Casa Nostra. Qui Italia
guerra d'Africa
Elena Rausa, “Le invisibili”
Ed.
Neri Pozza, pagg. 267, Euro 19,00
Sono le donne che sono invisibili, come è
chiaro dal titolo del romanzo di Elena Rausa, con quell’articolo femminile
plurale che non lascia dubbi.
Nicoletta, la fidanzata che parte per l’Africa perché non si rassegna alla lettera d’addio di Vittorio, Ekelé, la donna etiope per cui Vittorio aveva preferito mentire piuttosto che essere accusato di una colpa peggiore di quella di averla posseduta, Lilit, soprattutto Lilit, amata da Arturo, il figlio di Vittorio, che ora solo lui vede come fosse un fantasma, Fatima, la donna eritrea che si prende cura dell’anziano Arturo a rischio che le sue intenzioni vengano fraintese. E poi tutte le altre donne che non hanno né un nome né una voce, le belle abissine delle canzoni fasciste, rappresentate come oggetti di lussuria nelle cartoline di quegli anni.
Mentre la trama si sviluppa tra un passato vecchio di quasi 70 anni e il presente, ritorniamo in Africa con Vittorio che nel 1932 parte per quelle terre al sole che promettevano un guadagno facile, nonostante l’opposizione della famiglia, nonostante la delusione e l’amarezza della fidanzata. Vittorio si illude di poter restare fuori dalla violenza, fa l’autista di camion, ha la dirittura morale dell’uomo semplice. Il capitolo che apre il libro è uno dei più cruenti, grondante di sangue. A seguito dell’attentato al viceré e governatore Graziani il 19 febbraio 1937, la rappresaglia punitiva fu di una violenza senza pari. Alcune cifre di questa caccia al moro: una cifra non precisa ma superiore ai 1400 morti uccisi dalle squadre d’azione nei primi tre giorni, 2500 gli etiopi fucilati dai carabinieri, 297 monaci, accusati di aver protetto i terroristi, uccisi nella città conventuale di Debrà Libanos (in realtà in totale i morti furono in totale 1400). Vittorio è testimone, raccapricciato. È anche testimone di un altro atto di violenza- su una donna, compiuto da un uomo che conosce- l’occasione sembra autorizzare lo sfogo di tutti gli istinti peggiori. Vittorio è un uomo semplice, già si è posto domande sulla differenza tra ‘terroristi’ e ‘patrioti’, ora non può restare a guardare. Porterà per tutta la vita il peso della sua azione.
Nel 2018 troviamo un Arturo anziano a Milano. Abbiamo seguito la sua vita ad Addis Abeba, i suoi studi, poi il suo ritorno in Italia. Ora è solo e ipovedente dopo uno strano incidente automobilistico. Vede, non vede, Arturo? Di certo vede l’amata e perduta Lilit, le parla e lei diventa una voce narrante della sua storia. E qui la vita di Arturo si intreccia con quella di Tobia e di sua madre Agata. Dai servizi sociali al sedicenne Tobia è stato affidato il compito di essere di aiuto ad Arturo, dopo essere stato arrestato dalla polizia per aver commesso degli atti vandalici. Dietro Tobia c’è tutta un’altra storia che verrà fuori a poco a poco, così come a poco a poco Arturo racconterà al ragazzo di quegli anni di suo padre in Etiopia, delle colpe degli italiani. Tobia si interessa, inizia a fare ricerche. Ma quello è proprio l’ambito di studio di sua madre Agata e questa è ancora un’altra storia, con il riaffiorare alla luce dei documenti su suo nonno che era partito per l’Africa Orientale nel 1934, in forza al Plotone chimico del Regio Esercito Italiano.
“E di tutto quel dolore ereditato che cosa
si fa?”, chiede Agata a Fatima, un’altra donna che ha sofferto molto. “Io so
quel che il mio popolo sa da sempre: ci sono persone che per mestiere cantano
le storie.” È una maniera per conservare le memorie in modo poetico, “grazie al
canto, chi ascolta non è più obbligato a sentire la colpa di qualcuno che è
venuto prima o serbare rancore”.
È quello che fa un libro, è quello che fa
Elena Rausa nel raccontare una Storia che i più preferirebbero dimenticare ma
che non deve essere dimenticata- sarebbe un oltraggio per i morti.
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