sabato 20 aprile 2024

Laura Forti, “La figlia inutile” ed. 2024

                                                                     Casa Nostra. Qui Italia

           Storia di famiglia

Laura Forti, “La figlia inutile”

Ed. Guanda, pagg. 256, Euro 18,05

   Io sono quella che spazza le foglie sopra una tomba vuota.

È un’immagine che ci colpisce, quella con cui inizia il nuovo romanzo di Laura Forti. Con delle parole che ci incuriosiscono. Con un’immagine di tristezza infinita. ‘Io sono quella’- vuol dire che non c’è nessun altro che serbi il ricordo della persona defunta? Perché non c’è dubbio che sentiremo la storia di una persona che non c’è più, perché le foglie sul terreno sono foglie di autunno, foglie morte, e poi c’è questa tomba che, però, è vuota, lungo il muro del cimitero ebraico, in una zona destinata ai suicidi o a coloro che hanno voluto essere cremati. Ed ecco che sappiamo: sotto la lapide c’è un’urna con le ceneri della nonna della scrittrice.

   In realtà la nonna Elena aveva espresso il desiderio che le sue ceneri venissero versate nelle acque della Mosella in Francia, dove era nata. Ma alla figlia, la madre della scrittrice, era sembrato complicato e costoso, portarle là. E così le ceneri erano rimaste lì, ma la nonna dove era? L’avevano mai conosciuta veramente?


   Ecco il desiderio di sapere di più su di lei, perché, se chi non c’è più è da qualche parte, è in noi, conoscendo loro conosciamo noi stessi. E allora la storia della nonna diventa la storia della famiglia Dresner e anche la storia del tempo in cui i Dresner hanno vissuto. C’è un’affinità iniziale tra la nonna e la scrittrice- in qualche maniera quel sentirsi ‘la figlia inutile’ di Elena (da bambina era stata lasciata in Francia con una ‘tata’, quasi fosse un di più, quando la madre, il padre, la sorella e il fratello si erano trasferiti in Italia) trova un riscontro nella scrittrice, l’unica figlia cresciuta nella religione ebraica- e forse era per questo che la mandavano spesso dalla nonna che accendeva le candele dello Shabbat e a volte le parlava in yiddish-, la figlia diversa che aveva un altro padre.

   La frase di Tolstoj sulle famiglie infelici è fin troppo conosciuta, possiamo creare una variante, che le storie di famiglia non sono poi molto diverse le une dalle altre, ma alcune sono decisamente diverse. Prendiamo i Dresner. Fuggiti dalla Russia dopo il terribile pogrom di Kishinev del 1903, arrivati in Francia, da lì poi in Italia e dopo ancora, in seguito alle leggi razziali, scappati in Cile. Ci vuole una resilienza eccezionale, ci vogliono una forza d’animo e una capacità di riinventarsi ricominciando da capo, ci vuole lo spirito dei Dresner, come si diceva nel loro lessico familiare.


   Sono due i personaggi che giganteggiano nella storia di famiglia del romanzo- il bisnonno Giulio e la nonna Elena. Il bisnonno Giulio che in realtà non si chiamava affatto così. Il suo nome era Jezszaja, impossibile farlo capire all’impiegato che doveva registrare la nascita della sua prima figlia a Parigi. L’impiegato aveva scritto Gilles, poi diventato Jules, Giulio in Italia, Julio in Cile. Dresner in origine aveva un suono più duro, con la z, e in Italia sarebbe diventato Dresneri. Sembra cosa da poco, un nome, e invece è indice della capacità camaleontica di adattarsi. In Italia Giulio aveva raggiunto un alto livello nella banca del Credito Italiano, conosceva di persona Mussolini, si era illuso di poter aggirare le leggi razziali.

     Se la ricostruzione del passato più lontano si basa su ricerche accurate in cui i vuoti di vita vissuta sono riempiti dall’immaginazione, quella di un tempo più recente si avvale dei racconti della stessa nonna, ancora una volta in fuga in Toscana durante la guerra, lontana da un marito che l’aveva tradita con sua sorella, lontana dai genitori ormai in Cile, incapace di superare il primo trauma dell’abbandono quando era bambina, bisognosa di amore, capace di far fronte alle difficoltà- come tutti i Dresner. E adesso che non c’è più, tutte le statuine di gatti che collezionava dovrebbero essere vendute? Le prenderà lei, la scrittrice, perché anche gli oggetti hanno una voce, contengono un ricordo. Come questo libro, che salva il ricordo della nonna.



   

Nessun commento:

Posta un commento