Voci da mondi diversi. Medio Oriente
FRESCO DI LETTURA
Ayelet Gundar-Goshen, “Svegliare i leoni”
Ed. Giuntina, trad. Ofra Bannet e
Raffaella Scardi, pagg. 318, Euro 17,00
Stava giusto pensando di non aver mai visto una luna più bella, quando
ha investito l’uomo.
E’ questa la situazione che si
presenta al lettore subito, con la prima frase di “Svegliare i leoni”, il nuovo
romanzo della scrittrice israeliana Ayelet Gundar-Goshen. E’ notte, l’uomo che
è al volante della jeep deve essere una persona sensibile se ammira la bellezza
speciale della luna piena, e ha appena ucciso un uomo. Perché Eitan Green è un
medico e si rende conto immediatamente, quando scende dall’automobile, che per
quell’uomo non c’è più niente da fare. Non è ancora morto ma ne avrà per poco.
Che
cosa succede nella mente del neurochirurgo Eitan Green nella manciata di
secondi in cui deve decidere che cosa fare? la cosa più ovvia, per un uomo
onesto come lui che sta scontando nell’ospedale isolato di Beer Sheva l’aver
scoperto che il superiore da lui tanto ammirato accettava mazzette, sarebbe
chiamare la polizia o quanto meno portare l’uomo in ospedale. E invece Eitan
Green tentenna. Con motivazioni che non sono da lui. E’ vero, era stanchissimo
dopo un turno molto lungo, diciannove ore senza dormire. Che cosa mai gli ha
preso, invece di tornare a casa, di lanciare a massima velocità la sua jeep nel
deserto? Però: che cosa mai ci faceva quell’uomo a quell’ora di notte, lì sulla
strada? Che diritto aveva di essere lì? Di più: l’uomo è nero, è un eritreo, un
immigrato clandestino. Quella bravissima persona che è Eitan vacilla. Dovrebbe
rovinarsi la vita per un eritreo morto? Risale sulla jeep e torna a casa. Ha
risvegliato i leoni.
Il giorno dopo una bella donna di colore si
presenta alla sua porta e gli porge il suo portafoglio. E’ finita. E’
chiaramente venuta a ricattarlo. Di quanti soldi si accontenterà? E invece no.
L’espiazione di Eitan si compirà
attraverso le cure mediche che la donna- si chiama Sirkit, era la moglie
dell’uomo investito- esige che lui presti in un capannone nel deserto che
diventerà un ospedale improvvisato. Notte dopo notte, con pochi strumenti, con
medicinali trafugati (è il minore dei crimini, a questo punto, per Eitan), su
un tavolaccio di fortuna, nella sporcizia e nella polvere, Eitan taglia, cuce,
fascia ferite vecchie e nuove, affronta problemi medici che ha studiato ma mai
più considerato dopo l’università. Lo fa con disgusto e ripugnanza. Non li
accetta come suoi simili, quegli uomini che non parlano la sua lingua, che
puzzano, che gli sembrano tutti uguali, un millepiedi che striscia all’infinito
nella polvere del deserto. Non gli interessa da che cosa siano fuggiti, pensa
solo a sé, a come possa mettere fine a tutto questo, perché Sirkit, dea nera
affascinante ed enigmatica, è inesorabile e spietata.
Il problema che Ayelet Gundar-Goshen
affronta è il più scottante dei nostri tempi, è il problema che tocca da vicino
tutti i paese con un certo grado di benessere economico- quello dei migranti. E
lo affronta da un punto di vista singolare, quello di un medico che è tenuto a
curare tutti per il giuramento di Ippocrate e per di più è un uomo integro.
Eppure, anche lui, in questa situazione, non può fare a meno di discriminare:
la vita di un eritreo vale di meno di quella di israeliano? Cambia qualcosa,
quando, notte dopo notte, deve occuparsi delle malattie di questi poveracci? E
perché, quando si scende nel campo personale, la forte attrazione che prova per
Sirkit non distingue tra nazionalità e colore?
Il romanzo ha anche un filone poliziesco
che ben si intreccia con il dilemma di coscienza. La moglie di Eitan è
un’investigatrice di polizia e ricerca il ‘pirata’ che ha abbandonato l’eritreo
dopo averlo investito. Se ha dei sospetti sul marito, sono per ben altri
motivi- lo vede stanco, assente, scopre che gli ha mentito e che non è andato
al lavoro (come potrebbe reggere il doppio ritmo, Eitan?), pensa che la
tradisca. E poi saltano fuori altre problematiche, la morte dell’immigrato
clandestino non è solo un caso di investimento, il romanzo vira verso il
‘giallo’ con colpi di scena e un ritmo sempre più serrato.
Intenso, brillante, empatico, con molti
spunti di riflessione.
la recensione del precedente romanzo di Ayelet Gundar-Goshen, "Una notte soltanto, Markovitch", è sotto l'etichetta Voci da mondi diversi. Medio Oriente in data 4/5/2015
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