sabato 3 settembre 2016

Faye Kellerman, “Il bagno rituale” ed. 2010

                                  Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
            Diaspora ebraica
             cento sfumature di giallo
            il libro dimenticato
          
Faye Kellerman, “Il bagno rituale”
Ed. Cooper, trad. Alessandro Corsini, pagg. 348, Euro 17,50

    Primo romanzo della serie, “Il bagno rituale” inizia ‘la saga degli investigatori ebrei’, come recita il sottotitolo in copertina. E l’ambientazione, nella Jewtown di Los Angeles, è la caratteristica più interessante del libro di Faye Kellerman, come già avevo osservato dopo aver letto “Sacro e profano”, il secondo della serie che però mi era venuto tra le mani prima di questo.
   Siamo a Los Angeles eppure non siamo a Los Angeles. A due passi da Hollywood, nel centro di quanto di più americano possiamo immaginare, l’impressione è quella di aggirarci per Mea Sharim, il quartiere ultraortodosso di Gerusalemme. Uomini con il tallit, lo scialle di preghiera, bambini con la kippà sui riccioli, donne con la parrucca- come è d’obbligo per tutte dopo il matrimonio-, gonne lunghe, bluse allacciate fino al collo e maniche lunghe.

E’ significativo che la scena del crimine sia una mikvah, il luogo dove si può adempiere all’obbligo del bagno di purificazione rituale secondo le prescrizioni religiose. E’ un luogo puro per eccellenza, eppure è lì, nell’ombra del boschetto circostante che qualcuno, con un passamontagna in testa, ha assalito una donna che stava tornando a casa e l’ha stuprata. Per una strana coincidenza la polizia sta dando la caccia ad un misterioso stupratore di Foothill- anche se è quasi impossibile che il feticista attirato dalle scarpe delle donne sia la stessa persona che attendeva l’uscita della donna dalla mikvah, la somiglianza dei casi ci ricorda che niente, neppure la vita morigerata in un ambiente chiuso e protetto o la fede assoluta, può metterci al riparo dal male.

    La trama gialla de “Il bagno rituale”- che continua poi con un omicidio brutale  e altri tentativi di violenza contro una donna- sembra offrire un pretesto, almeno in questo primo romanzo, per un confronto tra due mondi antitetici. Da una parte il poliziotto con i capelli rossi, Peter Decker, divorziato e con una figlia adolescente, dall’altra Rina Lazarus, la giovane donna che svolge i lavori di pulizia nella mikvah oltre a fare l’insegnante per mantenere i suoi due bambini dopo che è rimasta vedova. L’attrazione fra i due è fortissima, ma non c’è ponte, non c’è passerella che possa aiutarli a superare l’abisso che li separa. L’amore non basta. O sì? Peter Decker non ignora le leggi che regolano la vita di Rina (la sua ex moglie era ebrea anche se non osservante) e si sforza anche di capire tutti i limiti che comportano, piccoli dettagli della vita quotidiana a cui nessuno fa caso nella società laica- non si può andare a mangiare un boccone da qualche parte perché il cibo non sarebbe kosher, un uomo e una donna non possono restare da soli insieme se non sono sposati, quindi niente cinema, niente di niente. Neppure scortare Rina a casa per proteggerla. E’ frustrante, eppure Decker si sforza di capire e di rispettare quello in cui Rina crede.

    Aveva ragione Rina, aveva ragione il rabbino nel sostenere che non era assolutamente possibile che l’uomo ricercato facesse parte della comunità? Dopo tutto, come fa osservare Decker, se Dio ha dato i comandamenti a Mosé, vuol dire che anche gli ebrei potevano essere malvagi. E riuscirà il nostro poliziotto dai capelli rossi, così gentile con i bambini di Rina, ad avvicinarsi alla donna che ama? C’è qualcosa che Peter Decker non ha mai raccontato…




   

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