giovedì 18 maggio 2017

Faïza Guène, "Kif kif domani" ed. 2005

                                                            Voci da mondi diversi. Francia
             il libro ritrovato

 Faïza  Guène, “Kif kif domani”
 Ed. Mondadori, pagg. 124, Euro 12,00

Si sente la voce della giovanissima scrittrice franco-algerina, Faïza Guène, in quella di Doria, la protagonista di “Kif Kif domani”, anche se non è la sua storia che Faïza racconta, anzi, non è neppure una storia, ma frammenti di vita, sensazioni, pensieri, sentimenti di una quindicenne figlia di marocchini che abita nella periferia parigina. Il padre di Doria se n’è andato per risposarsi con una donna più giovane (una spina nel cuore di Doria, il pensiero che lui possa avere il figlio maschio che avrebbe voluto al suo posto), la mamma fa la cameriera, lei, Doria, a scuola ha una nota positiva solo in arti plastiche, un’assistente sociale va regolarmente a trovarle, una psicologa riceve Doria ogni lunedì. Eppure Doria non si lascia abbattere, non si cura delle risatine e delle battute sui suoi abiti di seconda o terza mano, si guarda intorno curiosa e disponibile, alle chiacchiere con il bel Hamoudi che poi sposerà Lila, al primo bacio con Nabil, alla vita del quartiere. E la banlieue parigina non è più così squallida nella visione di Doria, c’è un futuro che si apre, perché la mamma impara a leggere e scrivere e trova un altro lavoro, Doria frequenta una scuola per parrucchiere- Parigi, così vicina e così lontana, diventa una meta raggiungibile e Doria vede per la prima volta la Torre Eiffel. Forse è il Marocco che si allontana definitivamente. Stilos ha intervistato la ventenne Faïza Guène, figlia di immigrati algerini a Parigi.


Incominciamo dal titolo: che cosa significa? E c’è un gioco di parole in “kif kif”?
      Nell’originale il titolo è scritto in maniera leggermente diversa, kiffe kiffe, con due f e una e finale, ed è un verbo che nell’argot francese vuol dire “amare”; in arabo kif kif vuol dire “routine”, fare sempre la stesa cosa, ma ha una valenza positiva, significa che domani andrà tutto bene. Il personaggio del libro si divide tra la routine e il fatalismo in cui si trova all’inizio e l’apertura finale verso l’amore.

Che cosa c’è di lei nel personaggio di Doria?
      Con Doria condivido la capacità di osservare la gente e le cose, la maniera di guardare il mondo che è intorno a lei, la sua facoltà di divagare, il modo in cui passa velocemente da una cosa all’altra, dal raccontare una storia e poi gliene viene in mente un’altra e dice quella.


Quando è arrivata in Francia la sua famiglia? I suoi genitori hanno trovato difficile adattarsi?
     Mio padre è arrivato in Francia nel 1953 e ha trovato lavoro nell’edilizia, ma per lui è stato facile ambientarsi, perché è stato preso sotto “protezione” dalla comunità algerina, e poi quando si ha un lavoro è più facile integrarsi. La mia mamma, invece, è arrivata nel 1980 e il suo inserimento è stato più complicato, perché stava in casa e non vedeva nessuno. Poi, quando è iniziata la scuola per noi, le cose sono migliorate, ha iniziato a uscire. I miei genitori sapevano già il francese, lo avevano studiato in Algeria. La mia mamma faceva da interprete, a scuola, per le altre mamme che parlavano solo arabo.

E lei, che cosa prova verso la Francia e verso l’Algeria?
     Mi sento molto divisa e provo dei sentimenti diversi. Mi sento soprattutto francese, appartengo alla società francese, ho frequentato la scuola francese, ho appreso i valori francesi, libertà, uguaglianza, fraternità. Ma non si riescono a negare le origini diverse e l’altra cultura a cui pure si appartiene. Tutti i nostri parenti, le famiglie dei miei genitori, sono ancora in Algeria e noi andiamo là regolarmente anche se non ogni anno.

La sua famiglia è religiosa osservante? Che cosa ne pensa della dibattuta questione del velo?
    Sì, la mia famiglia è praticante, ma in casa mia si respira un’aria molto libera, abbiamo ricevuto un’educazione aperta. Nessuno mi ha mai obbligato a portare il velo, mia madre non indossa il velo. In Francia succede sempre così: ogni tanto c’è un argomento che diventa il centro di dibattiti e si amplifica a dismisura, alterandone l’importanza. E’ così per il velo: finisce che molte ragazze lo portano per provocazione più che per convinzione. Non è una questione importante per la religione.

Ha avvertito una discriminazione a scuola nei suoi confronti?
    Finché si frequenta la scuola superiore, non si avverte nessuna discriminazione, semplicemente perché si vive nel quartiere e nel quartiere siamo tutti algerini o magrebini e la scuola è la scuola di quartiere. I problemi iniziano nel mondo del lavoro e i ragazzi incontrano più difficoltà delle ragazze, forse perché si ha un’immagine stereotipata della ragazza come remissiva, mentre si teme che i ragazzi possano essere violenti. E’ vero che ci sono dei ragazzi violenti nella banlieue parigina, dei ragazzi riversano nella violenza le loro frustrazioni per la vita chiusa del quartiere. Ma sono anche vittime della loro immagine.


Come è riuscita a farsi pubblicare un romanzo, a soli diciannove anni?
      Per caso. Ho sempre scritto e a tredici anni sono entrata a far parte di un’associazione culturale sorta nel mio quartiere per produrre degli audiovisivi. Scrivevo copioni per video. Un giorno, quando avevo scritto una trentina di pagine di quello che poi è diventato il romanzo, il presidente dell’associazione le ha lette e se le è portate via. Due settimane dopo ho ricevuto una telefonata dalla casa editrice Hachette che mi proponeva un contratto. Ho continuato a scrivere e ho finito il romanzo in quattro mesi.

Oltre a scrivere, lei ha anche girato un mediometraggio, “Rien que des mots”: come le è venuta l’idea? E come riesce a trovare il tempo per la scuola, per scrivere, girare film, vivere la sua vita di ragazza giovane?
       Il filmino che ho girato è il segno della continuità del lavoro per l’associazione di cui parlavo. Avevo già fatto dei video e scritto delle sceneggiature. Poi, con una sovvenzione, ho avuto la possibilità di fare questo film più lungo: volevo parlare delle contraddizioni tra la vita moderna di una ragazza in Francia e quella tradizionale in famiglia . Non ho calcato la mano sulle tradizioni più dure, volevo evitare gli stereotipi di un padre violento e insisto invece sui problemi di comunicazione: la protagonista fa fatica a trovare un dialogo con i genitori per motivi di età, di lingua, di cultura. Quanto al trovare il tempo per tutto…non lo trovo. In questo momento non ho il tempo per fare niente. Mi sono iscritta alla facoltà di sociologia, ma non ho avuto il tempo di frequentare neppure una lezione.

Il libro le ha procurato una fama immediata: che cosa prova davanti a questa popolarità?
     Non mi rendo ancora conto di quello che mi succede ed è meglio così, perché sono serena. Mi piace avere incontrato tanta gente, è toccante avere manifestazioni di ammirazione e sono contenta soprattutto di avere la possibilità di esprimermi, di far sentire quello che penso.





recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos.
A breve troverete la recensione di "Un uomo non piange mai" pubblicato dalla casa editrice Il Sirente


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