domenica 1 giugno 2014

Antonio Pennacchi, "Canale Mussolini" ed. 2010

                                                    Casa Nostra. Qui Italia                                                       


Il libro che ha vinto il premio Strega 2010

Antonio Pennacchi, “Canale Mussolini”
Ed. Mondadori, pagg. 455, Euro 20,00


    “Per la fame. Siamo venuti giù per la fame.” Inizia così il lungo monologo di un narratore che solo alla fine rivela la sua identità e che racconta la storia della famiglia Peruzzi e, insieme a quella, la storia d’Italia dagli inizi del ‘900 alla fine degli anni ‘50. La fame che ha spinto i Peruzzi ad abbandonare le loro terre del basso Veneto è quella che è seguita alla ‘quota 90’ quando, nel 1927, la lira è stata rivalutata: dalle 150 si passò alle 90 lire per una sterlina. E i Peruzzi, che erano mezzadri sulle terre del conte Zorzi Vila, si videro presentare un conto di debiti che non avevano la possibilità di saldare (“maladéti i Zorzi Vila!”). L’ unica maniera per sopravvivere era accettare un podere nell’Agro Pontino ancora in corso bonifica: l’Opera Nazionale Combattenti si occupava della distribuzione delle terre alle famiglie di cui almeno un membro avesse combattuto nella prima guerra mondiale, secondo le direttive della legge Mussolini del 1928. Come i Peruzzi, migliaia di altre famiglie di contadini furono trapiantate “in mezzo a gente straniera che parlava un’altra lingua.”  Trentamila persone nel giro di tre anni, un vero e proprio esodo. Lì, al sud, venivano chiamati ‘polentoni’ o ‘cispadani’. Loro finirono per chiamare ‘marocchini’ gli abitanti del posto con cui non avevano proprio nulla in comune: non solo la lingua era diversa, ma anche gli usi, gli abiti delle donne, le relazioni sociali. Si giunse al punto, anni dopo, di chiedere al patriarca di Venezia che venissero mandati giù dei preti veneti, che almeno si potesse capire quello che dicevano in chiesa.

     I Peruzzi sono straordinari, sono una forza della natura, sono irresistibili. Sono una di quelle famiglie di una volta, numerosissimi- diciassette figli- e, soprattutto, ‘tutti per uno, uno per tutti’. La prima storia d’amore che ascoltiamo (ho scritto apposta ‘ascoltiamo’ e ‘non leggiamo’, perché non ci si riesce a sottrarre al piglio affabulatorio della voce narrante) è quella dei nonni Peruzzi: moriranno vecchi, a venti giorni di distanza l’una dall’altro, e le ultime parole del nonno alla moglie sono, “Come te sì bèa”, mentre lei gli risponde subito, “No, caro! Te sì tì che te sì bèo”. Intanto hanno fatto tutti questi figli a cui hanno dato nomi politici, come era d’uso allora: Turati, Treves, Bissolata, Modgliana. Ma c’è anche un Temistocle e un Adelchi. E c’è Pericle, il migliore, il Leone dei Peruzzi. Pericle che sarà dichiarato disperso nella campagna d’Africa. La cui moglie Armida sarà bandita dalla famiglia perché mette al mondo un bastardo, quando tutti ancora piangono e pregano per Pericle.    

Amori e matrimoni, nascita di figli, di nipoti, minestra di fagioli con Mussolini quando ancora non era il Duce, il lavoro- duro- nei campi, l’amore per la terra di chi vive ‘sulla’ terra, la marcia su Roma, le camicie nere, la guerra in Africa e poi in Albania e infine la chiamata alle armi per la seconda guerra mondiale. I Peruzzi sono così numerosi che ce n’è uno che combatte in ogni teatro di guerra. Sì, certo che i Peruzzi sono fascisti: questa è la storia di una famiglia fascista, una delle tante famiglie fasciste. Perché- osserva uno di loro- se fosse capitato a quelli che erano tra le fila dei partigiani di avere in regalo un podere e della terra, anche loro sarebbero stati fedeli al Duce. E, in ogni modo, non raccontiamoci che tutti gli italiani erano contro Mussolini, queste sono le cose che si dicono ‘dopo’. Come dice il narratore, anche ‘dopo’ Berlusconi, nessuno ammetterà di avere votato per lui…
     ‘Fare filò’: si diceva così, un tempo in cui la televisione non c’era ancora, dei racconti tra contadini nelle stalle, alla sera. Si stava insieme, ci si scaldava e si parlava. Ognuno aggiungeva un pezzo, ognuno diceva la sua, certe storie diventavano leggende da tanto che venivano ripetute. E’ come se il narratore dei Peruzzi stesse facendo filò nell’intessere la trama del romanzo. La Storia che ci racconta è quella vista dai Peruzzi, quello che a loro ne arriva, così come le voci, i discorsi, le parole dei grandi attori della Storia- Mussolini e Hitler, Roosevelt e Stalin-, e pure quelle dei protagonisti minori, vengono riadattate in un ‘lessico famigliare’ peruzziano, tradotte nel loro dialetto. Proprio per questo non ci irritano, proprio perché è chiaro che i personaggi storici non hanno usato quelle parole, e quelle che i Peruzzi mettono loro in bocca ci divertono, ci fanno sorridere, ci danno l’impressione di essere lì a sentirli parlare di un tempo scomparso che ormai è il secolo scorso.

    Antonio Pennacchi ha vinto il premio Strega 2010: un premio meritatissimo. 

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net



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