lunedì 16 maggio 2016

Ludmila Ulitskaya, "Daniel Stein, traduttore" Intervista 2010

                                                      Voci da mondi diversi. Russia
                                                       il libro ritrovato


INTERVISTA A LUDMILA ULITSKAYA

   Si prova sempre una certa emozione, quando si incontra qualcuno che si ammira. Sembra impossibile poter colloquiare con una persona che non ci conosce ma che noi, invece, abbiamo l’impressione in certo qual modo di conoscere, avendo letto i suoi scritti. Per superare questa emozione e, a mo’ di presentazione, dico a Ludmila Ulitskaya che ho già letto e recensito il suo romanzo “Le bugie delle donne”, e che lo avevo trovato molto bello. Non quanto questo nuovo libro appena pubblicato, su cui ora le farò alcune domande.

Come ha ‘incontrato’ Daniel Stein, come persona in carne e ossa e come personaggio del romanzo?

    Avvenne che Oswald Rufeisen arrivò a Mosca nel 1982 per cambiare aereo o treno: dal monastero carmelitano di Haifa dove viveva stava andando a Mir, in Bielorussia, per celebrare i 50 anni del ghetto. Per una fortunata coincidenza lo portarono da me a passare le ore che avrebbe dovuto attendere a Mosca. Insieme a lui arrivarono anche altre persone che- era chiaro- erano affascinate dal suo carisma, volevano incontrarlo e iniziarono a parlare con lui, lì, in casa mia. Non posso dire che ebbi subito l’idea di scrivere un libro, non succede così, che l’idea ti viene il giorno stesso, ma ebbi la netta sensazione di aver a che fare con una persona straordinaria, un ‘giusto’ nell’accezione ebraica del termine, o un santo: non assomigliava a nessuno.

Come è proceduto il suo lavoro? Ha decomposto l’insieme di un quadro o ha inserito tessera dopo tessera di un puzzle?
     Bella domanda- il mio procedimento non è stato né l’uno né l’altro, è stato più complesso. Mi sono capitate tra le mani due testi biografici critici di Rufeisen, uno americano e uno tedesco, che raccontavano di lui. Ho cominciato a tradurli con impegno e più procedevo e più mi sentivo insoddisfatta. Avevo la sensazione che non fosse stato colto il nocciolo, il senso di questa persona. Ho scritto all’autrice americana e le ho chiesto se potevo commentare a pie’ pagina nell’edizione russa. Per fortuna si è offesa e praticamente mi ha risposto che, se il suo testo non mi andava bene, che ne scrivessi uno io.
Forse non sapeva che avevo già scritto romanzi…All’inizio pensavo di fare una raccolta di documenti: sono andata in Israele per parlare con il fratello di Oswald, nel monastero per proseguire le ricerche. Ho scritto due libri di documenti- pessimi, li ho cancellati entrambi. A parte l’insoddisfazione dal punto di vista creativo, mi sono resa conto che non potevo scrivere un libro fatto di documenti, citando persone che magari erano cristiani che vivevano in Israele e potevano venire danneggiati da quanto scrivevo. Quella era la barriera da superare per uscire in uno spazio di libertà: cambiare il nome di Oswald. Fatto questo, tutto risultò più facile, mi sono trovata in uno spazio libero per poter lavorare. Avevo già lavorato per il teatro e per il cinema, avevo sceneggiato sei o sette film, e, riflettendo, ho capito che l’unico tipo di lavoro per quella tematica era un montaggio quasi cinematografico.

Nel libro Lei dice che, come tutti i libri grossi, questo l’ha sfinita: l’ha sfinita di più la mole immensa di lavoro o l’esperienza umana che ha incontrato?

    Parlando di libri ‘grossi’, questo è il mio dodicesimo libro che di certo non è piccolo. Eppure forse non sono una vera professionista, perché ogni libro è come un parto, non si raggiunge un livello di professionalità se si soffre tanto ogni volta. Ogni volta è come la prima volta, dò al libro il mio sangue. Il romanzo che lei ha letto, “Le bugie delle donne”, è stato un lavoro facile e allegro; “Daniel Stein” è stato il massimo della fatica, come se fossi un donatore di sangue. E’ stato un libro con un’altra caratteristica: ho trattato con una marea di persone e si sentiva come fossero felici di aiutare, di ricordare i dettagli. Si capiva che soffrivano, perché ricordavano esperienze difficili. E la reazione di queste persone rafforzava in me la sensazione che questo fosse un libro necessario. 


Nessun commento:

Posta un commento