giovedì 15 settembre 2016

Ron Leshem, “Tredici soldati” ed. 2008

                                               Voci da mondi diversi. Medio Oriente
          guerra 
           il libro ritrovato

Ron Leshem, “Tredici soldati”
Ed. Rizzoli, trad. Ofra Bannet e Raffaella Scardi, pagg. 370, Euro 17,00

   Dulce et decorum est pro patria mori- se c’è un paese al mondo per cui ha ancora un valore la retorica del verso di Orazio, questo è Israele. Se c’è un paese al mondo che manda i suoi figli a combattere perché da loro dipendono altre vite, questo è proprio quella tormentata striscia di terra così splendidamente collocata, sul blu Mediterraneo, e così stritolata dalla pressione degli stati arabi confinanti. Con una storia di guerra che risale alla sua stessa nascita. E allora il nome del protagonista del libro “Tredici soldati” di Ron Leshem, l’ufficiale ventunenne che comanda un gruppo di soldati nell’avamposto di Beaufort in Libano nel 1999-2000, ci pare quanto mai adeguato, un incitamento continuo per quelli che lui a volte chiama “i bambini”. Si chiama Liraz Liberti, ma è conosciuto come Erez: certo, Erez può essere un nome proprio, ma la prima associazione che viene in mente è con la vagheggiata Erez Israel, la terra di Israele, la patria, la dimora perduta. Erez punta su questo per spronare i suoi soldati a resistere, per giustificare la loro presenza in Libano: la vecchia fortezza dei crociati è un luogo cruciale per frenare Hezbollah, per difendere i villaggi israeliani a ridosso del confine. Che poi questa difesa assuma l’aspetto di un suicidio, soprattutto quando inizia a circolare la voce di un prossimo ritiro, quando si spuntano i giorni dal calendario e ogni morte in più appare inutile- rende più difficile il compito di Erez.

     Hanno a mala pena vent’anni, i soldati del gruppo di Erez, e scherzano con la morte. Hanno inventato il gioco del “mai più” che si fa quando muore un amico: ognuno deve buttare là una frase con quello che il ragazzo morto ormai non farà più. Più strampalato è quello che si dice, meglio è. Per ridere in faccia alla morte. Per non precipitare nella follia quando un razzo uccide il tuo migliore amico. Chi muore “va sprecato”, nel lessico da trincea che apprendiamo da Erez. E’ anche questa una maniera per rinominare la realtà. O per passare il tempo. Così un soldato è ‘stellicato’ quando è preso da stanchezza bellica. Non c’è posto per il dubbio a Beaufort. Quando l’infermiere River dice, “Noi moriremo uno dopo l’altro, e sarà per niente, perché alla fine ripiegheremo, non c’è dubbio. Ma una parte di noi uscirà in una bara, ed è un peccato morire così, senza motivo, è triste.”, Erez si arrabbia, “con idee simili sarai un combattente di merda; saranno i dubbi ad ammazzarti.” Questo è Erez il duro, che è finito in prigione per aver attaccato il nemico senza rispettare gli ordini. Erez che, tuttavia, non riesce ad immaginare altro che gli riempia la vita, neppure la ragazza che ama. Che non riesce a tener fede al giuramento fatto all’amico Oshri, secondo cui uno ucciderà l’altro, se questo dovesse restare gravemente menomato.

    “Tredici soldati” è una sorta di diario di guerra, un libro memorabile da accostare ai famosi “Niente di nuovo sul fronte occidentale” e “Morte a credito”. Pieno di dettagli di giornate scandite da regole ferree, in ascolto di rumori che possano annunciare un attacco, perforando il buio della notte con le lenti a infrarossi per scorgere il nemico. Ma anche di ore pigre di scherzi e battute, di parole salaci e sogni di ragazze. Di giochi di “mai più”. Perché muore Zitlawi che era riuscito a farsi la ragazza ortodossa, muore Ziv che era arrivato a Beaufort con la maglietta pacifista, muore Spitzer, e il Libano è questo, il luogo dove ti ricopri del sangue del tuo amico. “Ne valeva la pena? Cerco di convincermi che è valso quello che abbiamo perso. Ma non ci riesco”, dice River, l’antitesi di Erez.
    Dopo 18 anni di occupazione, nel maggio del 2000, Barak ordina il ritiro dal Libano. La fortezza di Beaufort viene fatta saltare in aria, aleggia cupa la domanda di River, avvalorata dall’ammissione del generale Kaplan- forse è stato tutto un errore, la presa del monte, prima di tutto. Perché in realtà era stato emanato un contrordine che non era mai arrivato. E Tsahal- acronimo per indicare l’esercito di difesa, come fosse una sola entità- si era lanciato all’attacco dell’avamposto.

    Storia di una ritirata, “Tredici soldati” mette in dubbio la strategia politica israeliana in pagine a volte comiche e a volte drammatiche, dove la risata salva dalla morsa della paura e dove l’assenza di Dio (è difficile rimanere religiosi a Beaufort, dice Erez) è colmata da quella speciale solidarietà che si crea in una “banda di fratelli”. Un libro molto duro, molto sofferto, molto bello. Da leggere.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


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