Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
noir
la Storia nel romanzo
il libro ritrovato
David Peace, “GB84”
Ed. Tropea, trad. Marco Pensante,
pagg. 474, Euro 16,00
Gran Bretagna 1984, l’anno dello
sciopero dei minatori, ultimo atto della lotta di classe. Da una parte il Coal
Board, l’ufficio governativo del carbone, dall’altra il sindacato di Arthur
Scargill, chiamato lo Stalin dello Yorkshire. Due figure giganteggiano: l’uomo
del sindacato Terry Winters e l’Ebreo, l’uomo della Thatcher, disposto a
qualunque gioco sporco per spezzare lo sciopero. La volontà di vincere ad ogni
costo della classe dominante, la violenza della polizia, l’incompetenza dei
capi del sindacato, le sofferenze dei minatori in un romanzo durissimo e
inquietante.
INTERVISTA A DAVID PEACE, autore di “GB84”
Nero, nero, nerissimo, se possibile ancora
più nero della precedente quadrilogia, il nuovo romanzo dello scrittore inglese
David Peace. Lo Yorkshire e i delitti seriali che erano stati l’incubo di quasi
un decennio al centro del “Red Riding Quartet”, lo Yorkshire, il Galles, tutta
l’area carbonifera della Gran Bretagna e lo sciopero dei minatori che paralizzò
il paese per un anno in questo “GB84”, appena pubblicato da Tropea. Dal marzo
1984 al marzo 1985, un anno lunghissimo di 53 settimane, 364 giorni di sciopero
spuntati come con la matita a segnarne il passaggio in quello che è una sorta
di diario e lungo monologo di Martin, una delle voci narranti di questo libro
composito. Perché, fedele al suo stile, David Peace frammenta la narrazione
impiegando registri diversi, alcuni più facili da seguire, in capitoli che si
alternano con una grafica differente, altri, scritti in corsivo e inseriti nel
corso della narrazione principale, di più difficile lettura, volutamente
ambigui, con personaggi che sembrano usciti da un incubo sognato dentro altri
incubi.
Ci sono dei nomi, Martin e Peter, e sono
quelli dei due minatori che parlano in prima persona, c’è Malcolm con i suoi nastri registrati, c’è Terry
Winters, il Responsabile esecutivo del Sindacato, e Neil Fontaine, guardia del
corpo tuttofare del pezzo grosso manipolatore dei media. E poi, da una parte e
dall’altra, tra gli uomini del Sindacato e quelli del Governo, c’è una miriade
di persone chiamate semplicemente il Segretario, il Presidente, il Ministro, il
Lord, il Meccanico. Spicca su tutti, quasi in ogni pagina, l’Ebreo, che allunga
le mani ovunque, che recluta neonazisti da sguinzagliare contro i
picchettatori, che orchestra la stampa e fa sì che le telecamere inquadrino
solo il lancio di sassi da parte dei minatori e non le manganellate della
polizia, che assolda falsi crumiri per spezzare lo sciopero. Margaret Thatcher
appare con nome e cognome forse una sola volta, è sempre e soltanto “lei”, ogni
tanto la “lady di Ferro”, “la troia di Ferro” per i minatori.
Non c’è respiro nel romanzo di David
Peace, non nelle pagine intitolate con il numero crescente della settimana di
sciopero e la data, in cui il racconto è quello delle trattative,
dell’organizzazione dello sciopero, della gestione dei finanziamenti, delle
misure per spezzare il blocco, dei giochi sporchi da una parte e dall’altra,
sempre con frasi brevissime, i nomi o gli appellativi delle persone ripetuti
con insistenza ossessiva, a mettere l’accento su chi dirige le sorti di un
paese intero. Non c’è respiro neppure nelle sequenze in corsivo in cui agiscono
criminali autorizzati, come il Meccanico, e la spia Malcolm. E tanto meno nelle
pagine- molto belle- dei “diari-monologhi” di Martin e di Peter che ci offrono
una visione dall’altra parte, dello sciopero vissuto sulla pelle dei minatori e
delle loro famiglie. Che cosa vuole dire vivere con gli spiccioli distribuiti
dal sindacato mentre il Ministero della Sanità ha tagliato il sussidio ai
minatori, quando si resta senza un mobile in casa perché sono stati pignorati,
ragazzini muoiono sotto il crollo delle scorie mentre setacciano un po’ di
carbone da vendere, le donne litigano per un pezzo di salsiccia, frugano tra
cumuli di vestiti usati. Pagina dopo pagina leggiamo di violenze, polizia a
cavallo, elmi e caschi, manganellate e calci, arresti arbitrari, uomini
brutalmente feriti a cui non viene prestato nessun soccorso: è la terza guerra
civile in Gran Bretagna.
