mercoledì 23 novembre 2016

Jhumpa Lahiri, “La moglie” ed. 2013

                                                                Voci da mondi diversi. Asia
            il libro ritrovato


Jhumpa Lahiri, “La moglie”
Ed. Guanda, trad. Maria Federica Oddera, pagg. 418, Euro 18,00
Titolo originale: The Lowland


  L’effetto era inquietante. Subhash ebbe l’impressione che la sua presenza sulla terra venisse negata nell’attimo stesso in cui se ne stava là in piedi. Fu come se gli fosse proibito un accesso, se il passato si rifiutasse di accoglierlo. Si limitava a ricordargli che il luogo arbitrario dove era approdato, in cui si era costruito una vita, non gli apparteneva. Come Bela, l’aveva accettato e nello stesso tempo si era tenuto a distanza. In mezzo a quella gente, a quegli alberi, alla particolare geografia del territorio che aveva studiato e imparato ad amare, Subhash restava sempre e soltanto un ospite. Forse il peggior genere di ospite, quello che non vuole saperne di andarsene.

     Calcutta, e poi Rhode Island. India e Stati Uniti. Subhash, un uomo buono e generoso. Suo fratello Udayan, di quindici mesi più giovane, il suo doppio vivace, irruento, ribelle. Una donna, Gauri, moglie di Udayan e poi, rimasta vedova, di Subash. Una bambina, Bela, figlia di Gauri e Udayan. Sono questi i protagonisti del nuovo romanzo di Jhumpa Lahiri, intitolato “La moglie”. E’ lei, la moglie prima di uno e dopo dell’altro fratello, la protagonista assoluta? Di certo è il personaggio che, insieme al primo marito, il fratello minore Udayan, suscita più interrogativi. Di certo questo romanzo che potrebbe essere una storia banale, con qualche variante facile da immaginare- una donna, due uomini, il ricordo di uno, l’incapacità di amare l’altro, una figlia che cresce pensando che lo zio sia il suo vero padre e poi, scoprirà che non lo è, glielo diranno?, come reagirà?-, acquista peso e spessore mentre proseguiamo la lettura e le reazioni dei personaggi davanti ai casi della vita rivelano una profondità di indagine psicologica che trasformano l’intero romanzo.
    Tutto ha inizio a Calcutta sul finire degli anni ‘60 quando i due fratelli, entrambi brillanti studenti, prendono strade diverse: Subhash parte per proseguire gli studi negli Stati Uniti, mentre Udayan diventa un attivista nel movimento naxalita di ispirazione maoista.
I genitori non hanno la minima idea di quanto sia coinvolto Udayan, tantomeno lo può immaginare Subhash attraverso le rare lettere del fratello. In una delle ultime Udayan gli diceva di essersi sposato senza dilungarsi nei particolari, senza accennare all’opposizione dei genitori per questo matrimonio con una ragazza che loro non avevano scelto, una studentessa del tutto diversa dalla tipica moglie indiana. Poi Subhash aveva ricevuto la notizia della morte del fratello. Un fulmine. I dettagli di questa morte (Udayan era stato ucciso dalla polizia che gli aveva sparato alle spalle) vengono fuori a poco a poco nel romanzo, dapprima nello scarno racconto della moglie, poi in flash back in cui il tempo dei verbi è il presente, come in una ripresa dal vivo degli avvenimenti. E soprattutto affiora a poco a poco l’intera verità: è un eroe Udayan? un martire? È valsa veramente la pena che Subhash vivesse la sua intera vita all’ombra del fratello? E Gauri, qual è stato il suo ruolo in quanto è successo?
    Gauri non è un personaggio amabile. Se dapprima proviamo pena per lei, giovane, vedova, incinta, invisa ai suoceri, finisce poi per irritarci, incapace di mostrare almeno gratitudine per l’uomo che l’ha ‘salvata’, sposandola, portandola con sé in America, facendo da padre a sua figlia che lo adora. Anche perché Gauri non ha alcun istinto materno e le sue scelte la porteranno in tutt’altra direzione, senza curarsi di quanto possano ferire il secondo marito, senza considerare le conseguenze dell’abbandono materno per una bambina di dodici anni.


   La storia dei due fratelli che sposano la stessa donna è diventata una storia complessa- complesso lo sfondo della difesa dei diritti dei contadini in India, sfaccettati i rapporti famigliari, tra i due fratelli, tra questi e Gauri, tra Gauri e Subhash e la bambina Bela. E sempre, di sottofondo, un tema caro alla Lahiri, quello dell’estraneità, dell’appartenere a due mondi e a due culture, del restare sospesi tra i due senza essere certi di quale sia veramente il nostro e quale sia, quindi, la nostra identità. 

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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