martedì 1 settembre 2015

Theresa Révay, “L’altra riva del Bosforo” ed. 2015

                                                          Voci da mondi diversi. Francia
           la Storia nel romanzo
           FRESCO DI LETTURA

Theresa Révay, “L’altra riva del Bosforo”
Ed. Beat, trad. R. Boi, pagg. 362, Euro 13,52



        Istanbul. Una città costruita sulle due rive del Bosforo. Una città con due anime, una occidentale e una orientale. L’una non potrebbe fare a meno dell’altra. Perché quella è la ricchezza di Istanbul, quella è la sua pienezza.
       E’ il 1918. La guerra è appena terminata e la Turchia è tra i paesi sconfitti, essendosi schierata a fianco della Germania. Truppe di occupazione inglesi e francesi sciamano per la capitale, spadroneggiando, reclamando per sé le abitazioni private. La posizione della Turchia è debole al tavolo delle trattative. Morto Mehmet V, il sultano che aveva dichiarato la Jihad contro l’Inghilterra nel 1914, gli era succeduto il fratello Mehmet VI i cui ambasciatori furono incapaci di opporsi alla durezza del trattato di pace che riduceva i confini della Turchia, riportandola ad essere un paese di pastori e agricoltori.
Il paese si divide in due tra coloro che mantengono la fedeltà al sultano e i nazionalisti che stabiliranno un nuovo governo ad Ankara sotto la guida di un ufficiale carismatico, Mustafa Kemal che avrebbe poi cambiato il suo nome in Mustafa Atatürk nel 1934. Cambiamento altamente significativo non solo perché Atatürk significa ‘padre della patria’- che Mustafa Kemal fu veramente-, ma anche perché, dettaglio di grande portata e indice della sua volontà di occidentalizzazione della Turchia, Atatürk divenne il suo cognome in base alla legge da lui promulgata che rendeva obbligatorio un cognome di famiglia, mai usato nella tradizione turco-ottomana.
    Il romanzo storico di Theresa Révay, “L’altra riva del Bosforo”, si svolge su questo sfondo, in un’epoca tumultuosa di grandi cambiamenti, in una città che incanta. Ci porta dentro i konak, le splendide abitazioni cittadine divise in due ali, per gli uomini e per le donne della famiglia, ci traghetta fino agli yala (le fresche residenze estive sulla sponda asiatica, non meno splendide delle case di città), ci descrive gli abiti orientali (squisitamente raffinati) e i gioielli delle donne, le usanze che regolano la vita sociale.
Una famiglia al centro del romanzo, quella di Selim Bey, diplomatico al servizio del sultano, sposato con Leyla, bellissima, giovane, ardente. Hanno due figli, un maschietto e una bambina. Anche la madre di Selim ed un suo zio vivono con loro, con i servitori: è questa la consuetudine delle famiglie ottomane, con una gerarchia ben definita. La fine della guerra sconvolge tutto, nel pubblico e nel privato, nella politica e nella gestione domestica. La casa di Selim è requisita per un ufficiale francese. E’ grazie alla cultura e all’educazione di questi che la famiglia non deve andarsene: all’ufficiale e alla sua famiglia basteranno le stanze dell’ala riservata agli uomini. I due mondi, occidentale e orientale, sono venuti a stretto contatto. Più stretto ancora: il fratello di Leyla- uno dei giovani che si sono schierati subito con i nazionalisti- porta in casa un tedesco ferito. Ci si può rifiutare di curarlo, anche se la sua presenza può mettere in pericolo l’intera famiglia? resterà nascosto per mesi in una stanza delle donne, nessuno se ne accorgerà. Davvero, nessuno se ne accorgerà? E la presenza di quest’uomo, un colto archeologo che insegna all’università di Berlino, non farà intravvedere a Leyla la possibilità di un legame diverso da quello con il marito a cui è andata sposa giovanissima e che ama, pur sentendolo lontano, ora che lei si sente pronta per scelte politiche diverse dalle sue?
incendio di Smirne


    L’inizio è un poco lento, ci si sente spersi in un mondo e in una Storia che conosciamo poco o affatto. Poi “L’altra riva del Bosforo” prende il volo e non si riesce ad interrompere la lettura. Appassionante, coinvolgente. Tutti i personaggi palpitano di vita nel romanzo di Theresa Révay- quelli da lei creati e quelli veri, come Atatürk che si chiama ancora soltanto Mustafa Kemal in tutto il romanzo-, e la Storia, agli alti livelli e nelle strade, nell’assolata Anatolia, dove deve rifugiarsi Leyla dopo essersi messa in vista come giornalista, e nelle tragiche scene dell’incendio di Smirne, esce dalle pagine dei testi specialistici per offrirci una conoscenza di base degli eventi. 


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