Il sapore della sconfitta sa di fiele,
quello che Martin sente è un rumore in sordina di cornamuse, una marcia funebre
che geme “a piangere i nuovi morti…La nazione sorda ai loro lamenti. Il suo
ventre gonfio di cadaveri neri e carogne vendicative…”. Non è un bel romanzo,
“GB84”, ma è un grande romanzo, di quelli che lasciano il segno. Stilos ha
intervistato David Peace.
Lei vive ormai da parecchio tempo a Tokyo, eppure nei suoi libri
ritorna sempre allo Yorkshire e agli anni ‘70 e ‘80, come mai?
Ho appena finito di scrivere il mio primo
libro ambientato nel 1946 a
Tokyo: è il primo di una trilogia di romanzi polizieschi in cui narro di tre
delitti veri accaduti nel periodo immediatamente dopo la guerra per dire la
storia dell’occupazione americana a Tokyo e della ricostruzione del Giappone.
Per me è stato un grosso cambiamento e una sfida: finora ho scritto cinque
libri- il sesto è appena stato pubblicato in Inghilterra - tutti ambientati
negli anni ‘70 e ‘80 nel Nord dell’Inghilterra. Penso che per me sia stato
importante scrivere del tempo e del luogo in cui sono cresciuto per trovare la mia
voce di scrittore. Tutti i miei romanzi non rappresentano solo il tempo e il
luogo in cui sono cresciuto ma anche un periodo di cambiamenti tremendi. Nel
caso di “GB84”, in cui parlo dello sciopero che durò un anno e fu il più lungo
e il più violento della storia inglese, la sconfitta dello sciopero fu non solo
la sconfitta dei minatori, ma anche dei sindacati e del socialismo, la
distruzione di una comunità in cui ero cresciuto. Alla fine del libro scrivo
che è l’Anno Zero: questo lungo periodo degli anni ‘70 e ‘80 portava a questa
ultima battaglia e in questa sconfitta si è formato il paese che è ora la Gran Bretagna. Volevo cercare
di capire come io e la Gran Bretagna
fossimo venuti ad essere come siamo ora.
Anche questo romanzo, come quelli del Red Riding Quartet, ha una data
nel titolo, pur essendo molto diverso da quelli precedenti. Il fatto che ci sia
una data indica dunque che quello che avvenne, lo sciopero, i disordini, era
già nell’aria negli anni precedenti?
1983 |
Quando progettavo il “Red Riding Quartet”, avevo in mente di terminarlo
con lo sciopero del 1984, ma poi ho capito che era un evento troppo grosso e
importante ed era sbagliato attaccarlo alle cospirazioni degli altri romanzi.
Mi sono reso conto che quando Margaret Thatcher vinse le elezioni per la
seconda volta, nel 1983, quello fu il momento in cui gli eventi di questo libro
divennero inevitabili e da qui la mia scelta deliberata di stabilire il
“Millenovecento83”- l’ultimo libro del quartetto- al tempo delle elezioni
generali. I lettori britannici sanno quello che succederà un anno dopo e
capiscono che quanto è narrato in “Millenovecento83” è una specie di presagio
di quanto accadrà nel 1984.
E poi, naturalmente, “1984”
è il titolo del romanzo di Orwell- c’è un punto, nel libro, in cui Margaret
Thatcher viene chiamata “la Grande Sorella
orwelliana”…
Già tutti i titoli dei miei romanzi, con una data, erano un tributo
diretto a Orwell, il mio scrittore preferito, e nel primo romanzo, “1974” , ci sono molti riferimenti voluti al “1984” di Orwell. Quello che
intendevo fare era mostrare che il vero 1984 era, se possibile, molto peggio di
quello di Orwell.
