mercoledì 2 novembre 2016

Sylvain Tesson, “Nelle foreste siberiane” ed. 2012

                                                      Voci da mondi diversi. Francia
                   il libro ritrovato

Sylvain Tesson, “Nelle foreste siberiane”
Ed. Sellerio, trad. Roberta Ferrara, pagg. 251, Euro 16,00
Titolo originale: Dans les forêts de Sibérie

  Oggi ho letto a lungo, ho pattinato tre ore in una luce viennese ascoltando la Pastorale, ho pescato un omul’, ho raccolto mezzo litro di esca, ho guardato il lago dalla finestra attraverso il fumo di un té nero, ho dormito sotto i raggi del sole delle quattro, ho segato un tronco di tre metri e preparato una provvista di legna bastante per due giorni, ho preparato una buona kaša, una specie di porridge, l’ho mangiata e ho pensato che paradiso era nella somma di tutte queste cose.


        Mi sembra un nome perfettamente adeguato, Sylvain, per qualcuno che fa una scelta così insolita e- diciamolo- coraggiosa. Sylvain Tesson, giornalista e viaggiatore, aveva giurato a se stesso che, prima dei quarant’anni, sarebbe andato a vivere da solo per qualche mese in una capanna. “Il freddo, il silenzio e la solitudine sono condizioni che un giorno si pagheranno a peso d’oro”, dice Tesson all’inizio del libro che racconta la sua esperienza, “Nelle foreste siberiane”.  Perché Sylvain Tesson non ha scelto di passare sei mesi da solo in una natura ‘amica’ come potrebbero essere i boschi in cui si è isolato lo scrittore americano Henry Thoreau, autore di “Walden”. La capanna dove vivrà Sylvain si trova su un promontorio vicino al lago Bajkal, in Siberia: la vegetazione della taigà, pietra, ghiaccio, cielo immenso, temperature che scendono ai 40 sotto zero, un inverno che non finisce mai.

      Il libro di Sylvain Tesson è il suo diario, da febbraio a luglio. Non si mente in un diario, quando la lettura è riservata solo a chi lo scrive. Di certo Tesson è sincero fino ai limiti del possibile sapendo che, invece, saranno in molti a leggere queste pagine. L’inizio dell’avventura ha un che di esaltante: preparare l’attrezzatura, fare rifornimento di cibo (18 bottiglie di salsa Heinz, non si dice il numero di quelle di vodka) e di tutto quello che gli sarà indispensabile. Curioso il dettaglio patriottico della bandiera francese per  il 14 di luglio, interessante la scelta dei libri che riempiono una cassa- “chi non ha fiducia nella ricchezza della propria vita interiore deve portarsi dietro dei buoni autori: potrà sempre riempire quel vuoto”. L’elenco è dettagliato e stuzzicherà i lettori appassionati: parecchi testi di Ernst Jünger ma anche Ellroy e Connelly, Defoe (naturalmente) e Shakespeare ma anche Casanova e Nietzsche, Thoreau (naturalmente) ma anche Hemingway e Camus. Ci sono autori che non conosciamo e altri per cui condividiamo l’amore. Anche dare una rinfrescata all’interno della capanna, mettere a nudo il pavimento di legno e installare una finestra con i doppi vetri, è eccitante. Quando tutto è sistemato, i suoi accompagnatori se ne vanno e Sylvain resta solo. Come passerà il tempo? Prima di tutto è la dimensione stessa di tempo che invita alla riflessione- come sia diversa l’estensione del tempo in una città e in mezzo  alla natura. L’isolamento invita alla riflessione, a centellinare i piccoli piaceri che possono anche essere soltanto il rumore del vento, lo scricchiolio del ghiaccio, un bagliore nel cielo. O la solitudine.
  Quando, nell’arco di quei sei mesi, arrivano visite per Sylvain, la sua reazione è ambigua e spesso dipende da ‘chi’ sia il visitatore. I notabili di Irkutsk che fanno il giro del lago in 8 giorni su rumorose 4x4 sono aborriti rompiscatole (“ciò da cui fuggivo- rumore, bruttezza, cameratismo testosteronico- si sta abbattendo sul mio rifugio”), mentre, per quanto poco lo scrittore abbia in comune con loro, i russi che vivono nelle vicinanze con un qualche incarico impiegatizio sono benvenuti perché ci si può anche stancare di parlare solo a se stessi. E tuttavia è con sollievo che Sylvain li vede andare via, dopo essersi ubriacato con loro. Perché la vodka si beve come acqua- vuoi perché scalda, vuoi perché non c’è nulla di meglio da fare, vuoi perché si deve dimenticare che la tua ragazza non sopporta più la lontananza e ti ha mollato o perché, senza osarlo confessare, l’esperimento ogni tanto pesa.

     Sylvain Tesson sulle rive del lago Bajkal non è Robinson Crusoe sull’isola deserta. Al di là del fatto che non ha scelto di vivere da solo per 28 anni, Robinson cerca di riprodurre il modello di vita della società che si è lasciato alle spalle. Quella di Sylvain, invece, è una rivolta. Contro il consumismo, la tecnologia, l’inquinamento, la superficialità, la frettolosità.  Anche se poi, quando è primavera inoltrata e il tempo sta per scadere, Sylvain si domanda: “Chi sono io? Un vile che ha paura del mondo, recluso in una capanna in fondo a un bosco. Un codardo che si ubriaca in silenzio per non dover assistere allo spettacolo del suo tempo, per non trovarsi faccia a faccia con la propria coscienza mentre passeggia sulla spiaggia”.
Ogni lettore può interpretare a suo piacere queste parole.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it




1 commento:

  1. Finito di leggere ieri. Anche io ho fatto un paragone, tra l'inglese o l'americano e il francese lasciati su un isola deserta (non importa dove) il primo costruisce cose, il secondo spara ad ogni cosa e scopre il petrolio... il terzo si gode i piaceri della vita: fumo, alcool, buoni libri... chi scegliere? :) ottimo il tuo commento. ciao

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