Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
Diaspora ebraica
cento sfumature di giallo
il libro dimenticato
Faye Kellerman, “Il
bagno rituale”
Ed.
Cooper, trad. Alessandro Corsini, pagg. 348, Euro 17,50
Primo romanzo della serie, “Il bagno
rituale” inizia ‘la saga degli
investigatori ebrei’, come recita il sottotitolo in copertina. E
l’ambientazione, nella Jewtown di Los
Angeles, è la caratteristica più interessante del libro di Faye Kellerman,
come già avevo osservato dopo aver letto “Sacro e profano”, il secondo della
serie che però mi era venuto tra le mani prima di questo.
Siamo a Los Angeles eppure non siamo a Los
Angeles. A due passi da Hollywood, nel centro di quanto di più americano
possiamo immaginare, l’impressione è quella di aggirarci per Mea Sharim, il
quartiere ultraortodosso di
Gerusalemme. Uomini con il tallit, lo scialle di preghiera, bambini con la
kippà sui riccioli, donne con la parrucca- come è d’obbligo per tutte dopo il
matrimonio-, gonne lunghe, bluse allacciate fino al collo e maniche lunghe.
E’
significativo che la scena del crimine sia una
mikvah, il luogo dove si può adempiere all’obbligo del bagno di
purificazione rituale secondo le prescrizioni religiose. E’ un luogo puro per
eccellenza, eppure è lì, nell’ombra del boschetto circostante che qualcuno, con
un passamontagna in testa, ha assalito
una donna che stava tornando a casa e l’ha stuprata. Per una strana
coincidenza la polizia sta dando la caccia ad un misterioso stupratore di
Foothill- anche se è quasi impossibile che il feticista attirato dalle scarpe
delle donne sia la stessa persona che attendeva l’uscita della donna dalla
mikvah, la somiglianza dei casi ci ricorda che niente, neppure la vita
morigerata in un ambiente chiuso e protetto o la fede assoluta, può metterci al riparo dal male.
La trama gialla de “Il bagno rituale”- che
continua poi con un omicidio brutale e
altri tentativi di violenza contro una donna- sembra offrire un pretesto,
almeno in questo primo romanzo, per un confronto
tra due mondi antitetici. Da una parte il poliziotto con i capelli rossi,
Peter Decker, divorziato e con una figlia adolescente, dall’altra Rina Lazarus,
la giovane donna che svolge i lavori di pulizia nella mikvah oltre a fare
l’insegnante per mantenere i suoi due bambini dopo che è rimasta vedova.
L’attrazione fra i due è fortissima, ma non c’è ponte, non c’è passerella che
possa aiutarli a superare l’abisso che
li separa. L’amore non basta. O sì? Peter Decker non ignora le leggi che
regolano la vita di Rina (la sua ex moglie era ebrea anche se non osservante) e
si sforza anche di capire tutti i limiti che comportano, piccoli dettagli della
vita quotidiana a cui nessuno fa caso nella società laica- non si può andare a
mangiare un boccone da qualche parte perché il cibo non sarebbe kosher, un uomo
e una donna non possono restare da soli insieme se non sono sposati, quindi
niente cinema, niente di niente. Neppure scortare Rina a casa per proteggerla. E’
frustrante, eppure Decker si sforza di capire e di rispettare quello in cui
Rina crede.
Aveva ragione Rina, aveva ragione il
rabbino nel sostenere che non era assolutamente possibile che l’uomo ricercato
facesse parte della comunità? Dopo tutto, come fa osservare Decker, se Dio ha
dato i comandamenti a Mosé, vuol dire che anche
gli ebrei potevano essere malvagi. E riuscirà il nostro poliziotto dai
capelli rossi, così gentile con i bambini di Rina, ad avvicinarsi alla donna
che ama? C’è qualcosa che Peter Decker non ha mai raccontato…
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