domenica 11 settembre 2016

Edmund De Waal, “La strada bianca” ed. 2016

                                   Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
                                                                      Diaspora ebraica
       FRESCO DI LETTURA

Edmund De Waal, “La strada bianca”
Ed. Bollati Boringhieri, trad. Carlo Prosperi, pagg. 403, Euro 17,00


     C’è la passione, dietro una collezione. C’è la ricerca infinita di quel minuscolo dettaglio che fa la differenza tra un oggetto e un altro e che ne rende indispensabile il possesso. Perché è così: collezionare vuol dire possedere, passare ore a catalogare, a seguire le tracce che portano al passato e alla storia dell’oggetto della nostra collezione. Il collezionista è anche uno storico, di qualunque storia si tratti.
Nel suo primo bellissimo romanzo, “Un’eredità d’avorio e ambra”, Edmund De Waal aveva seguito a ritroso la storia dei 264 netsuke (le piccole sculture giapponesi che servivano a fissare il cordoncino dei kimono) ricevuti in eredità da uno zio. Ne “La strada bianca” De Waal segue altre tracce, in un altro itinerario che ha a che fare solo con lui e con quella che è stata la sua passione fin da quando aveva cinque anni e che lo ha fatto diventare un ceramista famoso: la strada bianca non può essere che la via della porcellana, l’oro bianco che bisogna rincorrere fino in Cina, a Jingdezhen nello Jiangxi, “la leggendaria Ur dove tutto ebbe inizio”.
antico vaso cinese
     Quella di Jingdezhen è la prima ‘montagna bianca’ che De Waal deve scalare- ha disegnato una sorta di paesaggio sulla parete del suo studio, a Londra. Delle frecce portano ai luoghi dove è già stato, delle linee tratteggiate segnano quelli dove deve ancora andare. Prima Versailles, poi Dresda. Poi Plymouth che vede la nascita della porcellana inglese, poi sui monti Appalachi e indietro in Cornovaglia, per terminare- sì, pare impossibile- a Dachau. De Waal guarda con l’occhio dell’esperto, giudica la qualità di quello che vede, descrive con il tono dell’innamorato, tocca le porcellane come se fossero la pelle candida di un’amante, ci racconta la storia che c’è ‘dietro’ quello che vede. Storie di fatiche e di scoperte casuali, di imperatori, di sovrani, di alchimisti tenuti prigionieri, di regali folli e di spese altrettanto folli per possedere un numero spropositato di porcellane, di quaccheri rigorosi e severi che pure, incredibilmente, sono contagiati da questa passione del bianco. Si arriva ai tempi più vicino a noi, a Hitler, a Himmler, ai laboratori nel campo di concentramento di Dachau dove i prigionieri ebrei venivano messi al lavoro. De Waal cita Melville, lo scrittore del bianco per eccellenza, il capitolo XLII di “Moby Dick”, ‘in molti oggetti naturali la bianchezza accresce raffinatamente la bellezza, quasi le impartisse una sua speciale virtù, come nei marmi, nelle camelie e nelle perle.’
porcellana di Dresda
   Seguendo la via della porcellana, ogni tanto Edmund De Waal fa- figuratamente- una sosta e ci parla della sua passione e della sua attività come ceramista, delle sue idee e delle sue creazioni, dei suoi successi e insuccessi, delle sue mostre e del significato che hanno per lui.
ceramiche di De Waal
    “La strada bianca” è un libro singolare e per molti versi affascinante. Manca, però, di un elemento umano coinvolgente quanto quello rappresentato dalla famiglia Ephrussi in “Un’eredità d’avorio e ambra”. I personaggi che popolano le pagine de “La strada bianca” vengono fuori dai libri di storia, sono interessanti per il ruolo che hanno nella scoperta e nella diffusione della porcellana, ci divertono anche- a tratti-, ma non acquistano vita, hanno una sola dimensione e si lasciano facilmente dimenticare. E’ un libro che, però, consiglio a tutti gli appassionati di porcellana e a tutti quelli che sono incantati dall’ ‘elusività del bianco’.



   

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