Un’altra analogia con i romanzi precedenti è l’uso di diverse voci
narranti, per offrire più punti di vista. In questo romanzo ha usato questo
metodo per sottolineare i due livelli della storia, il pubblico e il privato?
Un anno di sciopero coinvolse centinaia di
migliaia di persone. Non era possibile scrivere la storia di ognuno, ma dentro
il libro volevo mostrare la complessità degli eventi, lo sciopero da cima a
fondo, i comportamenti della destra e della sinistra. Volevo riflettere questa
storia nascosta di giochi sporchi e di gente sporca usati dal governo per
spezzare lo sciopero. Era importante soprattutto registrare anche le testimonianze
delle voci dei minatori, Martin e Peter- e queste sono voci derivanti da
interviste che ho fatto a degli scioperanti. Pensavo fosse importante separare
queste testimonianze dal corpo principale del romanzo, così come in
“Millenovecento80” ho separato la voce delle vittime, perché stanno da sole.
Volevo lo stesso spazio per le testimonianze dei minatori.
La maggior parte dei personaggi non ha un nome, ma non è politicamente
scorretto chiamare l’Ebreo con un termine che ha chiare connotazioni negative?
Era anche un modo per sottolineare il suo legame paradossale con i gruppi
neo-nazisti?
Il mio intento era mostrare la divisione
nella destra. Mi affascina come Margaret Thatcher abbia raggiunto il potere,
perché i suoi sostenitori erano una strana coalizione di persone dell’estrema
destra e uomini di affari, di cui molti erano ebrei. Nella parte narrativa del
romanzo in cui uso la terza persona, è una terza persona molto soggettiva: è
sempre il punto di vista di Neil, è Neil che usa l’epiteto “l’Ebreo”. Sapevo
che era una cosa pericolosa da fare e mi sentivo a disagio scrivendolo e a
disagio leggendolo, ma volevo destabilizzare il lettore, dargli l’idea della
divisione e dell’odio negli strati della società inglese.
Chi era, in realtà, Neil? Qual è il suo ruolo, oltre ad essere la
guardia del corpo dell’Ebreo?
La maggior parte del romanzo è basata su
persone vere- c’era un uomo d’affari conosciuto come l’Ebreo che cercò di
spezzare lo sciopero e aveva un autista che veniva dal Servizio di Sicurezza.
Nonostante le mie ricerche, non sono riuscito a capire se aiutava l’Ebreo o se
lo spiava. Il suo ruolo non era chiaro e ho cercato di comunicare questa
ambiguità.
Anche l’Ebreo, dunque, è un personaggio vero?
La figura dell’Ebreo è basata su una
persona vera, un uomo d’affari che si avvicinò alla Thatcher durante la guerra
nelle Falklands. Lui la adorava, letteralmente. All’inizio dello sciopero
decise che avrebbe assistito il governo nel tentativo di spezzare lo sciopero.
Un personaggio non molto simpatico e molto noto, adesso è consigliere di Bush e
la sua compagnia vende elicotteri agli americani in Iraq. E’ molto
riconoscibile e questo mi rendeva un poco nervoso in caso di ricorsi legali,
d’altra parte non viene mai nominato altrimenti, non c’è nulla di esplicito.
Perché “lei”, Margaret Thatcher, e Arthur Scargill, “King Arthur”, non
appaiono mai di persona sulla scena?
Arthur Scargill |
In Gran Bretagna lo sciopero fu
personalizzato, divenne una faccenda della Lady di Ferro contro King Arthur,
una battaglia semplicistica tra due persone, e io volevo mostrare che fu molto
più complessa, volevo allontanare dal palcoscenico queste due grosse figure e
far vedere che cosa avvenne.
