sabato 13 maggio 2017

Antonio Steffenoni, "Paloma è tornata" Intervista 2003

                                             Casa Nostra. Qui Italia
                                             guerra civile spagnola
                                             il libro ritrovato


   Non è perché Paloma è tornata che Antonio Sagarra Campos scende di nuovo nell'arena dopo 11 anni di assenza. Perchè non è un romanzo d'amore il libro di Antonio Steffenoni, "Paloma è tornata". C'è anche l'amore, ma c'è soprattutto la consapevolezza di una dignità personale per la quale vale la pena di morire. Quando Antonio Sagarra Campos aveva chiuso ingloriosamente la sua carriera, tutti avevano pensato che l'amore per una donna lo avesse rovinato. Che fosse l'infelicità la causa del suo declino. Ed era vero che l'amore lo aveva rovinato, ma perché lo aveva reso vulnerabile e si era macchiato di una colpa che lui, soprannominato "il Rosso" non solo per il bagliore dei suoi capelli al sole, non aveva mai potuto perdonarsi. A una settimana dalle prime elezioni democratiche della Spagna post-Franco, Paloma è tornata con suo marito, noto sostenitore del regime franchista, pronto a collaborare adesso con il nuovo governo. E l'ultima corrida di Antonio Sagarra Campos è orchestrata per mostrarlo di nuovo in tutto il suo splendore, come quando era l'idolo delle folle e nessuno sapeva che quel corteggiare la morte era anche una sfida continua al regime. Un'ultima corrida per riprendere in mano la sua vita, per non rendere inutili tante morti, per comunicare il messaggio di un'ultima protesta. Stilos ha parlato con Antonio Steffenoni di corride, di toreri, della Spagna e del suo libro.

INTERVISTA AD ANTONIO STEFFENONI

Lei è spagnolo per parte di madre e un immaginario lettore le dà subito il diritto di parlare di corride. Il grande Hemingway ha scritto molto sulle corride: gli spagnoli gli concedono questo diritto?

    Gli spagnoli apprezzano moltissimo Hemingway, gli perdonano tutto per due motivi: perché ha amato veramente la Spagna e lo ha dimostrato. Hemingway era in Spagna negli anni '20 e poi negli anni '30, durante la guerra civile, rischiando la vita perché era a Madrid sotto le bombe. Ha portato denaro in Spagna, ha scritto il testo di un documentario sulla guerra civile spagnola, diffuso a New York e in tutta l'America mentre la guerra era in atto per chiedere finanziamenti , e poi ha fatto il suo ultimo viaggio da sano in Spagna, nel 1959, per festeggiare il suo sessantesimo compleanno in un paese che lui amava moltissimo. Il secondo motivo è che Hemingway era straordinariamente competente, ha scritto di corride avendone grande competenza. E' una competenza che anche io penso di avere, perché ho incominciato ad andare a vedere le prime corride con mio zio quando avevo 7 anni, ne ho viste tante, credo le migliori, ai tempi in cui le corride erano ancora "serie".
  
Mi ha affascinato il tema della corrida e il modo in cui lei ne parla. E' più che mai chiaro che ci sono due modi di vedere la corrida.
    Fatta la premessa che la corrida è veramente uno spettacolo atroce e barbarico e crudele, se ne può parlare ugualmente, tenendo a mente, prima di tutto, che cosa è stata la corrida tra gli anni '30  e gli anni '60 in Spagna. Era una delle tre possibili carriere per i poveri. Le altre due possibilità erano farsi prete o entrare nella guardia civile. La corrida era la cruna dell'ago, che poi era la cruna della morte, attraverso cui passare per arrivare al benessere, ad essere qualcuno. La Spagna di cui stiamo parlando era il paese in cui interi villaggi non avevano acqua, non avevano né luce né fogne. Forse non si sa che durante la guerra civile le corride sono state sospese perché i tori erano troppo magri, perché non c'era di che nutrirli. Bisogna sempre ricordare che cosa era questo spettacolo che ha origini leggendarie, pare che il primo torero sia stato El Cid Campeador. E' una di quelle pratiche che ha a che fare con la natura un po' sbruffona, un po' tragica e sadica degli spagnoli. Io ho iniziato ad andare alla corrida a 7 anni insieme ad uno zio spagnolo supercompetente e ho goduto delle grandi corride con la sensibilità di un ragazzo di 7 anni, quindi in adorazione dell'eroe, in anni in cui non c'era la sensibilità animalista di oggi. Sono tornato a vedere una corrida lo scorso anno ed effettivamente adesso è inguardabile, perché adesso l'attenzione va alla povera bestia torturata. Quando ero piccolo il toro era un mostro terribile che attaccava con furore una specie di sacerdote della bellezza e del coraggio. La corrida è uno spettacolo cruento che riesce a mettere insieme la crudeltà e una bellezza straordinaria. Poi è arrivata la televisione, sono arrivati i turisti e la corrida è diventata semplice spettacolo.


