sabato 27 maggio 2017

Dawn Tripp, “Georgia” ed. 2017

                                        Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
       painting fiction
       FRESCO DI LETTURA

Dawn Tripp, “Georgia”
Ed. Neri Pozza, trad. Ada Arduini, pagg. 324, Euro 18,00

  Ci sono dei volti che parlano da soli, che forse non sono propriamente belli ma che tengono il nostro sguardo inchiodato alla ricerca di un significato, di una soluzione dell’enigma di uno sguardo, di un sorriso, della linea di un naso. Volti che si fanno ricordare perché intuiamo la forte personalità che vi si nasconde dietro. La pittrice americana Georgia O’Keeffe (1887-1986) aveva uno di questi visi dal fascino insolito anche nella vecchiaia. Alfred Stieglitz, il famoso fotografo che diventò suo marito dopo aver divorziato dalla prima moglie, le dedicò centinaia di scatti. Che non riprendevano solo il suo viso. Le sue mani, il suo corpo. Senza veli, senza pudori perché l’arte non ne ha. Ed è impossibile parlare di Georgia pittrice senza parlare dell’uomo che fu, in un certo senso, il suo pigmalione (Stieglitz aveva l’occhio per scoprire gli artisti e, con generosità e dedizione, si batteva per farli conoscere), il grande amore che durò tutta la vita. Nonostante i contrasti, i tradimenti di lui, la necessità di lei di allontanarsi cercando nuovi paesaggi e nuove ispirazioni in piena libertà.
Il volto di Georgia lo rivela: Georgia sapeva quello che voleva, l’amore per Stieglitz era pace e burrasca, era la fusione o lo scontro di due personalità altrettanto forti, Georgia avrebbe sempre dipinto con i suoi propri occhi per mettere su tela quello che lei vedeva. Non le importava di incontrare il gusto del pubblico. Lei dipingeva così, prendere o lasciare. E i quadri venivano venduti, anche se lei si infuriava per le interpretazioni femministe dei suoi grandi fiori che parlavano di sessualità prorompente da quei petali e da quei pistilli giganteschi che potevano far pensare ad altro.

    Dawn Tripp ci racconta la vita e l’arte, le amicizie e gli amori di Georgia O’Keeffe e, come avviene nei migliori romanzi della ‘painting fiction’, la scrittrice riesce con le parole a dipingere per noi una serie di quadri in cui vediamo la pittrice dipingere i suoi, di quadri. I fiori, le candide calle e il rosso fiammeggiante dei papaveri, il blu violetto delle petunie e l’oro delle foglie d’autunno. E poi, dopo la scoperta del Messico, dopo che Georgia aveva dovuto mettere chilometri tra lei e Alfred, le gigantesche ossa dei crani di vacca trovati nel deserto ad incorniciare il cielo azzurro, come in un oblò. E la linea delle montagne. E i grattacieli (Stieglitz le aveva sconsigliato di dipingere scene cittadine, lei non gli aveva dato retta). Entriamo dentro i suoi quadri come fossimo Alice che entra nello specchio e vi incontriamo i sentimenti e l’anima di una grande donna. Dawn Tripp riesce a non separare Georgia O’Keeffe artista da Georgia O’Keeffe donna, è sempre la stessa, Georgia che colora il mondo sulla tela e Georgia che ama, che gode, che soffre perché Stieglitz le nega il figlio che lei desidera. E noi sentiamo che la Georgia che vive deve esprimersi così, per essere lei, per raggiungere la pienezza.


    Quando terminiamo la lettura di questo romanzo-biografia, abbiamo voglia di vedere, di emozionarci davanti ai quadri di Georgia O’Keeffe. Ci accorgiamo con rimpianto che ci è sfuggita una qualche sua mostra che avremmo potuto visitare, ci affrettiamo a cercare in internet le immagini dei suoi quadri- bellissimi, chissà quanto più belli visti dal vero, chissà la meraviglia del murale così controverso di cui ci parla Dawn Tripp. Un libro che ha questo effetto sul lettore è un bel libro.


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