cento sfumature di giallo
voci da altri mondi. Medio Oriente
Dror A. Mishani, “Un caso di scomparsa”
Ed. Guanda, trad. Elena
Loewenthal, pagg. 304, Euro 18,00
Titolo originale: Tik Ne’edar
“Leggo romanzi gialli, quando ho tempo, e
guardo film polizieschi e serie televisive, e dimostro che l’investigatore si sbaglia.”
Non aveva capito. Nessuno capiva.
“Dimostri a chi?”
“A me stesso. Quando leggo un giallo, svolgo la mia indagine parallela e
dimostro che l’investigatore del libro si sbaglia o induce di proposito i
lettori a sbagliare, mentre la vera soluzione è un’altra.”
E’ il chiodo fisso dell’ispettore Avraham
Avraham (ma che cosa avevano in mente, i suoi genitori, per dargli un nome
uguale al cognome?), è la domanda che rivolge spesso all’inizio di un
interrogatorio- perché non si scrivono gialli in Israele? Ma è ovvio, perché in
Israele si muore già abbastanza nella guerra senza fine, come è morto il figlio
di Ilana, il capo che Avi (meglio usare il diminutivo) tanto ammira. Così,
quando si presenta in centrale Hanna Sharabi a denunciare la scomparsa del
figlio Ofer, Avi tira fuori il suo tono paziente per elencare tutte le
possibili ragioni per cui un sedicenne si allontana da casa. Ritornerà presto,
magari è già a casa ad aspettarla. E invece Ofer non ritorna, è proprio
scomparso. Era (legittimo pensare che sia morto, con il passare dei giorni) un
ragazzo introverso, aveva pochi amici. Sembra che persino sua madre lo
conoscesse poco, non sa dire nulla delle abitudini del figlio, di quello che
gli piaceva. Eppure Ofer sarebbe dovuto andare al cinema con una ragazza due
giorni dopo quello della sua scomparsa- di certo non si è ucciso, ma anche
andarsene così, senza soldi, senza carta di credito, senza telefonino?
Ci pensa Dror Mishani con il suo primo
romanzo, “Un caso di scomparsa”, a ribaltare l’affermazione del suo personaggio
secondo cui non si scrivono gialli in Israele, regalandoci, per di più, un
ottimo romanzo tout court che ha i
colori del giallo, sì, ma si rivela essere una tragedia famigliare, un romanzo
che ha un grande spessore psicologico, che pone domande lasciando la risposta
aperta, perché il lettore ci rifletta. Perfino il finale è aperto, sia quello
del caso di Ofer sia quello che riguarda il futuro personale di Avi Avraham.
Che poi non è l’unico protagonista del romanzo. Condivide la ribalta con un
personaggio singolare che fa di tutto per attirare l’attenzione, espressione di
un Male non plateale ma ugualmente ‘cattivo’, e il peggio è che lui,
l’insegnante Zeev Avni che ha velleità di scrittore, neppure si rende conto
della gravità delle sue azioni. Zeev e la moglie abitano nello stesso condominio
della famiglia Sharabi, Zeev dava lezioni private di inglese ad Ofer. La
scomparsa del ragazzo offre a Zeev Avni l’ispirazione per il romanzo che
avrebbe sempre voluto scrivere. Fin qui, passi. Ma Zeev confonde la letteratura
con la realtà, porta l’invenzione romanzesca dentro la vita degli Sharabi,
suggerisce con una telefonata alla polizia il luogo dove cercare il corpo di
Ofer, scrive a nome di Ofer delle lettere ai suoi genitori- e pensare che Zeev
Avni ha un figlio a cui vuole molto bene e non riesce a capire la reazione
inorridita della moglie quando la mette orgogliosamente a parte di quanto ha
fatto. Si aspetta che lei applauda il novello scrittore. Che poi siano proprio
le sue interferenze a mettere la polizia sulla giusta traccia, è un’altra
faccenda.
Il brancolare nel buio di Avi Abraham è un
avanzare incerto in cerca di una verità che sfugge, che si camuffa sotto
molteplici sembianze di verità, che è elusiva- pare quasi che Avi Abraham non
voglia affrontare la verità. E, quando si alza infine il sipario, quello che è
successo è un terribile dramma doloroso. Di quelli da cui ci si ritrae, tanta è
la sofferenza per tutti quelli che sono coinvolti.
C’è però un risvolto leggero di
tanto dolore- l’ironia affettuosa con cui vengono presentati i genitori del
quasi quarantenne Avi (Woody Allen ci ha insegnato come sono le mamme ebree,
competono solo con quelle italiane quanto ad iper-protettività), l’imprevisto
innamoramento del protagonista per una ragazza incontrata nientemeno che in un
viaggio di lavoro a Bruxelles, persino la follia (perché non sapremmo come
altro chiamarla) dell’insegnante di inglese di Ofer.
Non è la parola “Fine” a chiudere il bel
romanzo di Dror Mishani. E’ “Segue”, confermando l’originalità di questo libro.
Attendiamo il seguito, allora. Pregustandolo.
la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it
Il romanzo di Dror Mishani ha appena vinto il premio Adei Wizo 2014
Dror Mishani |
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