martedì 24 giugno 2014

Maggie O'Farrell, "La mano che teneva la mia" ed. 2011

                                                        il libro ritrovato


Maggie O’Farrell, “La mano che teneva la mia”
Ed. Guanda, trad. Valeria Bastia, pagg. 379, Euro 18,50

Titolo originale: The Hand That First Held Mine

     Innes la portò in un negozio a Chelsea e le comprò un soprabito scarlatto con immensi bottoni di tessuto, un vestito in crêpe di lana verde con le ruche ai polsi, un paio di calze blu pavone- “Adesso sei un’intellettualoide, e devi cominciare a vestirti come tale”-, un maglione con il collo a cappuccio. La portò dal parrucchiere e rimase in piedi accanto a lei tutto il tempo. “Così” ordinò, passandole un dito lungo la mascella, “e così.”
   Quando i genitori di Lexie seppero che conviveva con un uomo, le dissero che per loro era morta e che non avrebbe dovuto contattarli mai più. E così fece.


      Due storie che scorrono parallelamente anche se in tempi diversi e che- in apparenza- non hanno nulla a che fare l’una con l’altra. Non avranno nulla in comune per due terzi del romanzo “La mano che teneva la mia”, di Maggie O’Farrell, fino a quando abbiamo qualche lieve indizio che non è così, che hanno tutto a che fare l’una con l’altra, che una è il presupposto dell’altra.
    Entrambe le storie sono ambientate a Londra, la prima verso la metà degli anni ‘50 e la seconda in un imprecisato tempo contemporaneo, e hanno due protagoniste indimenticabili, due donne ‘straniere’ nella capitale- Alexandra Sinclair perché in fuga da una famiglia che la soffoca e da un villaggio tra il Devon e la Cornovaglia, ed Elina perché è finlandese e ha girato mezzo mondo prima di conoscere Ted, da cui ha appena avuto un bambino.
    La storia di Alexandra incomincia con l’incontro casuale con Innes Kent, collezionista di opere d’arte ed editore di una rivista, quando l’automobile di lui ha un guasto nel luogo sperduto dove vive Alexandra. La quale è appena stata espulsa dall’università e ha già deciso di andare a Londra. I due si incontreranno di nuovo a Londra, dunque: per Innes è stato un colpo di fulmine e non ci vuole molto ad Alexandra (da ora in poi si chiamerà Lexie, perché Innes pensa che le si addica) per ricambiare. Lui è affascinante e le fa da Pigmalione. Lei è vivace, brillante, spregiudicata- non le importa se Innes ha una moglie da cui non riesce a divorziare e una figlia che non può essere la sua. Insieme frequentano i locali di Soho, conoscono tutte le personalità più in vista del mondo della cultura di quegli anni effervescenti del paese in cui sono ancora visibili le cicatrici della guerra.
     Anche quella di Elina e Ted è una storia d’amore- se solo riuscissero a ricordarsi chi erano, prima che nascesse il bambino. Un parto traumatico che ha quasi ucciso Elina che ora si aggira per la casa con quel fagottino esigente tra le braccia, del tutto dipendente dai suoi pianti e dalle sue richieste affamate. Ci vuole una donna per scrivere così bene del cambiamento che l’arrivo di un bambino porta nella vita di una coppia e soprattutto in quella della madre, quando si cessa di esistere per se stesse e si sviluppa un istinto che non si sapeva di avere fino a quel momento- quello di percepire, al di là di ogni consapevolezza razionale, le necessità dell’essere che dipende in tutto e per tutto proprio dall’intuizione materna.  

    In entrambe le storie la penna di Maggie O’Farrell non si limita ad indugiare sui personaggi femminili, come si sarebbe tentati di pensare. Anche l’esuberante Innes e il sensibile Ted, sconcertato dalla rivoluzione che il bambino ha portato in casa, balzano fuori a tutto tondo dalle pagine del romanzo. Così come pure i due bambini- perché ce n’è uno in ogni storia: il piccolo Theo che accompagna ovunque Lexie, diventata nota giornalista, e Jonah, di cui impariamo a riconoscere la minaccia di urla in ogni smorfia. Perché la chiave delle due vicende è proprio nei bambini, nella memoria inconscia che l’arrivo di Jonah risveglia in Ted. E allora quell’unica parola che differenzia il titolo originale da quello italiano, The hand that first held mine, spiega tutto, illuminando di tenerezza i ricordi del bambino di un tempo.

     Il romanzo di Maggie O’Farrell è uno di quelli di cui non si riesce ad interrompere la lettura. Non tanto perché ci incuriosisce scoprire il legame tra le due storie, quanto perché ci piacciono i personaggi, ci piace l’ambiente in cui si muovono. Lexie, Innes, Elina, Ted: è come se li avessimo appena conosciuti e volessimo passare più tempo con loro per sapere che cosa pensano, che cosa gli accade e, poiché vivono in tempi diversi, come cambia la città intorno a loro. 

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it


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