martedì 20 settembre 2016

Jenny Erpenbeck, “Voci del verbo andare” ed. 2016

                                             Voci da mondi diversi. Area germanica
          FRESCO DI LETTURA


Jenny Erpenbeck, “Voci del verbo andare”
Ed. Sellerio, trad. Ada Vigliani, pagg. 347, Euro 16,00

     Gehen, ging, gegangen, voci del verbo andare, infinito, passato, participio passato. Quando si studiano i verbi, in tedesco, sono queste le tre forme che si imparano, quelle da cui si formano tutti i tempi. Sono i verbi che imparano gli immigrati approdati a Berlino, dopo tragiche traversate in mare dalla costa africana, dopo lo sbarco a Lampedusa, dopo il periodo di soggiorno in qualche campo di raccolta in Italia. Da dove vengono questi uomini dei quali spesso è difficile definire l’età? Dove andranno? E quando? Al momento sono accampati in Oranienplatz, sotto delle tende. Le voci di un verbo esprimono il tempo dell’azione: che significato può avere il tempo per delle persone che cercano di non pensare al passato, che non hanno prospettive future, che vivono un presente fatto di niente, che dormono per far passare un tempo inutile di non vita?

    Anche Richard, professore emerito di filologia classica, si trova ad affrontare improvvisamente il problema del tempo, ora che è in pensione. Abita in quella che ‘un tempo’ (ecco, ancora il tempo) era la Germania dell’Est, sua moglie è morta da cinque anni, non ha figli, ha messo il suo passato di libri e scartoffie in scatoloni. Come riempirà le giornate vuote? Vede in televisione le manifestazioni in Oranienplatz e la sua mentalità di studioso gli suggerisce una ricerca, un sondaggio- incontrare quegli uomini e fare loro domande. Si sa così poco di loro. Da che cosa sono fuggiti? Avevano famiglia? genitori? Moglie e figli? Che lavoro facevano? Che tipo di vita conducevano? Le domande che si possono fare non saranno mai abbastanza per comprenderli. E poi, in che lingua riuscirà a comunicare con loro? Richard scoprirà che più o meno tutti parlano un inglese e un italiano smozzicati, il tedesco lo impareranno lentamente, con fatica. Gehen, ging, gegangen.

    Si spalanca un mondo nuovo davanti a Richard. Mai si era reso conto della sua ignoranza riguardo a quel continente che si chiama Africa, dove una volta i tedeschi avevano delle colonie e si comportavano da padroni di fronte ad una razza inferiore (se Hitler avesse vinto la guerra…). Gli uomini citano stati che Richard non saprebbe collocare sull’atlante- dov’è il Burkina Fasu? E qual è la capitale del Ghana? E del Senegal? Che lingua si parla laggiù?
Raccontano di guerre, di morti e sangue, di padri uccisi davanti ai loro occhi, di fughe attraverso il deserto senza acqua, di barconi strapieni, di bottiglie calate in acqua per bere almeno acqua di mare (qualcuno era impazzito, molti erano morti), di episodi di salvataggio da parte della marina italiana che erano finiti con il rovesciamento del barcone e 550 annegati su 800 (i due bambini di Rashid erano scomparsi tra le onde), di lavori dignitosi e anche di prestigio che avevano ‘un tempo’.

Richard ascolta, prende nota, impara a conoscere ad uno ad uno quegli uomini che sembravano tutti uguali. Richard è sempre più coinvolto- che cosa può fare il singolo quando le leggi sono inflessibili e irragionevoli? Quando qualunque cosa gli uomini intraprendano è inutile perché hanno diritto di asilo solo nel paese dove sono sbarcati, cioè in Italia, e non possono lavorare (come desiderano tutti) se non hanno ottenuto asilo politico (e in Italia non c’è lavoro)? Ma Richard è nato durante la guerra, sa bene che cosa succede se il singolo si tira indietro pensando di non poter fare nulla. E’ consapevole del rischio che ‘il popolo dei poeti’ si trasformi un’altra volta nel ‘popolo degli assassini’. E ingaggia uno perché gli pulisca il giardino, trova un posto come badante provvisorio per un altro, ne invita un altro ancora a casa sua perché questi ha detto che gli piacerebbe suonare il pianoforte (non ne aveva mai visto uno), festeggia il Natale insieme a quegli uomini che si incantano come bambini davanti alla piramide di angeli che gira, mossa dal fumo delle candele. Richard cambia e cambia anche il suo modo di giudicare gli ‘amici’. Pensa all’uomo che gli ha detto ‘io non so più chi sono’ e non c’è più posto accanto a lui per chi ha parole di disprezzo per i ‘negri’.


    Jenny Erpenbeck ha scritto un libro importante e bellissimo, in parte romanzo, in parte saggio, in parte cronaca giornalistica, in parte denuncia politica. E ha avuto coraggio. E sensibilità. E ha saputo differenziare i personaggi attraverso le loro storie e i loro comportamenti, scrivendo un libro che si legge di un fiato, perché noi siamo Richard e i profughi sono quelli che vediamo ogni giorno, quelli che raccontano a Richard che gli italiani cambiano posto, in metropolitana, se si siedono accanto a loro.




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