martedì 24 giugno 2014

Maggie O'Farrell, "Quando Esme Lennox svanì" ed. 2008


                               il libro ritrovato


Maggie O’Farrell, “Quando Esme Lennox svanì”
Ed. il Saggiatore, trad. Ada Arduini, pagg. 186, Euro 16,00


     Di recente, il titolo di un articolo di giornale chiedeva, ‘Vi siete accorti che questo è stato l’anno delle donne?’. Certo, per fortuna sono sempre più numerose le donne che ricoprono ruoli una volta a loro preclusi, nel mondo della politica e dell’impresa. Ma, a fronte del numero di donne che sono diventate qualcuno in questi ambiti, è incomparabilmente più alto il numero delle donne che vengono ammazzate. Da amici, mariti, ex-mariti, fidanzati, amanti: la cronaca nera è piena ogni giorno di vittime di sesso femminile. Quando sono fortunate sopravvivono ad uno stupro- che ai nostri giorni hanno il coraggio di denunciare (e questo è, almeno, un passo avanti). In passato era ancora peggio: pare incredibile ma, fino a meno di un secolo fa, un padre o un marito poteva far rinchiudere la figlia o moglie in una clinica psichiatrica o manicomio che dir si voglia con accuse vaghe e generiche che possono essere riassunte nel termine ‘isteria’- male uterino a cui solo le donne si riteneva fossero soggette in un mondo che apparteneva interamente agli uomini.
      E’ questo che accade nel bel romanzo di Maggie O’Farrell, “Quando Esme Lennox svanì”, storia di una donna, Esme Lennox, fatta internare dal padre a sedici anni in un ospedale psichiatrico da cui sarebbe uscita- e solo perché la struttura veniva chiusa- sessantun anni, cinque mesi e sei giorni dopo. Contati come granelli di sabbia in una clessidra, altrettanto lenti a cadere nel vuoto delle giornate riempite dai pianti e dalle urla di chi aveva motivi più seri per trovarsi tra quelle mura. Chi sia Esme Lennox e perché sia stata murata viva lo apprendiamo seguendo tre filoni narrativi altalenanti tra presente e passato. Due di queste tracce iniziano quasi contemporaneamente: una ci racconta di due bambine nell’India del Raj dapprima e nell’Edimburgo degli anni ‘30 poi, quando la famiglia era tornata in Scozia dopo la morte del fratellino di Esme e Kit; l’altra introduce la giovane Iris, proprietaria di un negozio di abiti vintage, colta di sorpresa da una telefonata dell’ospedale psichiatrico che la contatta in quanto unica parente della paziente Esme Lennox. Iris è l’unica nipote di Esme- peccato che non abbia neppure mai saputo che sua nonna Kit avesse una sorella. 


     Il lettore segue stregato questa duplice narrazione, colto dalla malia di un tempo lontano in cui una bambina dal carattere indipendente veniva punita per la sua vivacità, diventata adolescente era rimproverata per stare seduta in maniera scomposta o, più banalmente, per dimenticarsi di mettere i guanti (come si addice ad una ‘signora’), o- infrazione terribile- per pavoneggiarsi davanti allo specchio con la camicia da notte della mamma. O, infine, per essere stata la vittima delle voglie di un uomo. Per contrappunto, nel tempo presente, l’aggancio di Iris (osservare la strana somiglianza di due nomi dissimili) con il passato è solo nel fascino retro degli abiti- per il resto, nessuna conseguenza gliene deriva dal legame d’amore con un uomo già sposato, e neppure dal rapporto più che fraterno con il fratello non di sangue. La terza traccia, infine, a volte ripercorre quella della prima ma i passi sono incerti, i ricordi sono chiari- come accade a chi è malato di Alzheimer- ma si esprimono in maniera confusa. Eppure rivelano un segreto e una verità tremendi. E il lettore sospende il giudizio, davanti alla punizione inflitta per aver rubato una vita.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


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