sabato 5 settembre 2015

Theresa Révay, “Le luci bianche di Parigi” ed. 2014

                                                            Voci da mondi diversi. Francia
                la Storia nel romanzo
                FRESCO DI LETTURA

Theresa Révay, “Le luci bianche di Parigi”
Ed. Beat, trad. R. Boi, pagg. 445, Euro 16,50

        

     E’ molto ambizioso il romanzo “Le luci bianche di Parigi” di Theresa Révay, pubblicato in Francia nel 2008 e nel 2014 in Italia. L’ho ‘ripescato’ dai miei scaffali e iniziato subito, dopo aver letto d’un fiato “L’altra riva del Bosforo”. Non si dovrebbe mai fare una cosa del genere, perché i paragoni sono inevitabili e sono rimasta un poco delusa- forse proprio perché mi pare che la storia dei personaggi de “Le luci bianche di Parigi” si dilati in un tempo troppo lungo, dal 1917 al 1945, un trentennio denso di avvenimenti drammatici e straordinari nella Storia d’Europa, e si estenda in uno spazio troppo vasto, da Pietrogrado (futura Leningrado, futura San Pietroburgo) a Parigi, passando per Berlino. E tuttavia c’è un’altra figura femminile affascinante quanto Leyla al centro del romanzo e c’è un’altra storia d’amore non lineare e felice- del tipo che piace proprio perché rispecchia il mito dell’amore che vince le difficoltà.

    “Saša aveva guardato i suoi occhi grigi attraversati dalla tempesta e aveva pensato a una lupa. Una lupa bianca, sovrana, che avrebbe dato la vita per difendere i suoi. E quella era stata la ragione per la quale aveva potuto lasciarla partire da sola.” “La louve blanche” è il titolo originale del libro e la bellissima immagine dell’audace e indomita lupa del paese dei ghiacci è perfetta per Ksenja Osolin, la contessina che abbandona i fasti di Pietrogrado nel 1917, dopo che suo padre è stato assassinato da una banda di rossi nella sua stessa casa, arriva a Parigi dove si adatta a vivere in una soffitta con la vecchia njanja, la sorellina Maša e il piccolissimo Kirill, il bambino del miracolo nato mentre i rivoltosi scorazzavano per la loro casa e sopravvissuto al viaggio in treno fino a Odessa e poi a quello sulla nave da cui, invece, era stato calato in mare il cadavere della madre. Quando la conosciamo, Ksenja ha quindici anni, pensa solo alla festa da ballo  che verrà data per il suo compleanno, pensa all’abito nuovo, pensa all’amore. Eppure deve avere nascosti dentro di sé quella forza e quel coraggio, quella tempra indomita che la trasformano, da un attimo all’altro, nel capofamiglia che deve assumersi la responsabilità di portare i suoi cari in salvo, e poi, una volta a Parigi, di mettere insieme i soldi per pagare l’alloggio miserando e il cibo, e poi di affrontare i malumori della sorella e il comportamento scapestrato dello zio Saša. Parigi è piena di rifugiati russi in cerca di lavoro. A differenza di altri, Ksenja non si perde nella nostalgia, non sogna un impossibile ritorno. Lei guarda avanti, altera, glaciale. Trova un lavoro come cucitrice- le donne russe si sono fatte una fama come abili ricamatrici-, viene notata, diventerà indossatrice.

     La trama non deve essere raccontata per non sciupare la lettura, sarà sufficiente introdurre il protagonista maschile, il grande amore di Ksenja che però lei non sposerà perché incapace di abbandonarsi ad un sentimento che le ruberebbe la padronanza di se stessa. Max von Passau appartiene ad una nobile e liberale famiglia tedesca, è un fotografo e le sue fotografie saranno esposte nelle mostre- è così che incontra Ksenja. Il loro amore si rincorrerà tra Parigi e Berlino dove le ombre si stanno addensando. La rivoluzione bolscevica e poi Lenin e poi Stalin nell’Unione Sovietica, la fine della repubblica, il trionfo del nazismo e la follia criminale del pifferaio con i ridicoli baffetti in Germania, gli ebrei perseguitati e in fuga come già in passato i russi bianchi, la guerra e la Francia spaccata in due. Se il mondo della moda- le sfilate a cui prende parte Ksenja a Parigi e l’elegante grande magazzino di proprietà di Sara (l’ebrea che era stata il primo amore di Max) a Berlino-, se il mondo della cultura e dell’arte (le fotografie di Max), se tutto quello che rappresenta la bellezza e lo spirito crolla sotto i totalitarismi, è la fine. La fine di tutto.

    Non vi rivelo, però, la fine del libro. Come lettrice curiosa, pur riconoscendo i difetti del romanzo, mi procurerò il seguito, “Tous les rêves du monde”, perché ci si affeziona ai personaggi di Theresa Révay e si vuole sapere che ne è di loro. A costo di essere delusi.







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