si sentono in queste “trasmissioni”, che cosa chiedono? Di essere ascoltate? Chiedono di essere vendicate?
    Le vittime sono intrappolate in un limbo. Le loro facce sono ovunque, sui giornali e per le strade, volevo che cercassero una redenzione, che venissero rilasciate, piuttosto che una vendetta. Sono state le parti più difficili da scrivere.

C’è un sogno che Hunter fa di continuo, di ali nere sulla sua schiena: è l’angelo del male?

    Sì, volevo dare questa idea di ali d’angelo che cercano di sollevarsi e invece marciscono e tirano giù, verso il basso. Hunter cerca di fare del bene, ma ha i suoi limiti che gli impediscono di fare quello che vorrebbe fare.

Sono rimasta sconcertata dal finale: troveremo ancora gli stessi personaggi in “1983”?
    Era quello che volevo, che il lettore restasse sconcertato, volevo che ci fosse ambiguità nel finale. Alcuni dei personaggi ritorneranno in “1983”, ma in realtà, come “1977” e “1980” sono accoppiati perché hanno a che fare entrambi con i delitti dello Squartatore, così lo sono “1974” e “1983”, e in “1983” si ritroveranno, anche con dei flashback, dei personaggi del primo libro.

Che fine ha fatto lo Squartatore?
     E’ tuttora in una prigione per malati di mente, sconta una condanna a vita.

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos



                                                                                              





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