E mi è sembrato che la corrida, nel suo libro, possa essere una metafora per la lotta al franchismo.
    In questo libro c'è un personaggio che, in qualche modo, rappresenta la corrida come una lotta dignitosa, in cui tu ti metti in gioco e sei pronto a morire. Con un toro ci puoi lasciare la pelle, o puoi fare una figura da vigliacco davanti a un pubblico che ha pagato per vederti coraggioso. Il personaggio del mio libro vuol dire che la vita ha un senso se la si vive con dignità e coraggio. Quando si vive in un paese abbrutito dalla crudeltà della tirannia, come lo è stato la Spagna per quasi 40 anni, fare una scelta di antifranchismo è stata una scelta di grande coraggio. Non si può dimenticare che il franchismo è stato molto più crudele del fascismo, solo dopo la fine della guerra sono state giustiziate quasi mezzo milione di persone. In questo momento estremo questo personaggio vuole mostrare a se stesso e agli altri che una vita senza coraggio non vale la pena di essere vissuta. Lui sa che in un momento della sua vita ha mancato di dignità e si impone di pagare un prezzo.

 Antonio ci piace perché è un eroe. Che cosa rappresenta il torero nell'immaginario popolare? e che cosa rappresentano i trajes de luces?

    Per i poveri il torero è il sogno del riscatto, l'eroe con cui ti identifichi e attraverso il quale ti innalzi. E' un sogno possibile, un mito raggiungibile. E' il mito estremo del coraggio, non un coraggio bruto, ma il coraggio di chi sottomette la sua paura ad una tecnica sopraffina. Il torero ha dei passi da fare con precisione, ordine, competenza. Quello del torero è il coraggio competente. E' una figura che in parte fa sognare e in parte è educativa, educa ad imparare un'arte. E il traje de luces è l'aspetto tra il folkloristico, spettacolare e religioso che c'è nella corrida. Infatti non si dice che il torero "indossa" il traje de luces, ma c'è la "vestizione" del torero. E' come i paramenti del sacerdote, per officiare una funzione religiosa che ha a che fare con la vita e con la morte.

Nel libro vengono nominati molti toreri famosi, chi aveva in mente per Antonio Sagarra Campos?
    Non mi sono ispirato a nessuno in particolare; però, forse, questo torero è la fusione di due grandi, Antonio Ordoñez, un torero di straordinario coraggio, eleganza, compostezza, e Miguel Baez, che era un pazzo, voleva far vedere che sfidava la morte con mosse plateali.


Che cosa ne pensa delle donne torero?   
Non ne ho mai vista una, ma la corrida non è una pratica di forza, perciò non c'è niente che impedisca ad una donna di fare il torero. Anche la stoccata finale, se è giustamente calibrata, non richiede una forza particolare. E siccome la corrida è uno spettacolo di grazia e bellezza straordinarie, penso che una donna torero possa aggiungere molto al fascino di questo spettacolo.

Antonio Steffenoni, "Paloma è tornata"
Ed. Tropea, pagg.253, Euro 14,00

l'intervista è stata pubblicata sulla rivista Stilos



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