giovedì 3 novembre 2016

Anita Nair, “L’ira degli innocenti” ed. 2016

                                                    Voci da mondi diversi. Asia
      cento sfumature di giallo
       FRESCO DI LETTURA

Anita Nair, “L’ira degli innocenti”
Ed. Guanda, trad. Francesca Diano, pagg. 347, Euro 19,00


      Basta romanticismi sull’ ‘incredibile India’. L’India del nuovo romanzo di Anita Nair, “L’ira degli innocenti”, secondo della serie ambientata a Bangalore che ha per protagonista l’ispettore Gowda, non fa sognare con fruscii di sari di seta, profumi di spezie e atmosfere esotiche. Non è l’India delle donne che offrono ghirlande di gelsomino o dei poveri che chiedono l’elemosina, che possono anche assillarti ma non suscitano mai un’impressione di minaccia. Questa è piuttosto l’India degli stupri di cui si è letto sui giornali, quella in cui bisogna guardarsi da tutti. Perfino l’ispettore Gowda pensa che la tranquilla Bangalore in cui è cresciuto si sia trasformata in una città che fatica a riconoscere. “Parallela a quella visibile, esisteva un’altra città clandestina. Una città dominata da magnaccia, da vecchie prostitute e dai loro protettori.” Nel nuovo mondo che è arrivato anche in India si è disposti a tutto per sopravvivere o per vivere meglio, per possedere quello che è così allettante, a portata di mano, basta che la mano sia piena di soldi.

    “L’ira degli innocenti” inizia con il ritrovamento del corpo di un avvocato molto noto- giace riverso nella sua abitazione, ha il cranio sfondato. Non si tratta di un furto, non ci sono segni di effrazione, è probabile che la vittima conoscesse chi lo ha ucciso. Il romanzo procede poi con una serie di episodi- l’impressione è di una cinepresa che documenti la vita sordida della città, i mezzucoli di gente di bassa lega per arricchirsi ai danni degli ‘innocenti’, o degli ingenui, o di chiunque non sia abbastanza scafato per fiutare la trappola. Su un treno un giovane vende tre biglietti a dei ragazzotti che ne sono sprovvisti, li farà passare per suoi parenti, saranno fermati alla stazione di Bangalore ma riuscirà a scappare con due dei malcapitati che saranno collocati a servizio dell’avvocato Rathore. Una sedicenne si lascia coinvolgere dal fidanzato in appuntamenti con uomini maturi- dovrebbe solo conversare e tenere compagnia ai clienti. Una ragazzina di dodici anni, Nandita, scompare. E’ uscita prima da scuola, l’hanno vista prendere un autobus, indossa la divisa bianca e azzurra, due fiocchi azzurri nelle trecce. E poi accompagniamo al tempio una strana coppia, lei su una sedia a rotelle, il marito la spinge. Apprendiamo che erano giovanissimi quando lei era rimasta paralizzata in seguito ad un incidente di bici che avevano avuto insieme. Lui l’aveva sposata e, per amore o per senso di colpa, aveva accudito a lei personalmente, sempre, da allora. E’ bravissima, Anita Nair, a seguire le fila diverse delle vicende, lasciando nell’ombra un misterioso thekedar, un procuratore di affari che è coinvolto in tutte queste storie che- lo intuiamo- porteranno all’omicidio del dottor Rathore.


    L’ispettore Gowda sta passando un momento difficile. E’ felice che il giovane poliziotto Santosh, il suo ‘doppio’ che tanto lo ammirava ne “Il satiro della sotterranea”, abbia ripreso servizio dopo essere stato così gravemente ferito, ma si sente ancora in colpa per quello che è successo. La stima che tutti, nel corpo di polizia, provano per Gowda, l’ammirazione che hanno per il suo fiuto straordinario, fa sì che nessuno fiati sulla sua doppia vita: Gowda approfitta della lontananza della moglie (si è trasferita ad Hassan per stare vicino al figlio che frequenta l’università) per godere la nuova fiammata di un vecchio amore. Eppure Gowda è a disagio. La doppiezza non fa per lui, il nuovo vecchio amore lo spinge a ridurre gli alcolici, ma poi torna la moglie a sorpresa per qualche giorno (qualcuno le ha detto qualcosa?), ritorna anche il figlio (che faceva a Goa? e che cosa è quella roba che fuma? e quelle pastigliette che tiene nello zaino?), e, soprattutto, non basta che debba risolvere il caso dell’assassinio dell’avvocato, la bambina che è scomparsa è la figlia della donna che fa le pulizie in casa sua, Gowda la conosce da sempre e gli fa male al cuore pensare a che fine possa avere fatto. A qualcuno che gli chiede come faccia  a vivere continuando ad avere fede nell’umanità, Gowda risponde, “Chi ha detto che avevo fiducia nell’umanità?”, e l’altro, “Se non fosse così, non faresti questo, cercare di rendere le cose migliori.” Gowda sa benissimo che i trafficanti di vite umane- che lavoro immondo, questo che sfrutta gli innocenti- hanno agganci molto in alto e faranno il possibile per intralciare il suo lavoro. Ma questo è il punto. Questa è la forza dell’ispettore Gowda. Lui deve andare avanti contro tutto e contro tutti, “Non ho scelta. Devo convivere con me stesso.”

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


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