domenica 29 giugno 2014

Leonardo Padura Fuentes, "L'uomo che amava i cani" ed. 2010

                                                        Voci da mondi diversi. Cuba
  la Storia nel romanzo
  il libro ritrovato

Leonardo Padura Fuentes, “L’uomo che amava i cani”
Ed. Tropea, trad. Lorella Mogavero, pagg. 599, Euro 22,00

Titolo originale: El hombre que amaba a los perros


Abbiamo attraversato la vita nella più completa ignoranza dei tradimenti che, come quello della Spagna repubblicana e quello della Polonia invasa, erano stati commessi in nome di quello stesso socialismo. Non avevamo saputo niente delle repressioni e dei genocidi di popoli, etnie, interi partiti politici, delle persecuzioni mortali di dissenzienti e religiosi, della furia omicida dei campi di lavoro, dell’assassinio della legalità e dell’ingenuità prima, durante e dopo i processi di Mosca.


      La vittima. L’assassino. Uno scrittore. Sembrerebbero i protagonisti di un thriller, e, in un certo senso, lo sono. Un thriller reale, tuttavia, la cui trama si snoda nel bel romanzo storico di Leonardo Padura Fuentes, “L’uomo che amava i cani”, in cui un tocco di finzione narrativa si aggiunge ai fatti documentati.
La vittima si chiama Lev Davidovič Bronštein (più noto come Trotskij): il 20 agosto 1940 Trotskij fu ucciso con una piccozza da Ramón Mercader (che si era presentato a Trotskij con il nome di Jacques Mornard, alias Jacson, secondo l’identità che risultava sul suo passaporto). Un fatto di sangue così cruento, una vittima così famosa e assassinata con motivazioni così costruite, dei retroscena così ampi e spaventosi dovevano passare attraverso più di un filtro per poter essere raccontati: è così che Leonardo Padura Fuentes immagina che nel 1977, a Cuba dove Mercader passò gli ultimi quattro anni della sua vita, un giovane scrittore frustrato incontri sulla spiaggia un uomo accompagnato da due bellissimi levrieri russi. L’uomo è chiaramente ammalato, c’è sempre un nero che lo sorveglia a distanza, dopo alcuni incontri con chiacchiere d’occasione l’uomo racconta, a spizzichi e bocconi, la storia dell’assassinio di Trotskij.
Ramon Mercader
Negando, tuttavia, di essere Mercader: lo scrittore, Ivan, glielo ha chiesto esplicitamente, perché l’uomo che dice di chiamarsi Jaime López sembra sapere troppo di quanto è accaduto. López chiede anche ad Ivan di mantenere il segreto su quanto gli sta raccontando e ci vorranno più di vent’anni prima che Ivan venga a conoscere l’intera storia, prima che si renda conto di avere in mano il materiale- finalmente- per il libro che potrebbe renderlo famoso, prima che ci rinunci e passi la consegna ad un altro scrittore suo amico e muoia in una maniera altamente simbolica: è un materiale che scotta, tanto quanto la lama del coltello che Mercader/ Mornard/ Jacson/ López si era appoggiato sulla mano per cancellare la cicatrice a forma di semiluna lasciata dal morso di Trotskij in una vana difesa. Come se l’ustione avesse potuto cancellare i ricordi, mettere a tacere l’urlo spaventoso che l’assassino avrebbe sentito negli orecchi fino alla morte.
    “L’uomo che amava i cani” segue dunque questi tre filoni, ricostruendo tre vite: quella (molto documentata) di Trotskij, l’eroe della rivoluzione del 7 ottobre diventato inviso a Stalin che ormai procedeva eliminando tutti coloro che potessero anche solo offuscare la sua immagine, quella (per lo più oscura) di Mercader che, da giovane militante di sinistra nella guerra civile spagnola, viene reclutato come agente segreto dalla NKVD, e infine quella dello scrittore cubano senza ispirazione. I capitoli si alternano, portando sul palcoscenico i tre personaggi che hanno, tutti, una grande Storia alle spalle.
Trotskij, che seguiamo nel faticoso esilio, ospite rifiutato da paesi che non osano inimicarsi il “becchino del Cremino”, accolto con molte difficoltà da altri, in ansia perenne per i figli (che infatti non verranno risparmiati da Stalin), sorvegliato con misure di sicurezza sempre più opprimenti e limitanti.
Fino alla destinazione finale, il Messico, dove alloggia dapprima nella casa del grande artista Diego de Rivera (e ha un’incandescente relazione con la moglie, la pittrice Frida Kahlo) e poi in quella dove si dedicherà ad allevare conigli e coltivare cactus- e incontrerà la morte. Per mano di quel Mornard che gli sembrava improbabile come belga.
Mornard/ Mercader che è un personaggio per cui si è tentati di provare compassione (come avviene a Ivan), perché è anche lui una vittima. Vittima di un ideale in cui ha creduto, di un sistema che non si è fatto scrupolo di manipolarlo, cancellando la sua identità, educandolo alla cieca obbedienza. Vittima fino in fondo, perché è chiaro che deve essere eliminato, quando diventa un agente scomodo e ha fatto l’errore di non morire subito, dopo aver ucciso Trotskij.
Ivan, infine- citando Shakespeare, last but not least, l’ultimo ma non meno importante. Perchè la frustrazione del cubano Ivan non è solo quella dello scrittore che non ha mantenuto le promesse, ma è anche la frustrazione di chi ha creduto che il mondo potesse essere cambiato se si cercavano di attuare certi ideali, che le difficoltà del momento fossero un passaggio obbligato verso uno splendido futuro. Per accorgersi poi che era stato un imbroglio, che le verità erano state taciute, che si è buttata via la giovinezza: la Cuba di Ivan, in tono minore, con il vantaggio di un clima tinto di azzurro, è molto simile all’Unione Sovietica di Trotskij.
      Leonardo Padura Fuentes è noto al grande pubblico per la serie dei libri con il commissario Mario Conde (Ivan lo cita come un suo amico, strizzando l’occhio ai lettori), forse meno conosciuto come autore del bellissimo “Il romanzo della mia vita” (sul poeta cubano Heredia). “L’uomo che amava i cani” si inserisce nel genere di quest’ultimo. E’ un libro molto bello- direi quasi che è un libro necessario- che unisce realtà documentata, finzione narrativa, introspezione psicologica, con una trama che si fa sempre più incalzante e angosciante, per tutti i personaggi coinvolti. Un libro che dice di più di quello che esprime con le parole perchè comunica la sensazione della paura attanagliante a cui è impossibile sfuggire quando si vive in un regime totalitario.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it







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