Oltre ad essere la storia di un anno cruciale per la lotta di classe,
il romanzo ha anche un tono tragico, come quello di una delle tragedie storiche
shakespeariane in cui i personaggi hanno un “difetto fatale”. E il tema del
libro mi pare divenga anche quello del tradimento, degli amici, di una fede
politica, del proprio paese. E’ il tradimento alla base della sconfitta finale?
Sì, il tradimento dei minatori da parte
dei minatori stessi e da parte della popolazione della Gran Bretagna. All’epoca
avevo 17 anni, la mia famiglia aveva sostenuto i minatori, e però, mentre
scrivevo e facevo le ricerche, mi sono reso conto di quanto poco avessimo fatto
per aiutarli, di quanto avessero sofferto le famiglie: alla fine mi sono
sentito colpevole. Eravamo ciechi e volevamo essere ciechi, come adesso,
d’altra parte. Sappiamo di avere un cattivo governo, ma non facciamo nulla, ci
sentiamo impotenti ma ci fa comodo così.
Terry Winters incontra Gheddafi, anche
Gorbačev appare sulla scena: che sostegno ottenne il sindacato dei minatori
britannico dai paesi socialisti?
Gorbačev |
Dopo la fine
dello sciopero ci fu un grosso scandalo su quello che fu chiamato “l’oro di
Mosca”. Si crede che i sindacati abbiano ricevuto soldi dall’Unione Sovietica e
dalla Libia, ma anche dalla Francia e dall’Italia. Tuttavia i minatori non
furono mai pagati, è difficile sapere che cosa sia vero. Ed è anche molto strana
l’amicizia della Thatcher con Gorbačev- si pensa che lei gli abbia chiesto di
non aiutare i minatori. Se soldi sono stati dati, sono stati allungati sotto
banco. Una volta ho incontrato un piccolo funzionario del sindacato
all’aeroporto di Edimburgo. Mi ha ringraziato per aver scritto questo libro e
mi ha detto che quello che ho raccontato è solo il 5% di quello che successe
nel sindacato- la realtà sporca fu di gran lunga peggiore da ambo le parti.
Chi c’era dietro l’attentato all’hotel a Brighton durante il congresso?
Era la Thatcher
l’obiettivo?
L’IRA- ho incluso l’attentato nel romanzo
per molti motivi. Margaret Thatcher criminalizzò le attività sindacali. Prima,
se scioperavi, non eri un criminale, se sostenevi gli scioperanti, non eri un
criminale. Lei equiparò le azioni sindacali con il terrorismo. Quelli che
appartenevano alla sinistra erano terroristi. Ricordo bene quando si seppe
della bomba a Brighton: la gente era delusa che la Thatcher non fosse morta.
Il giorno seguente lei apparve alla conferenza e fece un discorso sulla necessità
di sconfiggere il terrorismo e il sindacalismo. Chiamava “leoni” quelli che
tornavano a lavorare. Purtroppo la bomba tornò a suo vantaggio, come sempre
avviene in questi casi, quando ci sono degli attentati.
l'attentato al Grand Hotel di Brighton |
Leggendo il libro in traduzione, ci è impossibile capire le sfumature
del linguaggio: è diversa la lingua usata da Martin e Peter da quella dei
capitoli in terza persona?
La lingua inglese ha tre origini, il
latino che è la lingua della chiesa, il francese, parlato dall’aristocrazia, e
l’anglo-sassone, parlato dalla gente comune. Il linguaggio che ho usato è un
linguaggio orale, in cui ho deliberatamente evitato tutte le parole che non
fossero di origine anglosassone. In più ho usato, per Martin e Peter, alcune
caratteristiche della lingua parlata nella mia area, cioè l’assenza
dell’articolo o i pronomi usati in modo errato.
Sbaglio o c’è molta meno musica in questo suo romanzo? Sembra quasi che
non sia più il tempo per la musica…
E’ vero: in questo romanzo la scena è
quasi sempre all’aperto, negli altri libri i personaggi ascoltavano musica in
auto o nei bar. Però i titoli dei capitoli vengono da canzoni e volevo
veramente dare l’impressione del silenzio che cala su tutto.
recensione e intervista sono stati pubblicati sulla rivista Stilos
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