lunedì 8 maggio 2017

Joseph Finder, "Paranoia" ed. 2005

                                  Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
                                                       cento sfumature di giallo
     il libro ritrovato

Joseph Finder, "Paranoia"
Ed. Rizzoli, pagg. 538, Euro 18,00

Joseph Finder ha indovinato la formula vincente per il suo romanzo “Paranoia”: un inizio travolgente, un personaggio estremamente accattivante, un ritmo serratissimo e mozzafiato per una trama di spionaggio informatico. La storia incomincia con uno scherzo un po’ pesante che ha qualcosa di goliardico nella sua incosciente leggerezza: il ventiseienne Adam Cassidy, impiegato della Wyatt Telecom, organizza un party favoloso per il pensionamento di un operaio- una riuscita impresa da hacker a spese dell’azienda assolutamente ignara. Non può andargli liscia, naturalmente, ma gli viene offerta una via di salvezza: invece dei presumibili cinquantacinque anni di carcere più il risarcimento dei settantottomila dollari del festino, dovrà farsi assumere dalla corporazione rivale, la Trion, sfruttare la sua abilità informatica per passare alla Wyatt tutte le informazioni che possano esserle di vantaggio e infine sottrarre alla Trion la formula di una novità elettronica che stanno preparando, un segretissimo programma Aurora. La vita di Adam Cassidy ha un’impennata: nel giro di brevissimo tempo, grazie alle lezioni intensive fornitegli dalla Wyatt, si mette in vista nella nuova azienda, entra nelle grazie di Jock Goddard, l’amministratore delegato in persona, ha un aumento vertiginoso di stipendio, veste Ermenegildo Zegna, si trasferisce dalla sua “topaia” in un appartamento di centottanta metri quadri, cambia l’Audi con una Porsche. D’altra parte non sa più che cosa voglia dire una notte di sonno, resta in ufficio fino a tardi e arriva al lavoro alle 5,30 del mattino per entrare nel sistema informatico della Trion, inserire keyghost nei computer di colleghi di lavoro, fotocopiare documenti segreti. E rischia l’infarto parecchie volte quando è a un soffio dall’essere beccato. Ha delle risorse incredibili, Adam Cassidy, nel senso che sono straordinarie e sfiorano pure la credibilità, una faccia tosta eccezionale, la capacità di improvvisare bugie e di recitare nei ruoli più diversi, inventandosi mansioni e nomi secondo la necessità. E un fortissimo senso dell’umorismo. In un mondo che si divide tra perdenti e vincenti, la figura patetica del padre ammalato di Adam, che potrebbe sembrare superflua, ha la sua funzione per giustificare in qualche modo l’ambizione del figlio e anche la vulnerabilità di un personaggio che è la versione moderna dell’affascinante imbroglione. Solo che Adam non sa fino a che punto ci si possa spingere per essere un vincente ad ogni costo e che ognuno, in questo mondo, recita una parte. Finale a sorpresa, come fuochi d’artificio. Stilos ha incontrato Joseph Finder a Courmayeur, nelle giornate dedicate al Noir in Festival.


La cospirazione e la politica sono sempre entrate nei suoi libri, vero?
    Sì, il primo libro che ho scritto non era un romanzo ma un’inchiesta giornalistica. Indagavo sulla connessione con il Cremlino della Occidental Petroleum, una grossa compagnia americana diretta dal dottor Armand Hammer.
Più scavavo nella storia, più trovavo dei collegamenti nascosti. Quando ho ottenuto un’intervista con il dottor Hammer, alla prima domanda diretta che gli ho fatto circa il suo coinvolgimento, lui si è alzato e ha interrotto l’intervista. Sono andato a Mosca, dove ho incontrato il figlio di Hammer, che praticamente veniva tenuto là come ostaggio. Io ero a Mosca in veste di turista, fui fermato e, quando dissi che ero un giornalista che raccoglieva dati per un’inchiesta, mi fu detto che Mosca non credeva in questo tipo di giornalismo e dovetti andarmene. Alla fine il dottor Hammer comprò tutte le copie del mio libro, per toglierlo di mezzo- un enorme successo di vendita. Allora ho trasformato quel materiale nel mio primo romanzo, “Moscow Club”.

 “Paranoia”, un titolo che colpisce: che idea voleva comunicare con questo titolo?
      
 Andrew Grove, l’uomo che ha fondato Intel, la maggiore compagnia produttrice di circuiti elettronici, diceva che solo i paranoici sopravvivono, perché nel mondo degli affari o sei paranoico o sei morto, sei fuori dagli affari. Mi sembrava che questo fosse un buon tema, il mio eroe non è l’unico a diventare paranoico nel romanzo, tutti intorno a lui sono paranoici. Volevo dare una sensazione di tutto questo mondo.

