domenica 29 giugno 2014

Leonardo Padura Fuentes, "L'uomo cha amava i cani" Intervista 2010

                                                        Voci da mondi diversi. Cuba
                                                        la Storia nel romanzo
                                                        il libro ritrovato

              
Intervista a Leonardo Padura Fuentes, autore de "L'uomo che amava i cani"


Quando ho incontrato Leonardo Padura Fuentes a Milano, due anni fa, in occasione della pubblicazione del suo libro precedente, “La nebbia del passato”, lo scrittore stava già scrivendo “L’uomo che amava i cani”. Oggi ci parla dei suoi dubbi, di come fosse incerto sul risultato del libro che aveva in mente. Era il progetto letterario più ambizioso che si fosse mai posto: la difficoltà principale era che il fatto centrale del romanzo- l’assassinio di Trotskij- era noto ai lettori. Doveva quindi lavorare sulla struttura del libro, in modo che i lettori avessero l’impressione di stare scoprendo qualcosa che non conoscevano ancora. Sentiamo da lui di più su come è nato questo bel romanzo storico.

 Nel suo romanzo la curiosità di Iván, lo scrittore, è suscitata da Jaime Lopez che gli racconta la storia. Chi o che cosa è stato il suo Lopez?

     L’idea del libro è nata quando, nel 1989, visitai per la prima volta la casa di Trotskij a Coyoacán, un sobborgo di Città del Messico, dove viveva rifugiato e dove fu ucciso nell’agosto del 1940 da Ramón Mercader. Quel giorno ho provato una grandissima emozione e sono rimasto talmente commosso che ho deciso che dovevo raccontare quella storia. Se a tutto ciò si aggiunge anche che Mercader visse gli ultimi anni della sua vita a Cuba, morendo nel 1978 all’Avana, la mia città, può capire quanto fossi incuriosito e quanto fosse forte il mio desiderio di ricostruire e raccontare i fatti.

 Verso la fine affiorano sempre più spesso i due sentimenti opposti di Iván verso Mercader: disprezzo e compassione; ammirazione e pena. Perché compassione? Perché ammirazione? Perché non semplicemente orrore per un assassino?
    Credo che più che disprezzo e compassione, Iván provi la tentazione della compassione e che allo stesso tempo sia incapace di odiare, di provare semplicemente orrore nei confronti di un assassino.
Iván cerca di comprendere perché Ramón Mercader ha fatto quello che ha fatto per non tradire un’ideologia. Ha più l’esigenza di comprendere l’uomo che il desiderio di odiarlo o compatirlo.

Quando Iván parla di suo fratello William messo al bando perché omosessuale e parla di Cuba negli anni Settanta, a volte sembra parlare quasi dell’Unione Sovietica. Racconta la storia della Russia di Stalin per raccontare anche, in tono minore, quella di Cuba?
     In un certo senso sì. Il sistema, anche se è stato abbastanza diverso nei metodi, era simile nella sua essenza. Anche se bisogna riconoscere che a Cuba non si sono mai consumati gli orrori avvenuti in Unione Sovietica. C’è stato un periodo, è vero, in cui la repressione fu più pesante, un periodo durante il quale furono emarginate alcune persone, ma niente di paragonabile a ciò che avvenne nell’Unione Sovietica di Stalin.

 Da un certo punto in poi nel libro si avverte una sorta di nostalgia che già scorreva nei libri del Conde. È come se ci fosse un’elegia funebre per la fine dell’Utopia. “L’Utopia”, con la U maiuscola e l’articolo determinativo. Quella di una società di uguali è stata l’unica grande utopia del Ventesimo secolo?
    Sì, senza dubbio, l’utopia socialista è stata la grande utopia del Ventesimo secolo. Creare una società in cui tutti gli uomini avessero gli stessi diritti e le medesime possibilità.
E ancora sì, è vero, percepisco la nostalgia della grande utopia. La società contemporanea sta vivendo un’epoca di perdita di senso, di progetto. La caduta del muro di Berlino ha rappresentato la vittoria del capitalismo, ma è divenuta ben presto il trionfo del peggior capitalismo. Ciò che sta avvenendo oggi a livello internazionale, con la crisi, la perdita di lavoro e di valori, ci obbliga a riflettere sulla necessità di una nuova utopia.

Che cosa ha significato per lei scrivere di Trotskij e perché ha deciso di farlo?

     È stata quasi una necessità, un bisogno che sentivo, perché Trotskij fu il primo grande critico dello stalinismo. Ha avuto immediatamente la percezione di come Stalin e la burocrazia stalinista stavano pervertendo il sistema. E fu il primo a sottolineare elementi che in seguito vennero confermati come la cooperazione de facto tra Stalin e Hitler: l’ascesa del fascismo tedesco, del nazismo, avrebbe potuto essere bloccata per mezzo di una politica diversa dei partiti socialisti e comunisti di Germania, ma Stalin non lo permise. La conferma definitiva fu il patto Molotov-Ribbentrop.

Un’ultima domanda, di cronaca. Qual è il legame di parentela tra Maria Mercader e Ramón Mercader?

     Maria Mercader, attrice spagnola e moglie di Vittorio De Sica, ha sostenuto in più di un’occasione di essere la sorella di Ramón, ma le cose non stanno così e lei è effettivamente solo sua cugina.

l'intervista è stata pubblicata su www.wuz.it




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