venerdì 5 aprile 2024

Abraham Verghese, “La porta delle lacrime” ed. 2024

                             Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America

       romanzo epico

Abraham Verghese, “La porta delle lacrime”

Ed. Neri Pozza, trad. Silvia Pareschi, pagg. 640, Euro 22,00

 

   È successo di nuovo. Sentirsi presi dallo sconfortante sentimento di abbandono perché il libro che leggevamo è finito.

    È triste lasciare dei personaggi con cui abbiamo vissuto per più di 600 pagine, sapendo che il resto della loro vita resterà un’incognita per noi.

    È bellissimo che un romanzo abbia avuto il potere di coinvolgerci così tanto, di appassionarci, di emozionarci. Vuol dire che il romanzo è vivo, che la letteratura può ancora incantarci e ,sì, ispirarci, servirci da esempio.

    Metà degli anni ’50 del ‘900 ad Addis Abeba, Etiopia. Un ospedale il cui nome originario ‘Mission Hospital’ è stato in qualche modo trasformato in ‘Missing Hospital’. Suor Mary Joseph Praise è arrivata a lavorare lì come infermiera dal Kerala, è diventata il ‘braccio destro’ del chirurgo inglese Thomas Stone. Lei giovane e molto bella, lui scontroso e solitario. È naturale che nasca un sentimento profondo tra di loro, che va al di là della stima e del perfetto accordo nati in sala operatoria. Nessuno però si aspetta che Sorella Mary Joseph sia incinta, né la direttrice dell’ospedale, né la ginecologa Hema, né l’altro chirurgo, l’indiano Ghosh, né, tantomeno, il presunto padre, Thomas Stone. Il parto è difficile, nascono due gemelli, anzi due gemelli siamesi uniti per la testa e subito separati, Sorella Mary Joseph muore, Thomas Stone impazzisce dal dolore e fugge via- lo rivedremo solo alla fine.

Hailé Selassié

    Questo l’inizio del romanzo straordinario di Abraham Verghese (il primo dello scrittore nato ad Addis Abeba da genitori indiani), di cui abbiamo già letto “Il patto dell’acqua” lo scorso anno. È un romanzo epico che segue per cinque decenni le vicende dei personaggi- i due gemelli Shiva e Marion, anzi ShivaMarion perché sono tutt’uno, pur se diversissimi come carattere, Ghosh e Hema, che diventano i loro genitori adottivi, una miriade di altri personaggi minori ma perfettamente individuati, come la bambina, figlia della ‘tata’ dei gemelli che cresce come una sorella insieme a loro- e quelle dell’ospedale e quelle dell’Etiopia sotto il regno di Hailé Selassié a cui segue il fallito colpo di Stato e poi la guerra civile e la dittatura del temuto Menghistu.

    Non vi rovinerò il piacere di leggere “La porta delle lacrime”, anticipo solo che sia Shiva sia Marion diventeranno chirurghi eccellenti in campi molto diversi (poteva essere altrimenti con due genitori ‘illuminati’ come Hema e Ghosh?),

Meskel

che saranno entrambi legati alla stessa donna che sarà la causa della loro rovina, che Shiva resterà a lavorare a Missing (la sua foto apparirà sul New York Times per un metodo di intervento innovativo) mentre Marion, in fuga dalla dittatura, terminerà gli studi in America. Ma noi non amiamo solo Shiva e Marion (è quest’ultimo la voce narrante del romanzo), amiamo tutti i personaggi, tutti loro hanno qualcosa da dirci, e poi- è vero- ci piacciono i personaggi che hanno degli ideali, che vivono per dare il meglio di se stessi nel loro lavoro e nel rapporto con gli altri. Sono così Shiva e Marion e lo sono pure Hema e Ghosh che lasceranno un’impronta indelebile sui due ragazzi che non sentiranno mai la mancanza dei genitori biologici.

   E poi c’è la parte medica del romanzo, quella che si svolge nella sala operatoria, così piena di dettagli minuziosi che abbiamo l’impressione di essere testimoni muti degli interventi. Abraham Verghese è medico lui stesso- non potrebbe essere altrimenti- e riesce a rendere avvincenti anche le descrizioni più drammatiche, fatte di bisturi e sangue, di carne, muscoli e fili di sutura. Ghosh, Hema, Shiva, Marion, il dottor Deepak in America, Thomas Stone, tutti loro amano quello che stanno facendo, non sentono la stanchezza, non si risparmiano. Soprattutto credono che il segreto per curare un paziente sia aver cura di lui, sanno che il paziente ha bisogno di essere rassicurato, di essere trattato come una ‘persona’ e non un caso clinico.

Addis Abeba oggi

   Per finire, l’ambientazione di Addis Abeba rivela la conoscenza dello scrittore che, come Marion, dovette abbandonare la città e terminare gli studi altrove a causa della situazione politica. Al lettore sembra di vedere quello che resta degli anni di colonizzazione italiana, il giallo dei fiori di meskel e gli alberi di eucalipto, di sentire il profumo della injera e del wot, di ascoltare la musica di quella canzone che è il leit motiv del romanzo, Tizita, che vuol dire ‘nostalgia’.

    Ho nostalgia di questo romanzo, di questi personaggi, di questi luoghi, adesso che ho terminato di leggere “La porta delle lacrime”. Potrei iniziarlo da capo per ritrovarli.

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