I suoi precedenti romanzi erano romanzi di spionaggio internazionale: come mai il passaggio al romanzo di spionaggio informatico?
     Anche questo romanzo è iniziato come una vera e propria storia di spionaggio. Un mio amico che lavora alla CIA mi disse che oggi c’è più spionaggio in atto tra le corporazioni di quello che ci sia mai stato tra le nazioni durante la Guerra Fredda. Non ne avevo la minima idea. Io volevo scrivere una storia su persone vere, con una vera storia famigliare alle spalle, con una vita sociale, persone che puoi conoscere o incontrare, e pensavo che fosse anche uno sviluppo necessario per me come scrittore, un romanzo con gente vera, piuttosto che supereroi.

Ha sempre avuto un interesse per la tecnologia?
     Penso di sì, e siamo tutti coinvolti in questo interesse perché non abbiamo scelta che entrare nel mondo della tecnologia, è questo mondo stesso che entra nella nostra vita, non possiamo evitarlo. Amo la tecnologia, ecco perché ho scritto un romanzo ambientato nel mondo dell’elettronica di consumo- le compagnie per cui lavora Adam producono cellulari, blackberries, palmari…

Come ha raccolto tutte le informazioni per scrivere il libro? E per usare il linguaggio tecnico giusto?

      Ogni mio libro è basato su molte ricerche. Come scrittore mi piace entrare in un mondo e scoprirlo e farlo scoprire ai lettori. Ho scritto libri ambientati a Mosca, libri che hanno a che fare con l’FBI e la CIA, e in questo romanzo volevo scrivere una storia ambientata in una corporazione. Era fuori dalla mia esperienza, ho sempre insegnato scrittura creativa all’università, non ho mai lavorato in una corporazione, così un amico mi ha portato in una compagnia nella Silicon Valley, in California, ed è stato come entrare in un altro mondo. Parlavano un’altra lingua, io ero affascinato, ma questo è il mondo degli affari in cui lavora l’80% degli americani. Mi sentivo come un antropologo alle isole Fiji- ho parlato con la gente che ha inventato l’ipod e mi hanno spiegato i dettagli. Sentivo che solo se capivo io, potevo far capire ai lettori.

Uno degli strumenti più affascinanti usati da Adam è il keyghost: ci sono delle leggi che ne limitano l’uso?
    Sì, sono illegali ma vengono usati. Quando ho scritto il libro, non sono riuscito a trovare molte informazioni, ma adesso i keyghost sono venduti su Internet. Le leggi sono diverse nei diversi paesi per quello che riguarda fino a che punto le compagnie possano spiare i loro impiegati. I datori di lavoro hanno il diritto di ascoltare le telefonate, leggere le e-mail degli impiegati. Una compagnia ha il diritto di usare il keyghost, Adam lo fa infrangendo la legge.
gli interpreti del film "Paranoia"
 Il personaggio di Adam: è un imbroglione simpaticissimo, come lo ha “creato”?
    La mia storia voleva essere- e mi scuso per il paragone- qualcosa come quella di Faust. C’è una persona come Adam che ha un dono e ha il sogno di diventare ricco, potente, rispettato, ma questo dono contiene una trappola. Volevo un personaggio alienato, cinico, sarcastico e metterlo in un mondo in cui quelli che gli sono intorno sono più cinici di lui. Un personaggio con il senso dell’humour, accattivante, che dovesse passare attraverso una trasformazione morale senza essere troppo penalizzato. Nel mondo degli affari ho incontrato parecchie persone come Adam, tipi che non prendono le cose seriamente, a cui non interessa molto quello che fanno. Penso che Adam  sia ad un punto della sua vita in cui non sa che fare di essa. E’ anche un po’ anarchico, se vogliamo, anche se dentro è una brava persona, come vediamo dal suo comportamento con il padre.

La natura del suo rapporto con il padre, però, è piuttosto ambigua, non è facile spiegare il suo attaccamento per un padre che non sembra averlo mai trattato bene.
    Volevo che vedessimo in Adam una profondità, delle emozioni che non sospettavamo. Qualcuno che si prende cura così di suo padre ha un lato vulnerabile, era qualcosa che rendeva Adam più umano, più accessibile. E’ come se Adam avesse bisogno di questo padre anche se un altro lo avrebbe mandato all’inferno.

Il mondo che lei rappresenta fa paura: le persone sembrano pensare solo alla carriera e a fare soldi.
   
E’ una visione buia delle corporazioni. Non penso sia un’accurata rappresentazione di quel mondo. Conosco molte persone del mondo degli affari, occupate a fare soldi, a raggiungere qualcosa, ma che hanno anche altri valori. Io volevo rappresentare il lato buio delle corporazioni. Molte delle mie fonti, dopo aver letto il libro, mi hanno detto, “il tuo personaggio non è come me, questa non è la mia compagnia”. Diciamo che è come se io avessi alzato il volume.

E’ anche un mondo in cui la scorrettezza viene fatta passare come la norma.
     Di nuovo, questa non è una fotografia, non rappresenta tanto la realtà, è intesa come un’esagerazione divertente. E’ una specie di anticliché. Lottavo contro il clichè per cui l’eroe scopre una morale, alla fine le cose non sono come il lettore si aspetta. La mia intenzione era di offrire un dramma e un divertimento.

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos



                                                                               

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