sabato 19 settembre 2015

Celeste Ng, “Quello che non ti ho mai detto” ed. 2015

                                                Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
                                                                FRESCO DI LETTURA




Celeste Ng, “Quello che non ti ho mai detto”
Ed. Bollati Boringhieri, trad. Manuela Faimali, pagg. 272, Euro 17,50

    Lydia è morta. Non vi sto anticipando la fine del romanzo “Quello che non ti ho mai detto” di Celeste Ng, scrittrice cinese-americana. E’ la frase di inizio di questo libro che è, sì, in un certo senso, un mystery che lascia in sospeso se la morte di Lydia, il cui corpo è stato ritrovato nel lago vicino alla casa in cui viveva con i genitori, il fratello Nath e la sorellina Hannah, sia stata un suicidio oppure se qualcuno le abbia fatto del male, ma è soprattutto un’indagine sulle dinamiche famigliari, su quello che non viene detto per pudore, per timore di ferire gli altri, per orgoglio, su che cosa significhi non appartenere alla maggioranza bianca e bionda di una cittadina dell’Ohio negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, sull’essere emarginati semplicemente perché ‘diversi’ nell’aspetto.
     La storia incomincia molti anni prima con una coppia di immigrati cinesi che riescono ad ottenere entrambi un lavoro, benché con mansioni umili, in una scuola della California. Il vantaggio maggiore è che il loro figlio James potrà frequentare quella scuola, potrà fare il salto insperato per inserirsi nella società che li ha accolti. E James ricompensa le loro fatiche. Non dirà mai a quale prezzo, ma arriva ad essere professore universitario, a tenere un corso decisamente molto americano, sul ruolo del cowboy nella cultura degli Stati Uniti. Dopo la sua prima ora di lezione, dopo gli sguardi diffidenti e sorpresi con cui gli studenti lo hanno soppesato (‘ma è un orientale!’), una ragazza bionda lo avvicina. Marilyn diventerà sua moglie, distruggendo le aspettative di sua madre che ambiva a ben altro per lei. Anche Marilyn è ambiziosa, vuole diventare un medico. La nascita del primo figlio, Nath, devia il corso della sua vita. Marilyn è chiusa nel ruolo di angelo del focolare, proprio quello che mai avrebbe voluto.

     In apparenza i Lee sono una famiglia unita. Scopriamo leggendo che sono una famiglia unita perché non hanno scelta, perché devono spalleggiarsi a vicenda visto che c’è sempre qualcuno che si fa beffe di loro, guardandoli e allungandosi gli occhi con le dita per sottolineare la loro diversità. Anche se Lydia ha ereditato il colore blu degli occhi della madre, il suo aspetto, come quello di Nath, tradisce la sua origine- sono gli unici orientali della loro scuola. Lydia non ha amiche. Quando sembra parlare per ore al telefono, in realtà parla a nessuno dentro la cornetta. Solo la piccola Hannah lo sa- un folletto nato per sbaglio in un momento cruciale, la bambina che desidera spasmodicamente che qualcuno le presti attenzione. Invece soltanto Lydia sembra esistere per il padre e la madre. Soprattutto per Marylin che riversa su di lei tutte le sue ambizioni frustrate.
     La storia di Lydia morta a sedici anni non è solo la sua storia. Ed è qui la bellezza del romanzo di Celeste Ng. I sentimenti di ogni personaggio vengono esplorati- che cosa c’è stato nell’alchimia dell’amore tra James e Marilyn, che cosa li ha spinti l’uno tra le braccia dell’altro, in che momento Lydia (e non il primogenito Nath come ci si potrebbe aspettare) è diventata oggetto di tutte le attenzioni soffocanti dei genitori, perché Lydia ha sempre finto che le piacesse quello che la madre le proponeva, come hanno reagito Nath e Hannah ad essere così trascurati e messi in secondo piano, perché- infine- James cerca consolazione con una ragazza in cui può riflettere se stesso.


Lo scenario di sfondo è un’America chiusa nei pregiudizi che nascono dall’ignoranza, un piccolo mondo che non accetta intrusioni e non ha voglia di misurarsi con altre culture, con chi è ‘diverso’. E nel romanzo di Celeste Ng il ‘diverso’ non è- come molta narrativa ci ha abituato- una persona di colore con il suo retaggio doloroso di una storia di schiavitù e forti contrasti, ma molto semplicemente una famiglia di origini asiatiche di seconda e terza generazione. La grettezza dei ‘bianchi’ ci spaventa e ci domandiamo se possiamo relegare nel passato questa storia. Lo speriamo, ma non ne siamo certi.


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