il libro ritrovato
Maggie O’Farrell, “Quando Esme Lennox svanì”
Ed. il Saggiatore, trad. Ada
Arduini, pagg. 186, Euro 16,00
Di recente, il titolo di un articolo di
giornale chiedeva, ‘Vi siete accorti che questo è stato l’anno delle donne?’.
Certo, per fortuna sono sempre più numerose le donne che ricoprono ruoli una
volta a loro preclusi, nel mondo della politica e dell’impresa. Ma, a fronte
del numero di donne che sono diventate qualcuno in questi ambiti, è
incomparabilmente più alto il numero delle donne che vengono ammazzate. Da
amici, mariti, ex-mariti, fidanzati, amanti: la cronaca nera è piena ogni
giorno di vittime di sesso femminile. Quando sono fortunate sopravvivono ad uno
stupro- che ai nostri giorni hanno il coraggio di denunciare (e questo è,
almeno, un passo avanti). In passato era ancora peggio: pare incredibile ma,
fino a meno di un secolo fa, un padre o un marito poteva far rinchiudere la
figlia o moglie in una clinica psichiatrica o manicomio che dir si voglia con
accuse vaghe e generiche che possono essere riassunte nel termine ‘isteria’-
male uterino a cui solo le donne si riteneva fossero soggette in un mondo che
apparteneva interamente agli uomini.
E’ questo che accade nel bel romanzo di
Maggie O’Farrell, “Quando Esme Lennox svanì”, storia di una donna, Esme Lennox,
fatta internare dal padre a sedici anni in un ospedale psichiatrico da cui
sarebbe uscita- e solo perché la struttura veniva chiusa- sessantun anni,
cinque mesi e sei giorni dopo. Contati come granelli di sabbia in una
clessidra, altrettanto lenti a cadere nel vuoto delle giornate riempite dai
pianti e dalle urla di chi aveva motivi più seri per trovarsi tra quelle mura. Chi
sia Esme Lennox e perché sia stata murata viva lo apprendiamo seguendo tre
filoni narrativi altalenanti tra presente e passato. Due di queste tracce
iniziano quasi contemporaneamente: una ci racconta di due bambine nell’India
del Raj dapprima e nell’Edimburgo degli anni ‘30 poi, quando la famiglia era
tornata in Scozia dopo la morte del fratellino di Esme e Kit; l’altra introduce
la giovane Iris, proprietaria di un negozio di abiti vintage, colta di sorpresa
da una telefonata dell’ospedale psichiatrico che la contatta in quanto unica
parente della paziente Esme Lennox. Iris è l’unica nipote di Esme- peccato che
non abbia neppure mai saputo che sua nonna Kit avesse una sorella.
Il lettore segue stregato questa duplice
narrazione, colto dalla malia di un tempo lontano in cui una bambina dal
carattere indipendente veniva punita per la sua vivacità, diventata adolescente
era rimproverata per stare seduta in maniera scomposta o, più banalmente, per
dimenticarsi di mettere i guanti (come si addice ad una ‘signora’), o-
infrazione terribile- per pavoneggiarsi davanti allo specchio con la camicia da
notte della mamma. O, infine, per essere stata la vittima delle voglie di un
uomo. Per contrappunto, nel tempo presente, l’aggancio di Iris (osservare la
strana somiglianza di due nomi dissimili) con il passato è solo nel fascino
retro degli abiti- per il resto, nessuna conseguenza gliene deriva dal legame
d’amore con un uomo già sposato, e neppure dal rapporto più che fraterno con il
fratello non di sangue. La terza traccia, infine, a volte ripercorre quella
della prima ma i passi sono incerti, i ricordi sono chiari- come accade a chi è
malato di Alzheimer- ma si esprimono in maniera confusa. Eppure rivelano un
segreto e una verità tremendi. E il lettore sospende il giudizio, davanti alla
punizione inflitta per aver rubato una vita.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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