sabato 12 settembre 2015

Alberto Rossi, “Il gioiello degli zar: la storia della camera d’ambra”

                                                              Casa Nostra. Qui Italia
         FRESCO DI LETTURA


Alberto Rossi, “Il gioiello degli zar: la storia della camera d’ambra”
Ed. ARPANet, pagg. 208, e-book Euro 4,99, ed. 2013

      


    Ho visto la sala d’ambra a Tsarskoye Tselo. L’ottava meraviglia del mondo. Non importa se è rifatta e non è quella originale. E’ sempre una meraviglia che toglie il fiato, che ti inonda di luce dorata, no, non è esatto, è un caldo miele di un rosso aranciato. Più bello del fulgore di qualunque metallo. Indimenticabile e impareggiabile.
    Ho letto altri libri con la storia o il mistero della sala d’ambra, regalo di Federico di Prussia allo zar Pietro nel 1716, spostata da un palazzo all’altro dalle imperatrici Elisabetta e Caterina fino a trovare la destinazione finale nella splendida reggia di Tsarskoye Tselo, rubata dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. E poi persa. Scomparsa. E’ forse andata distrutta nell’incendio del castello di Königsberg durante l’avanzata dell’Armata Rossa? O è ancora sepolto in qualche miniera? La curiosità mi ha spinto a leggere il libro di Alberto Rossi, anche perché il titolo non conteneva la parola ‘mistero’, ma ‘storia’. Forse l’approccio era diverso da quello dei libri già letti. E poi, forse, io volevo, molto semplicemente, leggere qualcosa che mi facesse ‘rivedere’ la sala d’ambra.

     Non sono stata delusa. La novità, ne “Il gioiello degli zar”, è la storia dell’artefice che ha avuto l’idea e ha creato la sala d’ambra. Il nome di Andreas Schlüter, scultore e architetto alla corte di Federico III, nato nel 1664 e morto nel 1714, resterà per sempre legato a opere geniali come il castello di Berlino (distrutto durante la seconda guerra mondiale), il Monumento al Grande Elettore Federico Guglielmo II a Königsberg, la cattedrale di Fromborg in Polonia e alla sala d’ambra. Fu lui ad averne l’idea, avendo a disposizione una gran quantità dell’oro del Baltico- come veniva chiamata l’ambra- per cui si sapeva che lo zar Pietro aveva una passione. Fu lui a fare tentativi ed esperimenti per realizzare il capolavoro che aveva in mente, qualcosa che nessuno aveva mai visto, senza uguali.

    Alberto Rossi svolge la sua narrazione su diversi livelli storici parallelamente (forse sarebbe stato più facile seguire i salti temporali con un maggiore stacco narrativo): il passato più lontano che ha Schlüter  come protagonista e che si evolve con la lenta realizzazione e il montaggio della camera d’ambra, il tempo della guerra con la scoperta del tesoro inaspettato da parte dei nazisti (che i tedeschi siano stati in grado di smontare in un baleno, e senza danneggiarli, i pannelli d’ambra mentre i russi ci avevano rinunciato- è storia nota), il trasporto a Königsberg con i camion, l’affondamento del sommergibile che avrebbe dovuto prendere in carico le casse, e un altro tempo ancora nel dopo-guerra quando un uomo eredita dal padre un pezzo d’ambra che era sempre stato un talismano per il genitore. Ci sarà un incontro fra reduci di guerra ormai anziani, un seguire delle tracce labili dei camion che forse si erano diretti verso una miniera, per scoprire che…

E c’è la storia di un tempo mitico ancora più lontano, quello della favoleggiata Thule che ha ispirato dei nazisti fanatici cultori della pura razza ariana che si riunivano intorno ad un tavolo rotondo in una grottesca e diabolica imitazione di re Artù.
     I personaggi del libro di Alberto Rossi non sono abbastanza ben delineati da non confonderli, ma non ha poi molta importanza visto che la nostra attenzione è interamente assorbita dalla vera protagonista de “Il gioiello degli zar”- la camera d’ambra- e ci piace, invece, la ricchezza dei rimandi storici e la vivacità del tono narrativo.




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