lunedì 15 maggio 2017

Antonio Steffenoni, “Meglio andare lontano” ed. 2010

                                                          Casa Nostra. Qui Italia
         cento sfumature di giallo
        il libro ritrovato

Antonio Steffenoni, “Meglio andare lontano”
Ed. Carte Scoperte, pagg. 341, Euro 18,50

    Quando lo abbiamo lasciato, nel romanzo precedente “Vietato giocare con la palla”, Ernesto Campos, il nuovo commissario sulla scena del giallo italiano creato da Antonio Steffenoni, stava tornando dalla Svizzera a Milano. E, nel caso che qualcuno non lo abbia letto, non voglio dirvi il perché di quel breve viaggio oltrefrontiera (ma affrettatevi a recuperare quest’ottimo libro, ve lo consiglio). Ora, nel secondo della serie, “Meglio andare via”, Ernesto Campos è stato momentaneamente sospeso dall’incarico e pensa di dedicarsi a sistemare sugli scaffali in ordine alfabetico- finalmente- i suoi quattromiladuecentonovantatre libri ancora chiusi negli scatoloni. Quando riceve una telefonata di Fabrizio, che non si fa vivo da trent’anni. Lo chiama da Cuba: perché Ernesto non lo raggiunge? Ora che il lìder maximo è gravemente ammalato le cose stanno cambiando a Cuba. C’è la possibilità che Ernesto riesca a tornare in possesso di una parte delle proprietà che suo nonno aveva sull’isola ai tempi di Batista. Fabrizio lo aiuterà con le pratiche, che Ernesto porti i documenti.

      Questa è la molla che fa scattare la trama di “Meglio andare lontano”: tutto sommato è proprio il momento giusto in cui è meglio andare lontano per Ernesto, fonte di imbarazzo per amici e colleghi dopo quella puntata in Svizzera. Così come era stato meglio andare lontano per Fabrizio dopo gli eventi lontani di una notte in cui un ragazzo era stato ucciso a sprangate, il presunto mandante di quella spedizione era stato picchiato e la ragazza che era con lui era stata conciata in maniera che sarebbe stata per sempre su una sedia a rotelle. Quale era stato il ruolo di Ernesto e di Fabrizio in tutto questo? Le ultime parole di Fabrizio ad Ernesto erano state: “Me ne devo andare in fretta”. Quindi il silenzio, fino ad ora. Ed Ernesto parte per Cuba- un viaggio che ha molteplici scopi, e non di tutti Ernesto è a conoscenza.
     Antonio Steffenoni non commette l’errore di ambientare il suo romanzo in un paese lontano, in un’isola dal regime discusso, in un paesaggio da cartolina, con la pretesa di parlarne come se fosse il luogo in cui ha sempre vissuto. Ernesto Campos arriva a L’Avana e si guarda intorno con i nostri occhi di turisti curiosi. Osserva, si meraviglia, ammira, fa domande, vaglia le risposte, vede la bellezza fatiscente di una città che sta morendo in un paese che sta morendo, descrive lo squallore e la povertà ma anche i successi del regime castrista- pur non commensurabili con il metro di giudizio del capitalismo.
Leonardo Padura Fuentes
Ernesto entra nei bar indicati dalle guide turistiche, quelli resi famosi da Hemingway o da Errol Flynn, visita i grandiosi alberghi costruiti all’epoca di Batista, ma frequenta anche- grazie a Fabrizio che gli fa da guida- altri locali noti alla gente del posto, incontra due scrittori- Reynaldo Flores, che è stato inviso al regime per la durata degli anni della presenza russa a Cuba, e Leonardo Padura Fuentes, il padre letterario di Mario Conde, il detective protagonista dei libri molto amati dalla donna di Ernesto.
      L’ambientazione a L’Avana è uno dei grandi piaceri che offre la lettura di “Meglio andare lontano”. Ce ne sono altri, in questo romanzo che corre sul filo della malinconia di chi si gira a guardare il passato, ma che ha un filone giallo perché ci sono pure quattro morti collegati con il passaggio di dollari da una mano all’altra per far avanzare la pratica dell’eredità di Ernesto e per il rilascio del passaporto di Fabrizio. Già, perché Fabrizio ha bisogno del passaporto? E’ un personaggio ambiguo, Fabrizio. Ora come in passato. Fabrizio appare e scompare, senza dire dove va e perché. Fabrizio è un incantatore. Sa giocare con le parole, sa ricreare un’atmosfera- come quando chiama Ernesto ‘vecchio torero’ e loro due ricordano la sera di un gioco con la giacca agitata come una muleta davanti a un’auto-, sa essere generoso (la giovane Maryani di cui Ernesto si innamora dice che Fabrizio ha sempre aiutato sua madre e lei). Eppure la sua reticenza a chiarire i fatti, sia del presente, sul perché abbia fatto venire Ernesto a Cuba, sia del passato, quelli che hanno ridotto la sua ragazza all’immobilità, ci disturba.

     Alla fin fine l’enigma da risolvere è più complesso di quello offerto dai delitti, insoliti per Cuba. Perché il viaggio a Cuba diventa un pretesto per riflettere sull’amicizia e sul tradimento, sull’amore e sulla paternità, sui cambiamenti che la vita impone e sulla necessità di cambiare- in meglio si spera-, sull’utopia giovanile di costruire un mondo nuovo e sulla delusione per il fallimento di un sogno. Il finale del libro non è una conclusione, come non lo era nel romanzo precedente. Ernesto Campos ci lascia in sospeso, ma, dopotutto, c’è una soluzione per i veri enigmi?

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net




Nessun commento:

Posta un commento